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L’alba dei morti viventi, spirito e cinismo a più non posso

I puristi non potranno storcere il naso in quanto tutto segue le regole canoniche: c'è sangue, budella, arti mozzati, cervella spappolate e occhi pendenti

  • 9 maggio 2004

L’alba dei morti viventi (Dawn of the Dead)
USA 2004
Di Zack Snyder
Con Sarah Polley, Ving Rhames, Jake Weber, Mekhi Phifer, Ty Burrell

Ore 6.37 di un mattino qualsiasi. L'infermiera Ana Clark (Sarah Polley) viene svegliata dalle urla di suo marito. È riverso a terra, con la giugulare recisa da un morso. Ana cerca di tamponare la ferita quando ormai l'uomo è morto. Ma all'improvviso questi si solleva e cerca di aggredirla con una violenza ed una rabbia inaudita. Sconvolta si lancia dalla finestra, mette in moto l'automobile e si rende conto che tutto intorno c'è il delirio. Dopo una fuga rocambolesca incontra l'agente di polizia Kenneth (Ving Rhames) e qualche altro disperato con cui prova ad uscire dall'incubo barricandosi in un supermercato. L’assedio dei non-morti comincia. Allora, partiamo dal presupposto che questo non è un semplice remake ma una bella rivisitazione del capolavoro “Zombi” di George Romero, una sorta di re-invenzione che l’ha risvegliato a vita nuova. “L’Alba dei morti viventi” ha una personalità, un'atmosfera e uno stile del tutto originali e inimitabili.

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E a riprova del grande rispetto per “Zombi”, i realizzatori hanno incluso nel film delle apparizioni cammeo di alcuni membri del cast della prima versione: Ken Foree (che recita la stessa epica battuta del film originale: «Quando all'Inferno non ci sarà più posto, i morti cammineranno sulla Terra»), Scott Reininger e l'attore e artista del makeup Tom Savini. Comunque fare un paragone tra i due film appare alquanto inutile; tanto il primo faceva leva infatti sul senso di angoscia e di oppressione che attanagliava lo spettatore, e conteneva in sé dei profondi significati politici e sociali di indubbio spessore, tanto questa rivisitazione è superficiale, adrenalinica, girata con i toni estetici ed i canoni del videoclip. Come in “28 giorni dopo” di Danny Boyle, gli zombi non sono più creature lente e vittime di una sorta di trance (trance indotta dal Sistema che ipnotizza e soggioga), ma esseri veloci, frenetici ed aggressivi (come l’individuo contemporaneo), non vittime controllate dal Sistema ma schegge impazzite e fuori controllo che si rivoltano contro tutto e tutti. Non a caso, come nel film di Boyle, le immagini all’inizio del film, quelle che mostrano l’avvio dell’apocalisse, sono immagini dove è la rabbia irrazionale delle grandi folle a farla da padrona; e non a caso si pone ancora una volta l’accento sulla causa virale alla radice del problema.

Il film oltre all’originale “Zombi” regala anche una serie di citazioni e strizzate d’occhio riguardanti altri film del panorama cinematografico contemporaneo e non, come il già citato “28 giorni dopo”, e ancora il zombesco “Resident Evil” e persino “Final Destination”, “Schindler’s List” e “Shining”. Il tutto sopportato da un cast funzionale (massiccio e convincente come sempre Ving “Marcellous Fallace” Rhames, versatile e concreta Sarah Polley) e da una sceneggiatura spassosa scritta da quel geniaccio di James Gunn già autore del copione cult di “Tromeo & Juliet” (uno dei capolavori della Troma Entertainment). I puristi non potranno storcere il naso in quanto tutto segue le regole canoniche: c'è sangue, budella, arti mozzati, cervella spappolate, occhi pendenti e rigurgiti ripugnanti, il tutto condito con battute di spirito e cinismo a più non posso. Insomma un bel film “di genere”.

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