Mobilità pubblica, Amat bocciato: un sistema da rifare
L’azienda di trasporto pubblico di Palermo cade agli ultimi posti della classifica nazionale per produttività e ricavi: troppi costi per un servizio che non rende
Muoversi in città è una necessità di molti, oltre che un diritto di tutti per una corretta vivibilità cittadina: servizi ottimali dovrebbero accompagnarsi a politiche di gestione che si adattino a esigenze e consumi dei passeggeri.
Eppure non sempre va così, e la “città jungla” invade l’immaginario pubblico.
Quando le recenti campagne a favore di una mobilità sostenibile, accompagnate da chiusure al traffico di centri urbani, vorrebbero sollecitare l’abbandono dell’automobile, ecco che a Palermo si ripiomba nell’intricato vortice dell’incoerenza.
Brutta serrata quella dell’azienda Amat, che piomba agli ultimi posti in classifica per produttività e ricavi riferiti al 2011, nella stima stilata dall’Osservatorio nazionale sulle politiche del trasporto urbano.
Non c’è testa rispetto ad altri otto comuni italiani, Palermo, e con lei Napoli, scade di molto nel rapporto tra chilometri annui e indicatori di produttività. Il problema? È una ricerca di contesto.
Un servizio pubblico si confronta, inevitabilmente, con il consumo che gli stessi cittadini ne fanno, con la mentalità educata all’uso del mezzo pubblico che spinge i passeggeri a spostarsi su bus o metrò. Il tutto, cosa non meno importante, sostenuto da un servizio ottimale, puntuale e utile.
E su quest’ultimo punto, le carenze dell’Amat sono davvero troppe. Ogni anno Amat trasporta 74 milioni di passeggeri, di contro alla genovese Amt, con 154 milioni o l' Atc di Bologna, prima in classifica per rendimenti con 108 milioni.
Pochi passeggeri, per un servizio che non interagisce coi cittadini. E se il Comune, con pedonalizzazioni e valorizzazioni del territorio, punta tutte le sue carte su navette, bus e tram, non resta tanto da temporeggiare: a iniziare dalla revisione oraria, dall’attivazione di moderni strumenti di localizzazione e gestione del traffico urbano, formazione dei dipendenti.
Insomma, non è una questione di quantità, che sembrerebbe incrementarsi sempre più con l'arrivo a breve di nuovi mezzi, ma di qualità, essenziale a bilanciare spese e consumi.
Una ristrutturazione dell’intero settore su cui non si può più rimandare. A rischio la produttività e la crisi di un’intera città.
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