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Non sei ai tropici ma in Sicilia: l'acquapark (naturale) tra rocce e piante fluviali

Il fiume in alcuni luoghi ha creato degli scivoli perfettamente lisci e levigati da cui lasciarsi scivolare in d’acqua. Un divertimento inaspettato da non lasciarsi sfuggire

Santo Forlì
Insegnante ed escursionista
  • 5 settembre 2025

Il sentiero Bettaci

In Sicilia abbiamo un acquapark naturale e delle splendide piante di appartamento che invece crescono spontanee sulle rive di un torrente in cui evidentemente c’è un microclima tropicale. Lo racconto per intero.

In un sabato di fine agosto con i giovani di Pezzolo promotori del sentiero Bettaci, sono andato all’inaugurazione della sua seconda parte, inoltrandoci nell’alveo del torrente Calonerò (dal greco belle acque).

Si è trattato di camminare quasi sempre in acqua poiché le rive rocciose erano troppo alte e strette, pertanto il cammino più sicuro era quello più fresco, d’obbligo indossare un costume da bagno. In alcuni tratti abbiamo dovuto arrampicarci su dei tronchi d’albero che erano caduti.

Ci siamo infatti inoltrati in dele gole scavate nella roccia. Cammino un po’ avventuroso ma ricco di fascino per le pozze d’acqua che incontravamo, per la fauna acquatica: granchi e tanti girini in primis, e per il rigoglio delle piante fluviali: quelle più piccole e delicate come le capelveneri, ma c’erano anche gli equiseti che raggiungevano notevoli dimensioni e ravvivavano il paesaggio con il loro verde brillante.

Ma un ruolo importante lo svolgevano gli alti platani con il loro verde un po’ opaco ma con i tronchi, I rami e le foglie che deviavano i raggi solari determinando una piacevole frescura.

Durante il tragitto non sono mancate le sorprese, una davvero grande è stata quella di imbattersi in splendide piante ornamentali d’appartamento conosciute col nome di orecchie d’elefante, con una foliazione larga ed abbondante e quasi prive di stelo, ma della varietà più pregiata la alocasia portadora che cresce in ambiente tropicale, ma si vede che qui esiste questo microclima.

Queste con una colorazione brillante di un verde tendente al giallo sono cresciute spontaneamente raggiungendo una bellezza e delle dimensioni impensabili per le piante coltivate in vaso.

Davvero qualcosa da ammirare. Continuando il nostro cammino ci siamo inoltrati in una stretta gola con le nude pareti di roccia levigata ondulata e in alcuni tratti in alto convergenti fra di loro quasi a toccarsi come in un luogo chiamato stretto di Lario (Ilario).

Ma il fiume si è sbizzarrito ed in alcuni luoghi ha creato degli scivoli perfettamente lisci e levigati da cui lasciarsi scivolare in una pozza d’acqua. Un divertimento inaspettato che non ci siamo lasciati sfuggire: è stato come andare in un acquapark con la differenza che non abbiamo pagato alcun biglietto d’ingresso.

Cammin facendo anche questa volta siamo giunti ai piedi del maestoso ponte Bettaci a due campate e a 21 metri d’altezza. Opera ardita in un luogo diabolico secondo la definizione del prof. Gaetano Cirasella che in un giorno d’inverno ha visto una capra essere portata via dalla furia delle acque.

Ho appreso altri particolari sulla sua costruzione come la presenza delle buche pontaie che servivano per fissarvi dei tramezzi in legno via via rimossi col progredire dei lavori iniziati a metà dell’ottocento e di una solidità tale da rimanere indenne al devastante terremoto del 1908.

Su una riva oramai più ampia, abbiamo visitato il mulinetto riportato recentemente alla luce dai ragazzi. Prima risultava invisibile ed inesistente perché interamente sommerso dalla vegetazione come i templi Kmer in Cambogia, solo che questo era attivo e funzionante fino agli anni cinquanta.

Diversamente di come farebbe pensare la denominazione si tratta di una struttura molto grande ancora abbastanza ben conservata. Abbiamo visto la gigantesca ruota di granito screziato che serviva per la macina, mentre ancora su un lato dell’edificio era ancora ben visibile lo stretto vano scoperto dove si riversava l’acqua che con una spinta dall’alto faceva girare la ruota verticale con le vasche che alternativamente si riempivano e si svuotavano.

Più in là resistevano ancora dei terrazzamenti un tempo coltivati ad agrumeti, invece adesso vi sono delle coltivazioni più o meno spontanee di fichi d’India, piante che non richiedono particolari cure e che si accontentano di poca acqua, ma che danno lo stesso, previa sbucciatura dei frutti succosi e dolci.

Da raccogliere però di prima mattina per non riempirsi di spine con un coppo provvisto di un lungo manico. È buona regola anche radunarli a terra e spazzolarli.
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