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Unipa: calano gli iscritti, tra emergenze e reclami

Dietro al calo degli iscritti all'Università c'è l'errata percezione che a ritirarsi siano i fuoricorso: ma i "fannulloni" rimangono così come le emergenze

  • 6 febbraio 2013

Chi ha memoria della giornata dei test di ammissione all’Università (che annualmente raduna numeri oceanici di candidati alla matricola) difficilmente riuscirà a credere alla notizia che dichiara quasi scomparso lo status di studente universitario, relegando così sulla via dell’estinzione la vita vissuta tra libri e libretti.

Eppure la metafora, che accompagna il documento sullo stato dell'Università italiana elaborato dal Cun, è suggestiva: è come se fossero scomparse nel nulla 60 mila persone tra matricole, laureati, docenti, dottorandi. Un intero Ateneo grande quanto quello della Statale di Milano inghiottito in un solo decennio. E l’andamento negativo non risparmia neppure l’Università degli studi di Palermo, alla cui politica dei tagli – tra abolizioni delle facoltà, accorpamenti e restrizioni – fa eco la progressiva diminuzione degli iscritti.

Tra analisti della società e sociologi dell’ultima ora, c’è chi ha commentato esordendo con “Finalmente una bella notizia”: pare che all’Università dell’Ateneo palermitano – mai rientrato tra i migliori atenei italiani – il numero degli studenti universitari abbia raggiuntonegli ultimi 10 anni picchi tali che, adesso, alla notizia di un netto ridimensionamento degli iscritti, parte quasi un respiro di sollievo. Alla validissima equazione più iscritti più prestigio si sostituisce adesso quella meno iscritti meno spese in servizi dovuti.

Saranno forse più fluide le file in segreteria, il cui moderno sistema di prenotazione allo sportello ha evitato resse e linciaggi ma non ha abbattuto i tempi di attesa biblici; saranno un poco più sollevati i partecipanti al bando per le borse di studio: stroncati dalla recentissima norma che dimezza il numero degli aventi diritto al sostegno economico (circa il 45% in meno), potranno quantomeno incrociare le dita e sperare in una minore concorrenza; saranno pure rincuorati i claustrofobici, che confideranno nell’eclissi di aule super affollate, dentro cui stiparsi appoggiandosi su scrittori improvvisati alla meno peggio. Per non parlare di chi è vittima della nevrosi del posteggio in viale delle Scienze, che adesso godrà di qualche metro di strisce blu in più.

Ma all’apice degli improbabili vantaggi dovuti alla scomparsa dello studente universitario, c’è la supposizione più errata che si potesse fare dinanzi i dati Ocse: la credenza comune è che i protagonisti del grande flusso che vede abbandonare gli atenei per dirigersi verso mete lavorative precarie, siano principalmente gli appartenenti alla grande fascia dei fuori corsisti, studenti a tempo perso che hanno amato sollazzarsi nell’ozio e che adesso - messi alle strette da un mercato sempre più competitivo che privilegia i laureati più giovani - hanno dovuto fare i conti con sè stessi e varcare direttamente la soglia di un qualsiasi lavoricchio. Il motivo di giubilo starebbe dunque nell’abolizione dei fancazzisti tra le biblioteche d’Ateneo, esseri pigri e inadeguati alla velocità del mondo circostante.

C’è poco da rinfrancarsi in realtà. Nessun calo delle iscrizioni garantirà mai un miglioramento dei servizi agli studenti, e il tanto detestato sovraffollamento, sebbene sparirà, non concederà di certo un’incontrastata produzione di sole eccellenze da sfornate alla laurea con il marchio Unipa. Nella voragine che ha inghiottito 60 mila studenti, ci sono, principalmente - non gli oziosi - ma i disillusi: menti eccelse che, pur appartenendo a fasce economiche cui spettano agevolazioni, non riescono comunque a sostenere i costi delle Università, incredibilmente care ma per niente al passo col resto d’Europa. E poi, soprattutto, c’è chi ha perso ogni possibile interesse nel valore di un titolo, scottato ma non riconosciuto, in una città dove decadono i meriti e continua ancora a vincere il primo che alza il telefono e chiama l’Amico più caro.

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