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"Mi hai rotto i cabbasisi": le espressioni siciliane più diffuse che derivano dall’arabo

La Sicilia è storicamente terra di dominazioni: l’influenza araba si ritrova in oltre circa 300 parole ancora oggi in uso nel comune parlare del dialetto siciliano

  • 15 dicembre 2019

L'assedio arabo di Messina, nell'1040

Storicamente la Sicilia è stata terra di conquiste e dominazioni, in cui usi, costumi, tradizioni e lingue dei vari popoli dominatori si sono mescolate nel tempo creando eterogenietà linguistica. Prima i greci e i latini, poi gli arabi e i normanni: tutti popoli che nel tempo hanno occupato l’isola, contaminandone le tradizioni e diffondendo parole, espressioni e vocaboli che ancora oggi si ritrovano nel comune parlare dialettale siciliano.

La Sicilia inizia ad essere conquistata da musulmani a partire dallo sbarco a Mazara del Vallo dell'827: entro l'878 quasi tutta la Sicilia era in mano ai musulmani e l'arabo divenne la lingua ufficiale dell'isola fino alla metà dell'XI secolo quando i normanni cristiani conquistarono la trinacria.

Di tutte le egemonie, la lingua araba, più di tutte, è presente tutt'oggi nel dialetto siculo soprattutto in quelle espressioni che si riferiscono all’attività rurale e a quella agricola: l’influenza araba si ritrova infatti in oltre circa 300 parole siciliane di uso comune, la maggior parte delle quali si riferiscono all'agricoltura e all’attività di irrigazione dei campi.
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Così ad esempio, favara d'acqua dall’arabo fawwara (sorgente impetuosa e abbondante), gebbia da gabiya o djeb (vasca rettangolare e circolare per il riciclo dell'acqua); e ancora càlia, i notissimi ceci abbrustoliti, dall’aggettivo arabo qaliyya, zibbìbbu, uva bianca da tavola e il relativo vino, dall’arabo zabib, cioè uva passa.

Anche la nostra amata cassata alla ricotta, torta siciliana per eccellenza, deriva dal termine arabo qashata e così anche altri due vocaboli tanto cari ai siciliani come mischinu (poverino) che in arabo si dice miskīn, e il masticatissimo verbo taliàri (guardare, osservare) che deriva da ṭalaʿa´.

Ma il primo posto nella classifica dei vocaboli arabo-siculi più in voga lo merita certamente il termine “cabbasìsa”, che deriva dall’arabo habb aziz. Si tratta di una specie di pianta erbacea che produce un tubero commestibile e dei piccoli frutti ovali ricoperti da una peluria.

L’espressione è tra le più tipiche del dialetto palermitano (perché rimanda ai genitali maschili, quando di una persone che ti infastidice si dice “mi ha rotto i cabbasisi”) ed è divenuta famosa grazie al maetsro scrittore Andrea Camilleri che, attraverso il commissario Montalbano, ha contribuito a diffondere un modo di dire prettamente siciliano e di origine araba in tutta Italia.
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