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"Mmiscu, petrafènnula e zammù": quando il Natale dei palermitani era duro per i denti

Le processioni dell'8 dicembre aprivano le festività anche nel 1624 all'insegna dei sentimenti religiosi e di chicche culinarie fra liquori e dolci da "rompere"

  • 10 dicembre 2019

Il cedro era la base di un dolce durissimo di nome “Petrafènnula“

Dopo l’anno 1624, nel giorno 8 dicembre, nella Basilica di San Francesco D’Assisi avveniva il cerimoniale che si osservava scrupolosamente prima di passare al Voto. Il Vicerè, genuflesso ai piedi dell’altare, confermava il giuramento; poi era il turno del pretore e del Senato. Tutti, uno dopo l’altro, sottoscrivevano la formula del compiuto giuramento.

Seduto sopra un seggio reale, di fronte al Senato, il vicerè assisteva alla messa e si copriva il capo nel momento che riceveva l’incenso: era questa una prerogativa del Legato apostolico in Sicilia rappresentato dal re, e lui rappresentava il re. Questa Santa Messa, era celebrata fuori dalle ore canoniche grazie ad un privilegio concesso dal Papa.

Poi sfilava la processione con i tamburi, le confraternite, le corporazioni religiose, i parroci, i seminaristi dell’arcivescovato ed il clero della Cattedrale. Dopo di loro sfilava il prezioso simulacro d’argento della Madonna Immacolata coperto di gioielli. Dopo sfilava il vicerè con i grandi dignitarî dello Stato, il pretore, i senatori, il giustiziere con la sua corte capitaniale, i magistrati ed i nobili.
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Dietro loro sfilavano i mazzieri, i servitori indossavano sontuose livree, le guardie pretoriane con sfavillanti uniformi, soldati con alti berretti, corte giacchettine, larghe strisce di cuoio che si incrociavano sul petto, con grossi archibugi chiudevano il corteo.

La “festa” non finiva qui. Per otto sere e notti consecutive i devoti, uomini e donne, alcuni a piedi nudi dalla Basilica di San Francesco si recavano alla Cattedrale recitando di continuo orazioni e rosari. Questa pratica si chiamava “viaggio".

Il Cassaro era illuminato dai “mazzuna“ (fasci di ampelodesma) e di torce a vento e si sentiva il suono dei pifferai. Avvolti nei tradizionali mantelli o nelle grandi fasce di lana, i venditori ambulanti gridavano: «Mmiscu, petrafènnula e zammù!... Zammùu!...».

“Mmiscu“, era un liquore a base di rosolio, alcol e erbe aromatiche, la “Petrafènnula“ un dolce duro, composto di cedro tritato, cotto nel miele e condito con aromi mentre lo “Zammù“ è l’anice, denominato anche “fumetto“. Tutto ciò metteva alla prova le più forti dentature e le digestioni più gagliarde.
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