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Momento di gioia o di ostentazione, ricco o povero: la "grammatica" del Natale (e della vita)

Diverse realtà sociali per diversi "natali". Le tradizioni, le pietanze, la classe di appartenenza, i luoghi, determinano cambiamenti importanti, influenzando i nostri ricordi

Susanna La Valle
Storica, insegnante e ghostwriter
  • 20 dicembre 2021

Dettaglio del dipinto "L'albero di Natale" di Albert Chevallier Tayler

Non tutti i “Natali” sono uguali. Le tradizioni, le pietanze, la classe di appartenenza, i luoghi, determinano cambiamenti importanti, influenzando i nostri ricordi. Ho chiesto a vari amici, ognuno testimone di una realtà diversa, di raccontarmi il suo Natale.

Una prima impressione, dopo aver raccolto voci e descrizione, è che nelle classi più popolari che ritroviamo più gioia e ricordi felici. I motivi sono facilmente intuibili, il Natale rappresentava quel tempo sospeso rispetto alle difficoltà e rinunce quotidiane. Diversa era la percezione per gli aristocratici, qui il Natale era soprattutto sperimentazione di rinomati Monsù (Monsieur Le Chef), nel più rigoroso Bon Ton. La Borghesia, classe intermedia, era la cesura a metà dei livelli, spartiacque tra quella più bassa, punto di partenza, è quella più alta, bramato punto d’arrivo.

Partiamo da un Natale popolare di qualche tempo fa; il primo ricordo era la processione di bambini dietro il suono delle ciaramedde tra le strade del quartiere, “ la tavola “ era preparata dalla mattina, con la ricerca febbrile di sedie per ospitare i numerosi parenti.
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Ognuno preparava qualcosa e tutto era condiviso. Ogni cucina, sia di chi portava e di chi riceveva, era un mix di odori che andava dal dolce al salato. Ovunque per la vigilia si preparava una focaccia ripiena: se nel ragusano erano le Scacce ripiene di verdure, a Messina la focaccia con tuma, scarola riccia, acciughe e pomodoro, a Scicli c’erano i pastizzi e l’infigghiulate come racconta Mara.

A Catania erano ripiene di acciughe e ricotta, o con i “ bastardi” (cavolfiore) e formaggio. I Cudduruni di Modica avevano broccoli o spinaci. A Palermo regnava indiscusso lo Sfincione: alto, morbido con acciughe, cipolle, pomodoro e caciocavallo. Quelle che oggi chiameremmo, torte rustiche, erano la pietanza principale della vigilia, seguita dal baccalà fritto, “ i carduni ca a pastedda” insieme a tante altre ‘mpanate di verdure. Angela ricorda che c’erano anche le salsicce, “ la carne la mangiavamo una volta la settimana, perché privarsene proprio a Natale ?”.

Alla cena seguivano i giochi di carte: zecchinedda, sette e mezzo, cinquecento, cucù, 31, ”sciccareddu”, ” rubbamazzu” e “tivitti”. Per i bambini poi c’era la tombola. Gioco che richiedeva la preparazione di piccoli pezzi di arancia e mandarino, gli unici in grado di non staccarsi, al primo gesto, dalla cartella. I mucchietti di soldini vinti erano il loro tesoro, attenti più alla quantità che al valore delle monete, con genitori pronti a consolare e risarcire in caso di perdita. Il pranzo di Natale aveva l’immancabile pasta al forno, con le cotolette e il Rollè detto “ a Braciuluna”. Come dolce la Cassata, i Cucchitelli pasticcini glassati, senza dimenticare il torrone di mandorle fatto in casa.

Non molto diverso il menù della borghesia, che aggiungeva alla vigilia il pesce: l’insalata di polpo, la pasta con le sarde, la Ghiotta nel messinese: pesce stocco nella versione con o senza patate, tradizione per una ristoratrice del litorale; le polpette di neonata, la frittura di calamari, l’anguilla.

Un amico fotografo di Palermo ricorda: “La tavola era apparecchiata dalla mattina…L’antipasto era un gigantesco albero di Natale d’insalata russa, accompagnato da funghetti di uova sode con un ripieno di tuorlo maionese capperi e acciughe. Sulla credenza erano esposti buccellati, montagne di frutta secca, lo scaccio, i “capelli d’angelo” della zuccata candita che decorava la cassata; ognuno prenotava il “ pezzo verde” quello bianco, il mandarino candito.

Se a Messina non mancava mai la pignolata, altri dolci erano la torta Savoia e il “diplomatico fatto dalla zia nubile che aveva le mani d'oro per cucire e cucinare” come ricorda Maria. I giochi erano gli stessi con l’aggiunta del Mercante in fiera: “Poi i più piccoli si addormentavano a notte fonda, mentre gli adulti resistevano fino all'alba, giocando a poker, bevendo caffè e liquori, avvolti in una nube di fumo”.

Il giorno dopo, ovunque c’era la pasta al forno da oriente a occidente. A Palermo il timballo di aneletti conditi con il ragù e all’interno uova sode mortadella o prosciutto, e caciocavallo. Dall’altra parte dell’isola la pasta ‘ncasciata con melanzane e ricotta. Per secondo ancora il Rollè o “ falso magro” ripieno come una cornucopia.

Seguivano le puntine di maiale, salsicce e la lingua di vitello con cipolline in agrodolce, è l’immancabile “burnia” di caponata, che avrebbe poi fatto da contorno per il resto della settimana. Per la classe nobile, andando indietro nel tempo, ritroviamo le ciaramedde che in questo caso si recavano a suonare presso gli atri dei bellissimi palazzi, per la curiosità dei giovani rampolli. Il Monsù per le feste avrebbe stupito con le sue gelatine, glacé, soufflé, mousse.

Ai timballi di pasta si preferivano le frolle dorate con fegatini, uova, strisce di prosciutto, pollo, tartufo e maccheroni “ cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio”, come racconta Tomasi di Lampedusa. Al “grossier” Rollè di carne, si sostituiva l’arista di tacchino con la panna. Qui non si preparava “ la tavola”, ma “la mise en place” con raffinate
tovaglie di fiandra, bicchieri di cristallo, posateria d’argento.

Il Bianco Mangiare era uno dei dolci preferiti, con la Cassata e i dolcetti preparati su ordinazione dalle suore di clausura. Con la scomparsa del Monsù, le ricette hanno continuato ad accompagnare il Natale, la mia amica Principessa ricorda, raffinato pesce alla vigilia, e per il pranzo in alternativa alla frolla, un denso brodo di cappone con tortellini.

Se il professor Giuffrida riassume le diverse realtà sociali in due piatti, ”le sarde a beccafico e i maccheroni in crosta”, pur con i vari distinguo, permangono in Sicilia attraverso tempo e tradizioni: la ricercatezza, l’accoglienza, un’attenzione speciale per il Natale.
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