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Non solo granchi blu e batteri "buoni": nei mari siciliani ci sono oltre 200 specie (aliene)

Gli ultimi dati sullo stato di salute del Mediterraneo preoccupano gli esperti. A destare allarme l'aumento di nuove specie che minacciano i nostri habitat marini

Aurelio Sanguinetti
Esperto di scienze naturali
  • 27 settembre 2023

Il pesce palla maculato

L’ecosistema marino è uno dei più sensibili in natura. Per via infatti dei cambiamenti climatici, dell’inquinamento, dell’eccessiva sovrappesca e di tanti altri fattori che ne minacciano la struttura, il mare è costantemente soggetto a disturbi che possono portare a una profonda crisi demografica e ambientale.

Proprio per sincerarsi della situazione odierna delle acque italiane e per stabilire quali saranno i prossimi passi necessari per tutelarne la fauna, la flora e le condizioni ecologiche, qualche giorno fa, lunedì 25 settembre, si è svolto a Palermo a Palazzo Chiaramonte-Steri, sede dell’Università, un importante convegno, dal titolo Strategia Marina. Il monitoraggio dei mari italiani, in cui hanno collaborato Arpa Sicilia, Ispra e il Sistema Nazionale per la Protezione dell'Ambiente.

I dati presentati durante questo appuntamento sono stati diversi e presentano uno scenario forse imprevisto dei mari italiani. Sono il frutto delle ultime campagne di monitoraggio, effettuate dagli scienziati ai sensi della Direttiva Quadro europea sulla Strategia Marina.
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Prima di tutto, gli scienziati radunatisi al convegno hanno fornito un quadro generale dello status di salute degli ecosistemi coralligeni italiani. Per quanto soggette a diverse tipologie di pressioni antropiche, le 8 specie di coralli utilizzate come specie target negli ultimi anni (dal 2015 ad oggi) sembrano aver vissuto un momento positivo di crescita, che ha permesso agli scienziati di osservare 367 taxa all’interno dei loro ecosistemi.

Dei 160 siti di campionamento visitati in Italia per effettuare le ricerche, la maggioranza appartengono alla Sicilia, in particolar modo alle coste dell’isola maggiore.

Più sconfortanti invece i dati relativi alla distribuzione delle praterie di Posidonia oceanica. Circa il 25% dei siti monitorati presenta infatti una bassa densità di fasci di Posidonia e l’1% dei siti presenta inoltre una prateria eccessivamente disturbata, con rischio d’estinzione locali.

Tuttavia, in questo disastro, gli scienziati si sono dichiarati abbastanza colpiti dal fatto che nelle circa 100 aree indagate la densità della prateria era di tipo "normale" nel 63% dei casi ed "eccezionale" nell’11%. Questo quindi spinge gli esperti ad avere ancora fiducia, per quanto riguarda gli ecosistemi – ricchissimi di fauna – formatisi grazie a questa pianta marina.

I dati che forse però hanno ricevuto la maggiore attenzione da parte del pubblico presente sono quelli relativi all’inquinamento e alle specie aliene presenti nel Mediterraneo. Partendo da questi ultimi, per quanto riguarda la letteratura scientifica, oggi ci sarebbero ben 289 specie alloctone nei mari italiani. Alcune sono molto note e noi stessi ne abbiamo parlato quest’estate, visto che rappresentano un serio problema per la nostra salute e quella dei nostri habitat.

Tra queste ci sono il granchio blu (Callinectes sapidus), pesce palla maculato (Lagocephalus sceleratus), pesce scorpione (Pterois miles), pesce conglio scuro ( Siganus luridus), pesce coniglio striato (Siganus rivulatus), pesce serra (Pomatomus saltatrix), caravella portoghese (Physalia physalis) e medusa nomade (Rhopilema nomadica).

I monitoraggi effettuati dagli scienziati dell’Arpa, che sono stati effettuati soprattutto nelle grandi aree portuali, hanno tuttavia segnalato la presenza di 78 specie, di cui 25 che appartengono al gruppo degli anellidi, 18 ai crostacei e 11 ai molluschi. Questo non deve far però credere che i dati presenti in letteratura siano sbagliati.

I monitoraggi dell’Arpa non vanno infatti in contrasto con le altre ricerche, ma anzi confermano un trend: le specie aliene sono sempre più numerose e attaccano i nostri sistemi naturali, scacciando le specie autoctone o cibandosi delle alghe. Dalle 44 specie aliene osservate tramite il monitoraggio del 1970, oggi siamo infatti passati a 289 specie non indigene, di cui circa l’8% sono da ritenere invasive.

L’Arpa inoltre segnala che delle 78 specie osservate all’interno delle aree portuali, 20 sono esclusive del Mar Adriatico, 9 del Mar Ionio e 17 del Mar Tirreno, mentre 11 specie sono comuni ai tre mari italiani.

Per quanto riguarda invece i rifiuti marini, paradossalmente la situazione sembra essere migliorata nel quinquennio 2015-2020. Si è osservata infatti una riduzione significativa delle quantità di rifiuti spiaggiati che arrivano a toccare la battigia, di circa il 50%. Dai 460 oggetti per 100 metri di spiaggia per anno siamo infatti arrivati a 311 oggetti per 100 metri di spiaggia nel 2020 e a 273 nel corso del 2021.

Per quanto però questi dati siano estremamente positivi, bisogna ricordare che il biennio 2020-2021 è quello che noi tutti ricordiamo per la pandemia da Covid. Una diminuzione del numero di oggetti spiaggiati per anno è stata quindi considerata come inevitabile, da moltissimi esperti, per via del lockdown e della conseguente riduzione complessiva dell’immondizia che veniva rilasciata in natura dall’uomo.

Il dato inoltre è ancora lontano dall’obiettivo europeo di ridurre il numero di oggetti spiaggiati a 20 per anno, che dovrebbe portare a una migliore qualità delle acque.

Andando poi a considerare il numero di tartarughe che sono state soccorse o analizzate, a seguito di vari incidenti, gli scienziati sono andati anche a considerare l’impatto della plastica nella fauna del mediterraneo. Delle 559 tartarughe soccorse tra il 2017 e il 2021, oltre la metà, ovvero il 67%, aveva ingerito plastica e aveva lo stomaco ricolmo d’immondizia.

Una scoperta sconfortante, che potrebbe a lungo andare a inficiare sui record di nascite, avvenute sulle spiagge italiane e siciliane negli ultimi anni.

Per comprendere i danni procurati dall’immondizia galleggiante, possiamo anche considerare le percentuali relative alle plastiche. Circa l’80% dei rifiuti presenti in mare sono fatti di plastica e di questi circa il 20% è composto da oggetti monouso.

Per ogni chilometro quadrato di mare, all’interno della colonna d’acqua in media ci sono 40.000 particelle di microplastiche galleggianti e gran parte degli animali spiaggiati sulle coste italiane e siciliane (cetacei, squali, tartarughe e altri pesci) hanno all’interno del loro stomaco frammenti di plastica.

I fondali marini infine sono colmi di grandi rifiuti, principalmente copertoni ma anche delle reti da pesca abbandonate, che sono un gran problema per la fauna ittica, visto che rappresentano una vera e propria trappola per i cetacei e i pesci adulti.

«I dati che abbiamo presentato sono solo una piccola parte del lavoro che tutto il sistema, in collaborazione con gli enti di Ricerca e le università italiane, sta portando avanti per fornire elementi utili ad una Strategia per il mare che sia efficace e coerente con gli obiettivi che ci derivano dagli obblighi europei e internazionali» ha dichiarato Maria Siclari Direttore generale dell’Ispra intervenendo al convegno.

«Risponde anche alla necessità di comunicare il dato ambientale e rappresentare il lavoro di un sistema che opera ormai da tempo in stretta sinergia e che è cresciuto, negli ultimi anni, acquisendo nuove professionalità e capacità tecniche».

Per quanto riguarda la Sicilia invece si è espresso Vicenzo Infantino, direttore di Arpa Sicilia. «La nostra isola ha un’estensione costiera di ben 1.637 Km e la salvaguardia dei mari è per noi un tema di primaria importanza. L’ambiente marino è un patrimonio prezioso che deve essere protetto, salvaguardato e ripristinato al fine ultimo di mantenere la biodiversità e preservare la vitalità dei mari.

Siamo quindi lieti di aver ospitato questo evento in Sicilia, in collaborazione con l’Università di Palermo, ed aver fatto sintesi dei dati e dei risultati raggiunti, grazie all’impegno assunto da tutto SNPA, dal 2015, nelle attività di monitoraggio realizzate per proteggere e preservare gli ecosistemi marini».
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