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"'Nt'u mezzu d'u caminu di la vita"... qualcuno tradusse in siciliano la Divina Commedia

Un libro di inestimabile valore di cui in pochi purtroppo conoscono l'esistenza. Vi raccontiamo qualcosa della sua storia e del suo autore, Padre Domenico Canalella

  • 23 aprile 2022

Penso di avere in casa un libro di inestimabile valore. Anzi, ne sono certa. L'ho sempre saputo fin da quando - ancora piccola giornalista in erba - fui inviata a seguire la conferenza stampa di presentazione del testo della Divina Commedia tradotto in siciliano e pubblicato integralmente solo nel 2004 dalla Nuova Ipsa.

Titolo: La Divina Cumeddia di Dante Alighieri in versi siciliani di P. Domenico Canalella, O.P.

Timidamente chiesi se potevo avere una copia anche io (per la stampa ce n'erano pochissime) e chiamai in redazione chiedendo al caporedattore se potessi tenerla per me. La risposta fu un sincero, «certo, nemmeno ci stavo pensando» che mi lasciò spiazzata. Fu così che portai quel volume di 481 pagine che pesava oltre 3 chili "in braccio" sino a casa con la cura che si riserva a un bambino oltre a una grande soddisfazione.

Riuscite a vederlo in queste immagini quant'è bello? Ecco, vorrei raccontarvi qualcosa della sua storia, e dunque del suo autore, Padre Domenico Canalella. Sconosciuto, purtroppo, ai più anche perché, a dispetto della sua grande cultura, del suo grande intelletto e delle sue capacità di letterato, era molto schivo e riservato, quasi timido.
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A raccontare di lui è Padre Michele M. Fortuna O.P. che nell'introduzione dell'opera, lo descrive come "un uomo dalla corporatura grassoccia che la prima volta che lo vide gli fece balenare in mente l'idea di San Tommaso redivivo"…

Un uomo che ebbe un dono speciale e lo mise a servizio dell’umanità.

Il suo nome di battesimo era Salvatore, era nato a Mussomeli, in provincia di Caltanissetta il 28 giugno del 1914 da una famiglia umile e onesta. Il papà era pastore e la mamma casalinga. Purtroppo la donna morì quando Salvatore aveva appena 12 anni lasciando un profondo vuoto e dolore nel suo cuore. Ad ogni modo, nonostante la fatica del cuore riuscì a finire egli studi primari ma poi dovette abbandonare per aiutare il padre e occuparsi del gregge. E così tra un pascolo e l’altro, lui leggeva la parola di Dio.

Crebbe in lui il desiderio di diventare un sacerdote, lo comunicò al padre che era persona assai sensibile e così fu che Salvatore entrò nel Seminario diocesano di Caltanissetta. Dopo 8 anni però, per motivi di salute dovette lasciarlo per curarsima quando fu pronto per rientrare trovò un “muro” da parte del Vescovo, che non volle riaccoglierlo in seminario ritenendolo non idoneo a quel percorso.

Ma Salvatore sapeva che le strade del Signore sono diverse dalle nostre e senza perdere la speranza attese, continuando a perseverare in quella che sentiva essere la sua strada. Fu così che un giorno Padre Domenico Mingoia, provinciale dei domenicani in Sicilia e Calabria, si trovava a Mussomeli. S' incontrarono e Salvatore parlò col cuore in mano, a tal punto che fu preso in prova. Nel frattempo Salvatore aveva cambiato il suo nome di battesimo come si usa nell'ordine Domenicano.

Iniziò così la sua strada nuova che lo portò al sacerdozio tanto anelato. Iniziò il suo ministero ad Acireale e poi a Catania, fu mandato a Messina e gli ultimi vent'anni della sua vita li passò invece a Palermo, dove morì il 30 luglio del 1978 dopo una lunga malattia.

Amava tanto il sacerdozio quanto la letteratura, passava il suo tempo leggendo e studiando lettere classiche e gli autori che avevano prodotto opere in dialetto siciliano. Per questo "gigantesco" lavoro che fu la traduzione della Divina Commedia, ottenne la Medaglia d'Oro al merito dal Ministero della Pubblica Istruzione.

Cosa lo abbia mosso nessuno lo sa davvero, che poi a pensarci bene, non sappiamo davvero nemmeno cosa mosse Dante a tal lavoraccio. Non in senso dispregiativo ovviamente, intendo dire che indubbiamente sarà stata una grande prova, mentale e fisica. E una spinta deve essere arrivata da qualcosa, da qualcuno.

Padre Canalella nella sua vita compose canti, proverbi ritmati, fiabe, racconti e poesie bellissime, persino una, prima di morire, fu scritta per l'assassinio di Aldo Moro.

Era dotato di straordinaria capacità di traduttore, e già prima aveva tradotto tradusse in dialetto siciliano L'iliade e l’Odissea, Le Bucoliche di Virgilio e in italiano tradusse l’intero Salterio Biblico.

Bisogna certamente dire che nel corso dei secoli altri hanno tradotto la Divina Commedia nel proprio dialetto, alcuni arrivando alla fine (chi mediocremente e chi in maniera eccellente), altri traducendo solo alcuni canti, altri hanno lasciato stare, si trattava infatti di un lavoro enorme e per il quale erano necessarie non comuni capacità linguistiche.

Prima di andare avanti credo sia doveroso spendere qualche parola anche su chi si è mosso per realizzare la pubblicazione di quest'opera. Padre Michele Fortuna è stato direttore e curatore per oltre 20 anni della Biblioteca di S. Domenico in Soriano Calabro di proprietà dei Padri Domenicani e nel corso del tempo si è imbattuto in tanti ma proprio tanti testi e opere ma avendo questa spesso tra le mani, nella sua maestosità, circa 500 pagine, non si capacitava del fatto che non fosse mai stata stampata a "beneficio del pubblico".

Cominciò così una strada tortuosa, perché furono diversi i rifiuti da parte degli editori: pubblicazione degna di elogio ma poco commerciabile.

Un’apertura arrivò dall’Editore Pellegrino di Cosenza che si mostrò entusiasta della proposta ma ben presto dovette abbandonare il progetto, non trovando finanziamenti e temendo forti perdite finanziarie. Ma Padre Michele M. Fortuna non si perse d’animo e allora scese più a sud, qualcuno gli aveva fatto il nome della Nuova Ipsa Editore di Palermo e Don Claudio Mazza dopo avere visionato alcuni canti tradotti accettò con entusiasmo di pubblicare l’opera.

In occasione della presentazione della Divina Cumeddia nel 2004 fu giustamente ricordato, e voglio farlo anche io quindi, che la traduzione in Siciliano della Divina Commedia è un’impresa che ebbe inizio con il letterato messinese Tommaso Cannizzaro all’inizio del Novecento (1904). Ci sono traduzioni sia integrali che parziali, molte, la maggior parte, inedite e conservate presso conventi e Biblioteche.

Si ricorda il lavoro di Salvatore Salomone Marino "Di Alcuni luoghi difficili e controversi della Divina Commedia interpretati col volgare siciliano", e quello di Giuseppe D’Anna "La Sicilia nella Divina Commedia. Saggio bibliografico". Ma esiste anche una versione completa della Divina Commedia realizzata nel 1915, una traduzione del letterato alcamese Vincenzo Mirabella Corrao e rimasta inedita e ancora una traduzione del 1923 ad opera del medico di Misilmeri Filippo Guastella, e ancora quella del messinese Alberto La Maestra, opera inedita anch’essa.

Ne vennnero menzionate altre due, quella effettuata nel 1978 a Catania da Santo Bellia (che di mestiere faceva l'intagliatore di pietra, e la traduzione del 1986 della poetessa messinese Rosa Gazzara Siciliano. Di certo è “evidente la devozione che i poeti del popolo siciliano hanno sentito costantemente nei secoli verso il maggiore genio poetico che la natura umana abbia prodotto nel mondo”.

La Divina Cumeddia di Canalella si colloca quindi in un periodo dove forte erano la ricerca e gli studi danteschi di cui è stata prodiga la Sicilia e l’interesse e per le traduzioni siciliane della Divina Commedia.

Quest’opera, che è sintesi tra Cultura siciliana e studi danteschi, va tutelata e merita sicuramente di essere diffusa. Oggi far sapere della sua esistenza (già, si tratta proprio di questo) è sicuramente più semplice grazie al web. Che poi venga letta, chissà... "ogni cosa ha il suo tempo", intanto possiamo darle luce nuova e vedere che accade.

Tanto si è disquisito in passato sulla necessità e opportunità delle traduzioni in dialetto della Divina Commedia; questo lo lascio ai letterati, ai critici, io da giornalista trovo doveroso raccontare questa storia e da lettrice e da siciliana posso garantirvi la mia emozione nel leggere i versi di Dante, a noi tutti cari, nella mia lingua. Nel mio dialetto.

Un grande calore e una grande emozione.
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