Palermo non è (mai stata) Disneyland, ma neanche così: ti alzi e non sai cosa ti aspetta
Uno dei commenti più comuni in cui ci si imbatte la mattina sui social è: "la situazione sta sfuggendo di mano". No, la situazione è già sfuggita di mano

Via Maqueda a Palermo
Che Palermo non sia Dinsneyland questo è chiaro, lo sappiamo tutti, lo abbiamo sempre saputo. "Buttanissima" la Sicilia non lo è a caso, lo è stata sempre. Dominata, sfruttata, violentata, contaminata.
E come una buttana, per l’appunto, si è sempre adattata (o dovuta adattare) a tutto: ai tuguri, alla monnezza, alla fame, al fetore dei cattivi clienti, alle elemosine, alle maîtresse intransigenti, agli orari indicibili, ai marinai, agli ubriaconi, a quelli che pagano solo per un po’ d’affetto, alle promesse (sempre le stesse), ai quelli del nord, ai siciliani, a cu mancia e caca, ca tanto poi addiventa Papa.
A zita chista è! La notizia per fare notizia deve essere una novità.
Ma in questa storia di violenza dove sta più la novità? È normalità, come era normale il bollettino di guerra a tempo di guerra. Oramai è andata a finire come la storia del leone e la gazzella che si svegliano la mattina.
Proprio così, ogni mattina, a Palermo, un palermitano si alza per vuscarsi la giornata e sa dovrà correre più della l’incuria e della violenza, altrimenti vuscherà solo vastunate da un pugno di cunsumati ca vuonnu cunsumare all’avutri.
Ogni mattina, a Palermo, un turista si alza e ha paura di uscire per strada, perché l’altro ieri un suo connazionale è stato derubato e pestato da quattro scimuniti che puzzano di latte ma s’annacano.
«Tempi duri generano uomini forti, uomini forti generano tempi felici. Tempi felici generano uomini deboli, uomini deboli creano tempi duri». Ha ragione questa stupida frase fatta? Non lo so, ne ho i miei dubbi, letta così sembra un cane si morde la coda disegnato a posta per chiudere il cerchio. Si stava meglio quando si stava peggio?
Personalmente mi sono imbattuto in un articolo di un giornale palermitano del 1944 e non mi sembra cambiato granché. Per noi, siciliani, è da poco finita la guerra con lo sbarco degli americani che ci hanno liberato. E come sono questi giovani palermitani all’indomani di questa bella liberazione?
Il giornalista che al tempo si sigla C.V. scrive così: "Girare Palermo in qualsiasi ora del giorno offre uno spettacolo che fa restare profondamente turbati.
Nel nostro cammino ci siamo dovuti sovente fermare per far passare tra le nostre gambe la furia veloce di una turba di straccioni. Erano fanciulli, grandi e piccoli, sporchi e magri, stracciati e nudi. Saltavano, gridavano, bestemmiavano, e altro e altro.
Fanciulli, ma fanciulli strani… . Fanciulli che non chiedono l’elemosina (le parti si sono invertite, l’elemosina la chiedono i genitori) ma commerciano e rubano. Fanciulli, ma fanciulli nuovi nella specie.
Sono stracciati e posseggono molto denaro. Come lo posseggono? Non lo sappiamo, nessuno lo sa, neanche le autorità che dovrebbero interessarsene. Del resto, le autorità camminano in macchina e non li vedono.
Altrove, sulle aiuole di un’arteria principale, ne abbiamo visto alcuni giocare a carte, giocavano con molto denaro. Il gioco non è andato molto bene. Soldi, carte, noccioline sono andati in aria, due agenti di Pubblica sicurezza guardavano sorridendo. Questi sono i nostri fanciulli, tali li vediamo nelle nostre strade, ogni giorno, ogni notte.
Ogni notte, ammucchiati presso i gradini di una chiesa o vicino le luci di un caffè notturno, soli con il vizio sotto un braccio, la tubercolosi sotto l’altro e le epidemie tra di loro.
Neanche la notte le autorità li vedono. La notte le autorità non escono, ci sono i ladri, molti ladri, e sovente i ladri sono i fanciulli. Fanciulli strani, pieni di stracci e vizi”.
Sinceramente, a parte le scorie atroci della guerra, in questa descrizione non ci trovo tanta differenza con quello che vedo in giro io oggi. Forse non ci accorgiamo o non ci vogliamo rendere conto che, come disse qualcuno, le cose cambiano per rimanere sempre le stesse. Non accorgersi è più facile.
È come in una delle scene di Baaria di Peppuccio Tornatore, quando Peppino Torrenuova, il protagonista, torna da dalla Francia, dopo essere mancato un anno da Bagheria per lavoro, e passando dalla piazza del paese si sente chiamare dagli anziani seduti anche loro sui gradini della chiesa: “Peppì, ma chiffà, sta partennu?” "i primo trenu chi parti ci acchianu, e buonanotte ai sunatura”. Niente, in nulla.
Certo, i tempi sono cambiati, adesso sono scanditi dai social, da Facebook, Instagram, Tiktok (o come lo chiamano quelli del dark side nostrano: U Ticchitocchi).
Pistole, banconote, auto, collane, tutto un grande spettacolo, di cattivissimo gusto. Il sociologo Codeluppi teorizza di vetrinizzazione della società, facendola risalire addirittura al 700.
George Simmel parlava già nel 1903 delle conseguenze della sovraesposizione sociale dell’individuo causate dall’avvento delle metropoli (e cu fu Nostradamus?!).
Oggi sento, invece, sempre più spesso, parlare di Gomorrizzazione. La colpa è di Gomorra, delle serie tv, senz’altro. Vietarle! I nostri poveri ragazzi, immersi tra i classici greci e latini e le terzine di Dante, vedono per caso un episodio di Gomorra e improvvisamente sentono il bisogno di prendere un tirapugni, un coltello o una pistola, scendere di casa e sparare a un cristiano, al primo che gli capita.
Come se queste cose nei quartieri a rischio non succedano già a prescindere, come se non siano già successe in passato prima di essere mandate in tv, come ci fossimo dimenticati che gli squadroni della morte, ai tempi della mattanza di mafia, non fossero allora composti quasi interamente da ragazzini di 17,18 e 19 anni.
Che serie tv emulavano questi? Me la vedo già tutta, da domani stop alle serie tv e da Brancaccio allo Zen tutti improvvisamente Ghandi e Nelson Mandela, fiorellini e scambiamoci un segno di pace.
Oppure si intende vietarle a noi, così non ne parliamo, non le vediamo e come la polvere sotto il tappeto se non si vede non c’è. Di chi è la vera colpa di tutto questo?
Bho, forse è mia, nostra, di tutti, di chi ci ha cresciuti e di quelli che c’erano prima e prima ancora e che hanno cresciuto quelli che ci hanno cresciuti, oppure di nessuno.
Nel 2022 l’Ocse lanciava un allarme avvertendo che in Sicilia ci sono 300.000 analfabeti e che il 50% dei giovani risulta inattivo e senza speranza.
Mi chiedo ancora, a quale 50% appartiene la colpa, a quello senza speranza o a quello con la "speranza" che ci arresta ‘ncapu a panza? Onestamente non ne ho idea, vi rispondo come C.V., il giornalista di quell’articolo del 1944: «Non lo sappiamo, nessuno lo sa, neanche le autorità che dovrebbero interessarsene».
Rimetto la domanda a chi è stato eletto per dare delle risposte.
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