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Per tutti è "solo" pietra lavica, ma non per i catanesi: la roccia dell’Etna tra superstizioni e magia

Ogni volta che si pensa all’Etna riaffiorano alla memoria miti, leggende e racconti. Si sono tramandate fino ai giorni nostri aneddoti misteriosi e inverosimili sulla rinomata “petra ‘ da muntagna”

Livio Grasso
Archeologo
  • 14 ottobre 2021

Lo scatto dell'Etna di Luciano Gaudenzio, vincitore del "Wildlife Photographer 2020"

Ogni volta che si pensa all’Etna riaffiorano alla memoria miti, leggende e racconti che trasmettono la sensazione di una realtà immaginifica a metà tra fascino e timore reverenziale. L'Etna, madre naturale del capoluogo etneo, è il simbolo inossidabile di Catania e dintorni. In particolare, il cuore del “Vulcano” è innescato da un elemento che ne esprime sia la potenza che la bellezza: la lava. Sebbene pericolosa e distruttiva, non si può negare il legame viscerale che la tiene unita ai catanesi e a tutti gli abitanti dei paesi etnei.

Molti, infatti, sono stati gli architetti e gli scultori che nella storia ne hanno fatto un valido strumento per l’ingegno umano, soprattutto nell’ambito dell’edilizia e dell’arte. Secondo quanto emerso dalle fonti storiche, quello che viene comunemente chiamato “basalto dell’Etna” era adoperato per la costruzione di strade ed edifici già dai tempi dei romani.
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Non a caso, le vie urbane edificate nel territorio etneo sono state forgiate proprio con il materiale lavico, che coniugava in sé il perfetto binomio di qualità e resistenza. Anche dopo il violento terremoto del 1693, la pietra della cosiddetta “ Muntagna” divenne risorsa prediletta per la rinascita di Catania.

Basti pensare al famoso architetto Giovanni Battista Vaccarini che, facendo uso della roccia lavica, ha mutato il volto urbano della città con la progettazione di palazzi in stile barocco romano, ammirevoli soprattutto per la sapiente combinazione di bellezza indistruttibilità e funzionalità. Il rivestimento delle strutture in pietra lavica caratterizzò per lungo tempo il tratto distintivo non solo di Catania, ma anche di tutti i paesini limitrofi ubicati alle pendici dell’Etna.

Tuttora, andando in giro da quelle parti, saltano all’occhio muri a secco, case padronali e terrazzamenti interamente tappezzate di basalto dell’Etna. Inoltre, questo prezioso materiale viene utilizzato anche per la maiolica.

Nel corso dei secoli non sono stati pochi gli artigiani che si sono sbizzarriti nella più variegata produzione di prodotti ceramici, gioielli e varie opere d’arte; di grande pregio anche le numerose realizzazioni di piatti, vasi, lampade e bottiglie che ancora oggi risultano essere ampiamente apprezzati in ogni parte del mondo. La tradizione parla anche dei così chiamati “pirriaturi”, operai addetti all’estrazione e alla lavorazione della pietra nera.

Sappiamo che in principio si privilegiava la sezione superficiale del banco roccioso, ritenuto più duttile e malleabile ai fini del modellamento. Di questa antica pratica ne parla un certo Nino Pràstani, autore del libro “La morbida resistenza della roccia”. A Catania, in via Santangelo Fulci, si trova pure il “Museo di Scultura in Pietra Lavica”, noto come “Il Nino Valenziano Santangelo”.

La pietra dell’Etna, inoltre, non è solamente simbolo di ornamento, bellezza ed arte; secondo i racconti popolari, infatti, la roccia lavica aveva un profondo legame anche con le superstizioni e la magia. Alcune testimonianze, per esempio,riferiscono che nei vecchi rituali ci si avvaleva proprio delle pietre nere per allontanare l’influenza delle energie negative. Questa è la ragione per la quale si sono tramandate fino ai giorni nostri aneddoti misteriosi e inverosimili sulla rinomata “petra ‘ da muntagna”.

Malgrado poco credibile, ecco un frammento di rituale magico scovato tra le memorie di una nonnina di Nicolosi: “Fate riscaldare nell’acqua calda la pietra lavica. Poi, avvolta in un panno, strofinatela nelle parti del corpo che vi tormentano o per dolore fisico o per quello mentale. Vi toglierà tutto il male, le fatture e le negatività”.
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