STORIA E TRADIZIONI
Perché la festa di Casteltermini si chiama Taratatà: il rito tra le "maschiate" e le sfilate
Ogni spiegazione può essere valida e la singolare ricorrenza della festa, che cade in un tempo prestabilito dopo Pasqua e prima del Corpus Domini
La festa della croce di Casteltermini
Tutto inizia intorno al 1600 quando degli allevatori si accorsero che una mucca s’inginocchiava in un posto ben preciso del pascolo. Incuriositi dallo strano comportamento dell’animale, scavarono in quel luogo trovando una croce in quercia di oltre tre metri.
Questa è l’origine della festa religiosa iniziata nel 1667.
La croce lignea è stata più volte analizzata e nonostante pareri e confutazioni, potrebbe essere una delle croci più antiche del periodo paleocristiano, databile tra il 12 e il 70 D.C. Protagonista, raccoglie l’intero popolo di Casteltermini, che in questo simbolo, si sente rappresentato, benedetto e protetto.
C'è chi ricorda un combattimento tra "Saracini e Cristiani" come scriveva Pitrè; una danza rituale di schiavi, una specie di Capoeira tutta siciliana, ed effettivamente il dondolare e saltellare, potrebbe evocare questa disciplina; un rito propiziatorio stagionale, oppure l’atto di spatolare lino o grano.
Ogni spiegazione può essere valida e la singolare ricorrenza della festa, che cade in un tempo prestabilito dopo Pasqua e prima del Corpus Domini, corrisponde all’antica celebrazione ebraica del grano.
Ma cos’è il “Tataratà”? È il suono ritmico dai tamburi che cadenza sia la danza rituale, accompagnata dallo sbattere delle spade, ma anche il cadenzare ritmico tutte le attività della festa. Il Tamburo è ancora una volta strumento cardine e privilegiato di antichi e ancestrali riti.
Tutto inizia a Pasqua quando quattro Corporazioni si stringono al loro, rappresentate, il Paliante, con tamburi e rime vernacolari di ringraziamento che preannunciano la futura festa. Ma andiamo con ordine, addentrandoci nell’articolato programma.
Casteltermini ha un sistema di maestranze/ceti che oltre alla venerazione per la Santa Croce, si contendono onore e rispetto attraverso l’innalzamento dei loro Palii e la sfilata di superbi cavalli che si esibiscono in esercizi di alta scuola equestre.
Mi racconta i vari risvolti uno degli organizzatori, Ignazio, descrivendomi storia ed emozione tramandata da generazioni e a lui arrivata attraverso il padre, Calogero.
I Ceti sono quattro: La Real Maestranza rappresentata dai notabili del paese; i Pecorai cui appartiene Ignazio, considerato un ceto influente; i Celibi, gli uomini non sposati; i Borgesi, i contadini, a cui si affiancano i Burdunara, gli operai che lavorano nei campi, che non sono un vero e proprio ceto.
Tutte le maestranze hanno un Palio riccamente adornato con l'emblema della croce, tranne i Celibi che hanno uno stendardo. Tutti sfilano a cavallo contendendosi, attraverso un’asta di diverse migliaia di euro, la posizione migliore "l’uscita" durante la sfilata.
Sono tre i giri che saranno compiuti la domenica, dal pomeriggio sino alle 24.00; con l’ultimo che decreterà la fine della festa alle prime ore del mattino. La tradizione legata ai cavalli ha una storia antica in questo Comune, dove si dice che non ci fosse casa senza una stalla.
Sono animali stupendi, ben 400 "stelle" d’ineguagliabile bellezza e valore. In questa complicata assegnazione di compiti e ruoli, il Paliante è colui che per grazia ricevuta dalla Santa Croce, o per devozione rappresenterà il suo gruppo.
Nel secondo giro sarà in sella a un mulo ricoperto da una candida coperta bianca, con paraorecchie, da un lato avrà il Paliente del prossimo anno, dall’altro quello che lo sarà fra due.
Non solo cavalli, quindi, ma anche muli riccamente addobbati, montati dai Burdunara che li faranno "correre" per le strade del Comune. Mancano in questa descrizione i “tutori” della festa e della tradizione, la Triade, composta dal Capitano, Sergente e Alfiere.
Quest’anno saranno tre sorelle, che dalla casa comunale mostreranno le loro insegne: spada, lancia e bandiera. Onore, rispetto, riconoscimento sociale, identità sono legati all’alzata del Palio e alla sua discesa così com’è emozionate quello che succederà dopo "il quinto sparo", Calogero ricorda in un bellissimo docu-film della festa: "M’affacciano le lacrime, mi ribolle il sangue, non so manch’io cosa provo…".
Maschiate (spari), la sfilata storica, la Messa e la Benedizione, la degustazione dei “pasticiotti “, le uova, carciofi e vino offerti a tutta la popolazione, i "giri" con muli e cavalli e uno stallone ricoperto da pelle di montone nero e una catena al collo, il suono delle bande (ogni ceto ha la sua banda con la musica composta esclusivamente per la festa), l’incessante rullio di tamburi… è questa la festa di Casteltermini, un unico, grande, emozionate, battito del cuore.
Calogero, il padre di Ignazio, quest’anno non ci sarà se ne è andato prima della festa, a novant’anni, lasciando un vuoto nel ceto dei Pecorai, testimone e patriarca della loro tradizione.
Mi piace, però, pensare che in quei tamburi, ritmo di tutti e di ogni cosa, anche quest’anno ci sarà il battito del suo cuore, insieme con tutti quelli che dal 1667 onorano questa Croce e questa festa , saremo tutti insieme in un lungo, intenso, “Tataratà”.
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