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Quelle croci hanno fatto il giro del mondo: chi è l'artista che fa "rinascere" i barconi di Lampedusa

In una di quelle spiagge in cui ha teso la mano in varie occasioni per salvare più vite possibili, Francesco ha avuto l’idea che lo ha reso famoso ovunque. La sua storia

  • 1 luglio 2021

Francesco Tuccio

Era scritto nel suo destino. Non poteva che diventare un artigiano e artista del legno, lui che del legno è «impregnato» da sempre. Da quando, piccolino, ne annusava l’odore facendo compagnia al padre mastro d’ascia che costruiva barche.

Una storia semplice all’apparenza, come ce ne sono tante. Ma non è così. Perché Francesco Tuccio non è nato in un posto qualunque: è nato a Lampedusa.

In quell’isola di confine dove il mare accoglie alcuni e inghiotte altri, dove il legno diventa simbolo di morte e di rinascita allo stesso tempo, dove le onde restituiscono le tragedie a chi ha gli occhi per guardarle e il cuore per ascoltarle.

E proprio davanti al dolore Francesco non è riuscito a rimanere indifferente, sentendo il bisogno di realizzare, con le proprie mani e la propria arte, delle croci che potessero ridare in qualche modo la vita a chi quella vita l’aveva persa senza neanche lasciare un nome perché, come canta Gianmaria Testa, «un nome è perduto per sempre se nessuno lo chiama».
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«Era il 2009. Con alcuni amici della parrocchia andavamo a soccorrere i migranti che arrivavano sulle coste, li aiutavamo, li confortavamo e, di nascosto, li portavamo a fare una doccia, procurando anche dei vestiti puliti» - racconta con la voce di una persona che in quegli sguardi ha visto la paura e il terrore, ma anche la riconoscenza e la gioia.

Tante volte si è trovato lì e tante volte ha ricevuto l’abbraccio di chi, salvato, «ringraziava per il poco che gli veniva dato».

Un’esperienza che lo ha segnato più di ogni altra cosa, facendogli «capire l’importanza della vita e della sofferenza perché spesso, se non la si tocca con mano, non la si comprende pienamente e si continua a vivere scontenti pur avendo tutto».

Proprio in una di quelle spiagge dove ha teso la mano in varie occasioni, Francesco ha avuto l’idea che lo ha reso famoso ovunque.

«Quando arrivavano i pezzi di legno delle barche affondate spinti dalle onde del mare . racconta -, mi sembrava di vedere dei cadaveri in acqua, persone alla deriva che andavano su e giù. Sapevo che con quel legno dei barconi arrivavano in molti, ma anche che molti altri non riuscivano ad approdare. E così ho pensato di realizzare una croce».

Un simbolo forte e importante, «un segno di rinascita e di libertà», che gli dava (e purtroppo gli dà ancora) la «sensazione di salvare una persona».

«Per ogni croce realizzata è come far risorgere qualcuno», come rendere giustizia alle ingiustizie subite.

Sono uniche e speciali perché unico e speciale è il legno con cui le crea, intriso della disperazione e delle lacrime dei migranti: «Io cerco quello che viene dal mare, non quello del deposito dove portano i barconi, perché per me è nei pezzi che arrivano con le onde che c’è un significato in più. Lo raccolgo d’inverno, durante le mareggiate».

Oggi le sue croci hanno fatto il giro del mondo e alcune sono state ospitate in musei di rilievo internazionale: dal “British Museum” a Londra, dove una è esposta permanentemente, al Musée National de l’Histoire de l’Immgration di Parigi, dalla Germania all’America, dal Nord Europa all’Australia, ormai non ci sono confini per le sue opere.

Anche Papa Francesco ha ricevuto una sua croce pettorale, poco prima del suo arrivo sull’isola nel 2013.

«L’avevo mandata insieme a una lettera del prete e dopo quaranta giorni abbiamo saputo della sua visita» - racconta Francesco - «Quando l’ho scoperto non stavo più nella pelle, da cattolico per me era un sogno e mi sembrava di volare.

Anche perché il parroco mi ha coinvolto chiedendomi di realizzare tutto quello che poteva servire per la messa. Dall’altare al calice al pastorale, ho lavorato intensamente per dieci giorni e ho costruito tutto con il legno dei barconi, in segno e memoria degli ultimi. Il Papa era molto contento e mi ha ringraziato dicendomi di continuare con il mio lavoro. Mi sembrava di volare».

Un’emozione non da poco per chi, come Francesco, mette dei sentimenti in ciò che crea. Per chi, come lui, prova a far rinascere chi non ha potuto toccare quella terra tanto sognata, dandogli in qualche modo una sepoltura e ricordando a tutto il mondo che «prima viene l’essere umano, che va salvato, e poi tutto il resto, perché tutti, senza se e senza ma, abbiamo il diritto di vivere la vita».

Speriamo che, prima o poi, Francesco si ritroverà davanti al mare d’inverno soltanto per assaporarne la bellezza, senza raccogliere ciò che l’acqua inesorabilmente restituisce col tempo.
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