STORIA E TRADIZIONI
Se sudavano (in tunica) pure greci e romani: come imprecavano per l'afa in Sicilia
Ne hanno scritto, studiato gli effetti e provato perfino a negarlo. Altri capirono che il clima non si conquista. Come affrontavano il caldo, da Agrigento a Siracusa

Valle dei Templi, Agrigento
È quel momento in cui il caldo non si misura in gradi, ma in "resistenza dell’anima". E mentre tu ti sciogli sul divano come un gelato dimenticato, sappi che non sei solo.
Prima di te, anche i greci e i romani hanno affrontato l’afa siciliana. E anche loro – possiamo scommetterci – hanno imprecato in greco e in latino. E se pensiamo al caldo dell’ estate, non vi viene in mente il sole di Apollo e il termometro a clessidra?
Fa caldo, lo so, ma proviamo a tornare indietro nel tempo ed immaginiamo cosa avrebbero pensato gli antichi di queste bollenti temperature! Quando i Greci arrivarono in Sicilia, pensavano di trovare un Eldorado.
Mare, colline, fichi, olio, templi e poesia. Poi scesero a Siracusa ad agosto. «Ma qui si muore!» avrà esclamato un colono sudato, guardando verso il cielo con la stessa espressione di un forno che scopre di essere entrato dentro un altro forno.
Eppure, i greci amavano spiegare tutto, anche il caldo. Anassagora, ad esempio, pensava che il sole fosse una pietra infuocata più grande del Peloponneso (mica pizza e fichi).
Empedocle, che tra l’altro era di Agrigento, sosteneva che l’universo era un mix di fuoco, aria, acqua e terra. Ecco, in Sicilia qualcuno ha lasciato il rubinetto del fuoco aperto! Il povero Aristotele, nel suo Meteorologica, cercò di spiegare i fenomeni atmosferici. Scrisse che il calore veniva dal sole e che, evaporando l’acqua, generava le nuvole.
Sarebbe stato interessante vedere la sua faccia dopo tre giorni di scirocco a Lentini, senza una nuvola in vista e il mare che si ritira per protesta. Probabilmente anche lui, sotto un ulivo, mentre prendeva appunti con la toga incollata alla schiena, elaborando una teoria del sudore, si chiedeva se non fosse il caso di dedicarsi alla pesca.
I romani, conquiste, terme e sudate epiche. Quando i romani misero piede in Sicilia, capirono subito che l’unica cosa che non avrebbero potuto conquistare o addomesticare era il clima.
Tito Livio, nei suoi racconti delle guerre puniche, descrive soldati stravolti dal sole siciliano, che avanzavano a stento mentre le armature diventavano padelle.
Ma i romani erano pratici. Se il caldo è inevitabile, almeno che sia organizzato: ecco le terme. Calidarium, tepidarium, frigidarium… praticamente il menù degustazione dell’afa.
Eppure, anche Cicerone – che veniva in Sicilia come questore – annotava che «l’isola è splendida, sì, ma di giorno pare che Vulcano stesso ci soffi sul collo».
In tutto ciò, l’unico vero sollievo restava sempre lo stesso: l’ombra. I greci la cercavano sotto i portici, i romani sotto le pergole. E oggi come allora, non c’è nulla di più sacro dell’ombra di un carrubo.
È lì che si ferma il tempo. Che si riprende fiato. Che si filosofa per davvero. Altro che stoà o foro: il pensiero profondo nasce solo quando smetti di gocciolare dalla fronte.
Furono elaborate teorie afose e persino dimostrate verità assolute! Plinio il Vecchio, enciclopedico come pochi, annotava nel suo Naturalis Historia che alcune zone della Sicilia erano «più calde del deserto».
Il che, detto da uno che girava l’Impero, fa riflettere. Seneca invece, amante della stoica sopportazione, avrebbe sicuramente consigliato di accettare il caldo con disciplina interiore.
Facile per lui, che scriveva da una villa con fontane. Prova tu ad accettare lo scirocco chiuso in un bilocale con le tapparelle rotte! Forse è proprio questo il segreto della Sicilia: un caldo che non si può raccontare, ma solo vivere. Un’epica del sudore che ci unisce tutti – greci, latini, normanni, turisti svedesi.
Perché in fondo, sudare in Sicilia è un rito d’iniziazione. E chi non l’ha mai fatto tra le colonne di Selinunte o durante una sagra a mezzogiorno, non può dire di conoscere davvero quest’isola. E mentre tu ora stai leggendo, magari col ventilatore che gira come un mulino impazzito, pensa che Aristotele probabilmente avrebbe apprezzato.
Magari non tutto il caldo, ma almeno l’ironia. Perché se c’è una cosa che, da duemila anni, non cambia mai… è la nostra faccia quando diciamo: «Ma oggi si muore dal caldo!».
E lo dicevano pure loro. Con toga e sandali. E senza climatizzatore. Infine sono degni di nota due filosofi, sudati, ma profondi. Platone, per esempio, avrebbe sicuramente visto nel caldo una metafora.
Per lui, ogni cosa del mondo sensibile era solo un’ombra dell’Idea perfetta. Quindi, anche il caldo siciliano, secondo lui, non era il vero Caldo, ma una sua copia imperfetta.
«Questo non è davvero caldo – avrebbe detto, gocciolando sulla tunica – è solo l’eco sensibile dell’Archetipo del Caldo, che vive nel mondo delle Idee».
E intanto il discepolo lì accanto, già mezzo disidratato: «Maestro, io però muoio sul serio.» Aristotele, più concreto, avrebbe preso appunti con metodo: «Il caldo è una qualità attiva e secca, generata dall’interazione tra l’etere e l’aria…» – e bla bla bla – mentre si sventolava con una foglia di fico.
In realtà, anche lui, nel profondo, si chiedeva con un’ironia per contrasto: «Ma perché diavolo ho fondato il Liceo ad Atene e non a Caltanissetta, che almeno c’era vento?». Filosofi sì, ma molto sudati.
Alla fine, caldo o non caldo, la Sicilia resta un luogo dove anche l’afa ha qualcosa da raccontare. Una terra che ti abbraccia con il sole e ti stordisce di bellezza, tra templi millenari, ulivi silenziosi e storie che sanno di mare e filosofia. Perché qui, anche il sudore è cultura.
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