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Torna a Palermo e trasforma un mestiere in arte: il fabbro che crea sculture in metallo

Ciò che sorprende, sopra ogni altra cosa, è come la materia grezza, ricambi e lastre di metallo, possa essere plasmata in figure tanto precise. La storia di Salvo Vella

Livio Cavaleri
Redattore editoriale
  • 13 febbraio 2023

All’ingresso del locale, un Alien, dal corpo lucido e acuminato, è ritto sulle zampe posteriori; accanto al protagonista-antagonista dell’omonima saga creata da Ridley Scott e colleghi, c’è la maschera di un Predator, suo acerrimo nemico e a sua volta protagonista di una serie cult.

E poi il volto di Catwoman e il Mandaloriano, il personaggio della serie Star Wars, a figura intera.

Non è una sala del Museo del cinema di Torino ma l’entrata della bottega di Salvo Vella, in arte Saweldart, con le sculture in metallo ordinate su due mensole, a destra e a sinistra. Ci sono pure Atlas, alto cinquanta centimetri, che regge un globo stilizzato, il gufo Anacleto con l’ala bionica, una libellula gigante.

«Era l’albero a camme di un’auto» spiega Salvo «non sapevo cosa sarebbe diventato fino a quando non ho iniziato a lavorarci. Poi è venuta fuori una libellula. Anche i gufi sono fatti con pezzi di ricambio di macchine».
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Al centro della stanza, una poderosa araba fenice spalanca le ali metalliche e ghermisce tra gli artigli la cellula del covid. «È il simbolo della rinascita dopo la pandemia».

Lo scultore, in videochiamata, continua il tour del suo laboratorio. «Questa era l’officina di mio padre. Qui sono cresciuto e ho imparato il mestiere di fabbro» racconta. Dopo aver lavorato a fianco del genitore, Salvo si trasferiva in Inghilterra per continuare l’attività e costruire cancelli e cassoni, per cinque anni.

Nel frattempo maturava l’idea di tornare a Palermo e dedicarsi alla scultura. Nel 2017 comincia così la sua esperienza artistica.

«Le prime opere erano figure classiche, come Perseo o la Nike. Poi ho iniziato a fare figure originali in versione steampunk e cyberpunk, stili che si addicono ai pezzi utilizzati».

In fondo alla seconda stanza, che è il cuore della bottega, una collezione di ingranaggi è appesa alla parete. «Dai meccanici prendo i pezzi di scarto, faccio una cernita, scelgo i più interessanti».

Le opere di Saweldart trascendono la materia prima: per la curiosità del soggetto, la forma e il dettaglio, il fascino dell’interpretazione; sono idee mutuate dall’arte antica (il busto di Nefertiti o il cavallo), dal cinema (Alien, il Mandaloriano) oppure suggestioni fantascientifiche come l’arciere dal braccio cibernetico (dal nome Riddick, dalla trilogia filmica con Vin Diesel).

Ciò che sorprende, sopra ogni altra cosa, è come la materia grezza, ricambi e lastre di metallo, possa essere plasmata in figure tanto precise.

«Non faccio disegni preparatori ma lavoro direttamente il materiale. Guardo il pezzo, vedo la forma e mi viene l’idea. La cosa più importante è vedere il pezzo finito. Poi bisogna sagomare a caldo e la forma non viene mai al primo colpo; bisogna tagliare, fare tentativi, poi ti riesce un pezzo, un braccio per esempio, e lo metti da parte. Con la lamiera da forgiare i tempi sono più lunghi».

Salvo mostra Anais, il busto di androide donna quasi a grandezza naturale. La testa e il volto sono fatti di lamiera, forgiata e levigata; un carburatore è incastonato dentro lo sterno; rotelle d’ingranaggio hanno preso il posto degli organi; il tutto è saldato. La materia prima utilizzata può avere origini diversissime.

Salvo inquadra un gruppo di estintori nell’angolo: «Con la superficie di un estintore ho realizzato una scultura a forma di cuore, dopo averla piegata e smerigliata».

Una coccinella, invece, possiede ali di alluminio realizzate a partire da vecchie padelle. Un rettangolo del pavimento è tracciato con il nastro adesivo: serve a calcolare lo spazio per lo stand che Salvo allestirà alla prossima fiera di Parma, dove esibirà, tra le opere, i suoi Bronzi di Riace. Prima ancora, ha esposto in occasione della Biennale di Firenze e di Paratissima, festival di Torino.

Quando gli viene chiesto se si avvale di aiuti, Salvo riprende attorno a sé: «Vedi? Siamo io e loro (inquadra le altre sculture)».

E scherza: «Ogni tanto, spesso, chiacchieriamo». Nel corso del tour, l’artigiano mostra i suoi strumenti di lavoro: un carrello, cioè un tavolo mobile, una saldatrice con più di quarant’anni, la sega a nastro e la forgia a carbone dove i pezzi vengono scaldati prima di essere lavorati sull’incudine, che Salvo inquadra: «Come puoi vedere è piegata dai colpi, ha il suo vissuto» dice con un po’ di orgoglio. Immaginando il lavoro di un artigiano del metallo viene da pensare a colpi possenti e bruschi, ma le opere suggeriscono anzitutto la cura dell’artista nel ritoccare il pezzo finito.

«Quando mixi i materiali non tutti riescono a saldarsi, servono pezzi di giunzione. Ma cerco di non far vedere le saldature». Le sculture di Salvo sono rifinite con premura, al punto che è difficile immaginare che prima di mani, zampe e teste ci fossero oggetti destinati a usi differenti.

Salvo mostra infine il riccio, dove le spine sono fuse così bene da fare un corpo unico, e spiega: «Gli aculei erano resti di uno spingidisco (un pezzo della frizione dell’auto)».

Qual è il mestiere di Salvo, allora? Fabbro, artigiano, artista?

«Faccio quello che mi ha insegnato mio padre» risponde «sono un artigiano. L’artigiano fa arte con il cuore. E se lavori con il cuore, diventi artista».
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