ITINERARI E LUOGHI
Un museo a cielo aperto con un prezioso tesoro: dov'è in Sicilia il castello incantato
Nelle sue “caverne” ci accorgiamo di un luogo mistico. Percorsi brevi lasciano il fiato sospeso, tra realtà e fantasia. Ci sentiamo pronti a cercare la "Grande Madre"

Il Castello di Sciacca (foto di Salvo Di Chiara)
Si vocifera della presenza di castelli strani, incantati e misteriosi. Lungo la statale 115 - una volta usciti dalla città - si svolta a destra (alla successiva indicazione) e poi, a circa un chilometro e mezzo, finalmente siamo all’ingresso.
Del castello non v'è traccia, né ponti levatoi né mura di cinta. "Perchè si chiama Castello Incantato?". Si grida allo scandalo, alle leggende metropolitane sicule. No, siamo attendisti, un pò speranzosi. L’entrata è meno trionfale, di curiosità. E se fossimo di fronte a un capolavoro inimmaginabile?
Lo stesso Erasmo da Rotterdam diceva: “La vita umana non è altro che un gioco di follia”. Proviamo ad addentrarci negli angoli nascosti d’una vita passata. Sì, appunto quella di Filippo Bentivegna detto "Sua Eccellenza Filippu di li testi".
Di quali teste parlano? Abbiamo bisogno di certezze, sicurezze celate dietro ai capolavori scultorei. Immersi nel verde uliveto, accompagnati da tipiche palme siciliane, il profumino ingolosisce il turista.
È una visita lenta, attenta. Si parte alla scoperta dell’autore e dei suoi capolavori. I primi segnali sono impercettibili. Sculture in pietra, forme pittoriche, linee perfezionate ad altre meno equilibrate.
Lui, l’autore, di cui poco sappiamo, nacque a Sciacca nel 1888. Di padre pescatore e madre casalinga, nel 1913 decise di emigrare negli Stati Uniti, precisamente a Boston (altri citano New York).
Come tanti siciliani del tempo, la volontà di un cambiamento era tanta. Ripose la vita nelle mani di un lavoro che desse nuove opportunità. Conobbe una donna molto bella.
A un passo dal matrimonio, venne picchiato brutalmente da un uomo (rivale in amore?). Sfortuna sua, subì un grave trauma cranico. Inabile al lavoro, in condizioni fisiche deficitarie, il ritorno in terra mediterranea non si fece attendere. Da quel momento iniziò il declino, tra paranoie e profonda amnesia.
Oltre al danno, la beffa. Dichiarato disertore per il mancato apporto come leva di mare (era iscritto alle liste), dovette scontare pure tre anni di carcere in contumacia.
In ultimo, ancor più grave, fu la perizia psichiatrica che lo definì un pazzo. Con i soldi risparmiati durante il “periodo americano” acquistò un terreno. Questo divenne la sua dimora definitiva.
Decise di vivere da eremita fino alla morte avvenuta nel 1967. Anni vissuti lontano dal centro cittadino, dalla gente. Si autodefini’ come “Signore delle caverne”.
Una presa di posizione netta, in contrasto con la società del periodo. La scelta dell’Art Brut come contrapposizione della cultura ufficiale è un particolare non indifferente.
Prevalse l’ambiente outsider, una costruzione artistica ambientale. Non seguì modelli, fu autodidatta e non creò mai per il pubblico. Un distacco netto dettato da un’interiorità lesa dalle vicende di vita.
Solo nel 1980, tredici anni dopo la morte, la proprietà di Bentivegna venne acquisita dalla Regione Sicilia e gestita dall’associazione Agorà. La passeggiata è intrisa di solitudine, ci lasciamo pervadere dai pensieri. La storia del Bentivegna è anche un insegnamento.
Entrati nelle sue “caverne” ci accorgiamo di un luogo mistico. Percorsi brevi lasciano il fiato sospeso, tra realtà e fantasia. Ci sentiamo pronti a cercare la “Grande Madre” come sosteneva l’artista.
Magari alla ricerca di quell’energia durante lo scavo della terra. Ci limitiamo a osservare silenziosamente. Abbiamo bisogno di una boccata d’ossigeno e, una volta usciti, ammiriamo centinaia di nuove sculture.
Il percorso ci permette di toccare con mano i “pezzi” singolarmente o in gruppo, senza definizione alcuna. Un paio di teste si trovano collocate presso il Museo Art Brut di Losanna. Un premio meritato.
Sono gli ultimi passi di una visita fuori contesto. Gli istanti finali sono scanditi dal ricordo, dalle riflessioni. Uno scatto pensando a Filippo Bentivegna come uno dei nostri. Forse, a dirla tutta, un uomo inascoltato. Un omaggio per non dimenticare l’artista “di li testi”.
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