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Una chiesetta siciliana sopra un "Bottino": dove si trova la Madonna del ladro buono

A camminare tra le viuzze del centro di una pianta a croce araba, troppo strette per le auto, si riscopre la bellezza di un territorio rimasto intatto come tanti decenni fa

Selene Grimaudo
Giornalista pubblicista e pedagogista
  • 28 novembre 2022

Monte Bonifato

Il timido sole di novembre, preludio dell'inverno e strascico di un'estate che in Sicilia dura oltre il periodo previsto, invita a lasciare l’auto a casa per concedersi il piacere di una passeggiata che, spesso, quando si è impegnati al lavoro o si fa altro di fretta e con poco tempo a disposizione, non ci si può regalare.

Alcamo, a circa 60 km da Palermo, è una cittadina di più di 45 mila abitanti, sorge alle pendici del Monte Bonifato, possiede una spiaggia "Alcamo marina" di sabbia fine e fondali bassi, ed è equidistante tra Palermo e Trapani.

È un piacere la mattina, quando il sole ancora non è alto in cielo e il suo calore lambisce dolcemente il viso, andare verso il centro di Alcamo addentrandosi per le vie e le viuzze che portano verso il Corso VI Aprile.

Come in un dedalo di strade si inizia a camminare senza avere in mente un preciso percorso e, a poco a poco, ci s’immerge nelle sensazioni impresse nella memoria dei ricordi di quando si era piccoli. Un odore o un colore ci riporta, ben presto, alla nostra infanzia, come nella "Recherche" (Alla ricerca del tempo perduto), l’opera più importante di Marcel Proust.
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Quando Proust assaggia le madeleine (maddalene, i tipici dolci francesi a forma di conchiglia) ricorda quando le mangiava da piccolo, preparate ogni domenica dalla zia.

Allo stesso modo passeggiando per le vie di Alcamo, in particolari momenti della giornata, si ritrovano gli odori della cucina tradizionale alcamese che sentivo da piccola provenire dalle case dei vicini, quando ancora si poteva giocare in strada.

Tornano, così, alla mente momenti della propria vita che si credevano scordati.

Ritornano le immagini della propria fanciullezza quando ci si divertiva con poco e la merenda aveva un gusto particolare se si faceva con pane e zucchero o pane e pomodoro, anche se le merendine confezionate erano in dispensa.

A camminare tra le viuzze del centro di una pianta a croce araba, troppo strette per fare posteggiare le auto, si riscopre la bellezza di un territorio rimasto intatto come tanti decenni fa, con i panni stesi alla parete, con alcune sparute casette rinfrescate, ancora, con l’azulene e con le piantine di aromi, menta e basilico in bellavista che verrebbe voglia di toccare per sentirne il profumo, i fiori colorati messi a fianco dell’ampia porta di un’entrata a pianterreno.

Poi, tra una strada dissestata e una buca nell’asfalto, ti soffermi e guardi la parete, alzi lo sguardo e trovi un’immagine che ti commuove: la “Fiuredda” cittadina, vezzeggiativo dell’immagine sacra detta "fiura". Sono quelle edicole votive frutto dell’arte che si lega alla devozione popolare inserite, a volte all’interno di una nicchia, a volte come dipinto sul prospetto di una casa.

In Sicilia e anche ad Alcamo, i colori, i fiori, i sapori della cucina che ancora oggi non si sono persi.

Arrivati nel Corso VI Aprile si prosegue per Piazza Ciullo ed è lì, nel cuore della città, che si riprende fiato e si continua, con un ritmo meno sostenuto, per il Corso "stretto" con il basolato, adesso liscio, ma ancora indenne dalla colata dell’asfalto, libero dallo stallo delle auto.

Se si prosegue con una passeggiata in montagna, nella parte bassa, prima di salire in cima, un po' più sopra del "Bottino" ovvero l'acquedotto comunale, in corrispondenza della seconda curva della strada che sale, si incontra una antica cappella che, dagli anni '40, si trova all'interno di una privata abitazione.

Si tratta della cappella della "Madonna del ladro buono", comunemente detta la "Madonna di lu Tribonu". La cappella presente negli scritti locali, già in un testamento del 1379, venne citata dal vescovo La Cava nel 1639 in quanto governata dai frati francescani conventuali.

La chiesetta aveva una vecchia immagine della Pietà di Maria Addolorata e Gesù Cristo deposto, entrando sulla destra dell’altare esiste un’antica cisterna, da cui i fedeli bevevano l'acqua che serviva a purificare anima e corpo. Nel 1946 il terreno dove sorgeva la chiesetta venne diviso in quattro particelle e nel 1948 la proprietà di una particella passò alla famiglia Mancuso.

La signora Giacoma Mulè e il signor Giuseppe Mancuso, storici proprietari della chiesetta già fin dagli anni '60, recuperarono l'antica tradizione dei venerdì di marzo mai sopita nel popolo alcamese, infatti, era il punto di partenza per la Via Crucis che si celebrava lungo la via sacra percorsa a piedi che si prolunga a fino alla cima del Monte Bonifato.

Nel 1989 la chiesa venne restaurata e al posto della vecchia stampa la famiglia Mancuso fece collocare una tela del pittore alcamese Stefano Papa.

La leggenda riporta una storia singolare intrisa di fede e tradizione che invita alla riflessione coloro che non credono ai cambiamenti ad opera dei miracoli.

Si narra, infatti, che un ladro cattivo un venerdì di marzo, avrebbe avuto l'apparizione della Madonna Addolorata e pentitosi delle proprie malefatte, si sarebbe convertito diventando buono. Il ladro così convertito si sarebbe ritirato, in seguito, in una vicina grotta vivendo in povertà.

La cappella viene aperta al pubblico solo durante i venerdì di marzo, giorni in cui i fedeli vanno in pellegrinaggio e partecipano alla messa. Già dai primi anni Trenta i pellegrinaggi alla chiesetta si facevano o con il carretto o a piedi.

Un noto storico locale del tempo, Francesco Maria Mirabella, in una lettera indirizzata a Don Tommaso Papa, nel 1931, scrive che questa leggenda era stata creata dal poeta dialettale alcamese Liborio Dia, in quanto la parola "tribonu" o “tribona” indica una nicchia di un altare.

Il compianto, professore Carlo Cataldo, dopo alcune ricerche, ha avuto modo di risalire ad un atto notarile del 1674 dove viene citata una "chiusa" sulla montagna chiamata "la Tribona", ricca di alberi, sommacco e altre piante.

A noi, piace pensare che il pentimento del ladro sia alla base di questa leggenda che affonda la sua ragione d'essere nella sacralità della fede, nel culto mariano e nell'imprescindibile mutamento della natura umana che può cambiare ciò che è, proprio perchè la vita, l'animo umano e le cose, in genere, sono in continuo divenire.

Niente è per sempre, nulla è scontato, anche le errate convinzioni che portano l'uomo a rubare o perseverare in intenti negativi, possono stravolgersi con la forza del cambiamento e con l'arrivo improvviso di eventi "sovrannaturali" che danno un senso nuovo al vivere di ogni giorno.

Affrancati dalla corsa quotidiana, ritagliandosi spazio e tempo congruo per riscoprire la propria terra, le tradizioni popolari e il culto, ci si riconcilia con la vita, con i ricordi ed i pensieri positivi, si acquista la consapevolezza che per amare il proprio territorio bisogna viverlo di più.
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