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Carote, Sardine e Capitan Orlando: Palermo sta aspettando ancora la "Primavera"

"Carote" è la degna colonna sonora dei nostri tempi, la musica adatta al tempo delle "Sardine", la rappresentazione che oggi, dopo i girotondi, dà di sè la “società civile”

  • 25 novembre 2019

Nelle scorse settimane il boom social e mediatico è passato inosservato ai più adulti. A me è stato segnalato da mio figlio (8 anni). Si chiama "Carote" (guarda il video), ed è un monologo straordinario per la sua assenza.

Un pezzo talmente assente di tutto, musica, parole, senso da riuscire finanche a non essere banale. Car-ote che fa rima con cellule eucari-ote e bancon-ote, alla ricerca della rima come unico senso possibile del fare canzoni. Il pezzo, scritto da un sedicenne, di fatto prende bellamente per il sedere quanti osannano il pezzo stesso. Trovo la cosa esilarante.

Per me "Carote" è la degna colonna sonora dei nostri tempi, la musica adatta al tempo delle "Sardine", la rappresentazione che a questo giro, dopo i girotondi, dà di sè la “società civile”. Fiera di opporsi a Salvini dopo essersi opposta (occorre dire senza nessun esito) nella forma girotondina a Berlusconi. Le "Sardine" sono un movimento che si dà appuntamento in piazza per testimoniare il loro essere contro. Non bandiere, non politica, non idee.
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Si chiamano "Sardine" per dimostrare di essere in tanti. "Sardine" sta alla negazione della politica come "Carote" alla negazione della musica. È negazione della politica nella misura in cui non propongo un’idea, ma si oppongono all’idea di un altro. Cioè esistono in quanto opposti a qualcosa che non condividono, e se questo che non condividono non esistesse non esisterebbero a loro volta. In questo "Sardine", come il pezzo "Carote", mette in evidenza la massima contraddizione possibile.

Chi aderisce a "Sardine" riconosce di non esistere se non in quanto riflesso a chi contesta. Sorvolo sulla scelta comunicativa: non leoni arrabbiati, falchi implacabili, giaguari spietati. Gli oppositori della macchina mediatica del momento (la ormai famosa "bestia", il cui nome già incute timore e reverenze) si definiscono "Sardine", e non a caso diventano un facile pasto per gatti e gattini nei vari meme, alcuni divertentissimi, che invadono la rete.

“Sardine”, se ci pensate, è l’evoluzione di pensiero della società civile che nel passato esprimeva frasi del tipo “mettete i fiori nei vostri cannoni”, “fantasia al potere” un buon modo per misurare il degrado culturale dei nostri tempi, se vogliamo. La scelta comunicativa dà forte l’idea dell’assenza di pensiero dietro questa protesta, destinata io penso a concludersi prima ancora dei girotondi. Ed il motivo è semplice.

Le "Sardine" pongono il tema ancora una volta non sui contenuti, ma sulla quantità. Si chiamano "Sardine" appunto perché vogliono riempire le piazze come scatole di sardine. Non un pensiero diverso, per quanto la storia insegni che un uomo con un pensiero diverso può cambiare il mondo. Ma una prova di forza contro un nemico armato e numeroso. L’idea di "Sardine" è pensare di opporsi con piccole quantità contro chi riempie le piazze e le urne in grandi quantità.

Le "Sardine" sono un popolo apolide. Non hanno una idea né una identità. Sanno quello che non vogliono, ma non quello che vogliono. Sono il perfetto simulacro di un tempo senza idee. Senza progetti. Senza musica. Su questa imponderabilità non poteva mancare il cappello del sindaco di Palermo. Uno splendido cappello fuori luogo, che non significa nulla, come tante posizioni politiche dei nostri tempi.

Lui stesso, diciamocelo, è il simulacro di quello che avrebbe potuto essere, e non è stato, il riscatto di Palermo nella “primavera” rimandata così tanto di stagione in stagione fino a consegnarci questo triste autunno. Tra tante sardine un capo sarda ci sta bene. Ben venga pertanto l’adesione anche del sindaco di Palermo come sacrale dimostrazione che veramente adesso non ha più nulla da dire alla città ed al futuro. Che fare se non hai più nulla da dire se non metterti in linea insieme a tanti altri ed essere contro qualcun altro?

Leoluca Orlando ha diritto di essere e farsi sarda. Intendiamoci. L’unica cosa che non mi sento di condividere è che, nel decidere di farsi sarda, abbia deciso che sarda debba esserlo pure io. Ha aderito come città di Palermo, e non come leader del partito che deciderà di essere quest’oggi, così facendo lascia passare l’idea, scorretta, che chi rappresenta una istituzione e quindi chi opera in nome di chi lo ha votato e chi no, possa decidere di aderire ad una protesta di una parte contro l’altra

E così mentre ieri mi sentivo un po’ aquila ed un po’ genio, adesso tocca sentirmi sardina. Ma in questo inseguirsi oppositivo rivendico il mio diritto di essere non sarda e non il suo opposto. Il futuro può attendere. Sipario.

Ed adesso tutti in coro:
Carote, carote, solo carote
Le regalo a mio nipote, diventano banconote
Le rime con "ote" sono finite
Quindi, ehm, quindi? Sardine.
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