AMARCORD
A Bagheria c'era un glorioso Club di pesca in apnea: la passione, i trofei, la (tragica) fine
Negli anni '70 un gruppo di giovani di belle speranze coltivavano l’amore per questo sport, riuscendo a competere a tutti i livelli, fino a quel brutto giorno
Il club di pesca subacquea di Bagheria
Da pochissimo tempo ho scoperto io stessa che c’è stata addirittura un’epoca in cui, grazie proprio a questo mare, Bagheria aveva il suo Club di pesca subacquea. Roba di tutto rispetto se considerate che era regolamentato secondo le direttive della FIPSAS (Federazione Italiana Pesca Sportiva ed Attività Subacquee) e non il gruppetto amatoriale che ci si aspetterebbe.
Erano gli anni ‘70, quelli in cui Ustica non era ancora famosa per i tragici eventi che conosciamo ma per la sua Rassegna Internazionale delle Attività Subacquee, quelli di Maiorca, l’uomo dei record, infatti un dettaglio che non vi ho ancora fornito è che si trattasse di pesca subacquea in apnea, non per tutti certamente!
Tra le sedi del club, dopo un locale in affitto nella zona delle "scuole nuove", vi è stata anche l’autoscuola Musotto, dove più o meno mezza Bagheria si è patentata. La scelta ovviamente non ricadeva su quel luogo per caso, anzi. Il suo storico fondatore, Salvo, è stato infatti proprio uno dei presidenti del club, seguito poi da Giovanni Valenti. Sfido qualsiasi bagherese al di sopra dei 30 anni a dirmi di non conoscerlo o di non aver comprato da lui un paio di scarpuzze quando era bambino e fino a non molto tempo fa.
Gli atleti del club baarioto erano uniti da profonda amicizia e una passione che li ha portati anche a dei buoni piazzamenti nelle classifiche provinciali e regionali, senza trascurare che alcuni di loro, Valenti ad esempio, sono riusciti persino ad accedere alle selezioni nazionali.
Cose con le pampine attestate da fior di trofei tra l’altro, non decantati per vanto o perchè essendo passati quasi cinquanta anni sarebbero in pochi a poter smentire.
L’area di pesca per queste gare era il tratto di mare compreso tra Mongerbino e Capo Zafferano, gli atleti, due a barchetta, partivano da Aspra con queste piccole imbarcazioni trainate da pescherecci che li conducevano sino al largo, ognuno poi sceglieva la sua area pescosa, e la competizione aveva inizio.
Il Club della pesca subacquea in apnea era per questo gruppo di giovani un luogo di ritrovo e crescita prima di ogni cosa, tant’è che il loro allenamento era costituito da battute di pesca che finivano in grandi schiticchi a base di cernie arrustute, il loro bottino insomma...eh sì perchè la cernia - mi sono fatta una cultura in merito ascoltando i racconti di un paio di quei “giovani” - era la preda più ambita per le difficoltà nel pescarla.
Nascoste nelle loro tane, alle volte erano talmente incastrate che per tirarle fuori, non avendo autonomia infinita nelle loro apnee, gli atleti erano costretti a risalire a prendere attrezzature specifiche per poi riscendere e risalire ancora, così fino al raggiungimento del loro risultato.
Ciò che non mancava mai in questo club, non a caso, era il trofeo per il pesce più grosso, altro che le cerniette di meno di un chilo che si vedono oggi in pescheria e che in buona sostanza purtroppo arrestano la riproduzione della specie! Ciò che mi sono chiesta, incuriosita dall’entusiasmo nostalgico con cui mi venivano narrate le prodezze del club, è stato proprio cosa avesse portato alla sua estinzione, tanto netta sembrerebbe, da non aver lasciato tracce nella memoria futura.
La ragione purtroppo è triste e al contempo sufficiente a spiegare il fenomeno. Tra i membri del club c’era infatti un ragazzone di nome Enzo Messina, lo definisco così perchè mi è stata descritta quella sua prestanza che gli consentiva di avere oltre due minuti di autonomia in apnea.
Un brutto giorno, proprio durante una delle sue immersioni, perse la vita, e questo inevitabilmente segnò i suoi compagni che prima di ogni altra cosa erano suoi amici. Era il 1976, Enzo si era appena laureato in medicina e aveva festeggiato proprio con i suoi compagni di squadra.
Aveva circa 30 anni, qualcuno in meno del padre, il maresciallo Salvatore Messina che, nel 1949, quando di anni ne aveva appena 34 anni, fu assassinato in via Truden, nel cuore del centro storico di Bagheria, mentre stava "solamente" lavorando.
Che assurdo il destino che ha unito padre e figlio se ci pensate. Questo tragico avvenimento, unito all’assenza di un ricambio generazionale nel club quando i “veterani” iniziavano a non aver più fiato sufficiente e tempo da dedicare agli allenamenti, hanno portato inevitabilmente alla fine del glorioso club.
Non si può trascurare neanche che pian piano si diffuse un vero e proprio business intorno alla pesca subacquea, con il commercio dell’attrezzatura necessaria, sino a renderla alla portata di tutti o quasi, aprendolo in larga scala.
Una cosa però posso assicurarvela, e credetemi sulla parola, gli occhi trasognanti di chi ha vissuto il Club di pesca subacquea in apnea di Bagheria, mentre me ne ha parlato ad oltre 40 anni di distanza, sono quelli di chi ha nostalgia per un tempo trascorso e ormai lontano.
È stato proprio Giovanni Valenti a farmi riflettere su come la pesca subacquea non sia certo uno sport che crea spettacolo attirando il pubblico...chi scendeva in profondità come lui lo faceva per mero piacere personale, e ancora oggi quei fondali sarebbero casa per lui se potesse tornarvi.
Non dimenticate neanche che il club, le cui attività agonistiche si sono svolte sino al 1980, per tutto il periodo che andava da aprile a ottobre, era autofinanziato grazie agli iscritti...se non è amore questo allora!
Del resto, ditemi voi, avete mai provato nostalgia o mancanza per qualcosa di brutto? Oggi non si parla più di questo club e sono ormai pochi coloro che ne ricordano, è forse questo che ne rende ancora più preziosa la memoria che merita assolutamente di essere preservata, insieme a tutti gli aneddoti che Giovanni e Antonio, un altro dei membri del club, hanno condiviso con me.
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