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A "Batraliah" ti senti in una fiaba: tra i vicoli del borgo più alto vicino a Palermo

A poche decine di metri dalla struttura, lo scenario regala sfumature d’altri tempi. Tutto sembra essersi fermato. Il cibo, la chiesa gioiello e un belvedere spettacolare

Salvatore Di Chiara
Ragioniere e appassionato di storia
  • 21 dicembre 2025

Petralia Soprana (foto di Eva Pruchova Shutterstock)

"U postali o patrinuostro. Dannatamente bella, appollaiata su un alto sperone. Vive di spensierate virtù e fantasmi che si aggirano tra i vicoli silenziosi. A Petralia Soprana non manca proprio nulla”. Nascosta tra le alte Madonie - a 1147 m.s.l.m. - è il comune più alto della provincia di Palermo. Lontana dal capoluogo di regione, dentro a un territorio diviso tra l’essere e l’apparire. Mentre di là ( a Palermo) regna il caos, per un attimo, accantoniamo i pensieri caotici nel registro dei ricordi. È meglio non riavvolgerlo.

L’entroterra siciliano nasconde e culla tesori medievali dall’alto contenuto storico. Laggiù hanno regnato casate importanti, costruito architetture perfette e guardano tutti dall’alto. Boschi di faggi e querce simboleggiano presenze ambientali forti. Dintorni suggestivi accompagnano i visitatori. Ammaliati da cotanta (visitatori) bellezza iniziano la conoscenza di uno dei luoghi più interessanti dell’intero panorama siciliano. Lo sguardo è persuaso, comprende sin da subito le dinamiche che lo aspettano. Pizzo Corvo, con i suoi 1657 metri "protegge" il piccolo comune. È tempo di camminare, inseguire il sogno di “Batraliah”, ossia “Petra alta” in lingua araba.

Se Diodoro Siculo lo identificava come Petra sin dal 254 a.C. - dopo la prima guerra punica - consegnata ai Romani, i Normanni decisero di fortificarla. Un castello, le torri e i bastioni, “latinizzata”, a tal punto da realizzare un tesoro a cielo aperto. Lo è per davvero! In un raro e antico documento del 1258, per la prima volta le due Petralie appaiono distinte (divisione politica, non di fondazione). E rappresenta anche l’anno d’ingresso nel ricco patrimonio dei conti Ventimiglia (quelli del salto a Geraci Siculo). La feudalità terminerà solo nel 1817.

A leggere i dati relativi all’estensione territoriale (56,1 chilometri quadrati), di cui fanno parte circa una trentina di piccole frazioni, la scarsa lucidità fa credere a una visita celere. Se le gambe girano, il cuore si perde negli angoli nascosti, quelli impensabili. I primi passi raccontano di un luogo incantevole. Soffia un “certo vento” di speranza. È quello delle tradizioni, esiste, nessuno può cancellarlo.

La ricerca affrettata dei monumenti e siti da visitare potrebbe incidere “negativamente”. Ostentiamo calma, la virtù dei forti. Alle porte del paese è ubicata la Chiesa di Santa Maria di Gesù e convento dell’Ordine dei Frati Minori. I bassorilievi della facciata sono testimoni di un perfetto stile artistico. Una volta entrati tra i vicoli stretti e intersecati, oltre a qualche “acchianata” e “scinnuta” da non sottovalutare, si narra la storia. Nel mezzo si vociferano le leggende, “at-tipo” quella risalente al periodo fenicio (?). Gli storici studiano, affermano e… provano a disturbare le tesi documentate. Altri sono stati ispirati dal mito greco, a tal punto che Petralia Soprana abbia coniato moneta propria (in bronzo). Poi c'è la passeggiata, quella dentro gli aspetti fiabeschi. A tratti interrotta da effetti misteriosi.

L’accoglienza dei petraliesi merita attenzione, ma quella dei gatti sorprende. A partire dalla Via del Gatto! Dolci compagni di viaggio durante la “scalata” ai belvederi di Loreto, Carmine e Piazza Duomo. La Chiesa di Santa Maria Loreto è un gioiello. Antica fortezza, fu trasformata in edificio religioso dei Carmelitani Scalzi. Con pianta a croce greca, riedificata nel 1750, è caratterizzata da una facciata in tardo barocco e due campanili con le cuspidi maiolicate. Conserva sculture lignee dei santi Cosma e Damiano.

Che dire del belvedere? A poche decine di metri dalla struttura, lo scenario regala sfumature d’altri tempi. Tutto sembra essersi fermato. L’ambiente è padrone del suo destino, mentre l’uomo osserva, non incide. Bisogna aumentare la cadenza dei passi, rischiamo il tracollo emotivo. Piazza del Duomo attende. Ecco, nella sua immensa caratura architettonica la Chiesa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. I Ventimiglia ebbero una grande idea, “superlativa”! Con pianta a croce latina, tre navate e due campanili (uno risalente al ‘400 e l’altro al 1700 circa), sono collegati da un portico di 18 colonne. Il resto è tratto da una storia vera creata da un gioco di luci, ombre e fantasie irrazionali ai nostri occhi. Le precedenti strutture possono appesantire la curiosità e invece, guai a dimenticare la Chiesa del Santissimo Salvatore. Ha una pianta ellittica e una cupola sorretta da otto pilastri.

La stanchezza è in agguato o forse… la fase culinaria non permette mai una visita normale. È tempo di una minestra con lenticchie aromatizzate, finocchietti selvatici, ceci, verdure selvatiche come la cicoria, la borragine e via con la “virdura maritata”. Che dire di un assaggino completo di formaggi? Pecorino fresco o stagionato, caciocavallo e ricotta fresca. Anche le carni rispettano la fama madonita. Nel mentre della cordialità dei suoi abitanti, bisogna digerire l’intero “patrimonio alimentare”.

I palazzi diventano conquiste da non sottovalutare. Quelli Municipale e Pottino, insieme a Piazza del Popolo, meritano i giusti riconoscimenti. Gli attenti lettori diranno che mancano ancora la Chiesa di San Teodoro, la fontana da cui tutto (il giro) ebbe inizio, i resti dell’acquedotto settecentesco (contrada Cerasella) e la miniera di Salgemma (frazione di Raffo). Una nobile conclusione! A Petralia Soprana non mancano gli eventi tesi a promuovere la comunità.

Nel 2019 fu insignito di “Borgo dei Borghi”. Un attestato che rende onore al passato glorioso e un futuro da preservare. I colori della stagione trovano il loro habitat desiderato. In silenzio, vero compagno di viaggio. Interrotto solamente dalla “cugghia”, l’”aceddu”, lu “sfuogghiu” o tanti biscotti alla cannella. Il giusto commiato per dire “arrivederci” e non “addio”.
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