"A Monreale poteva esserci vostro figlio": l'appello straziante del fratello di Massimo
Quella di Monreale è una tragedia senza precedenti. Infiniti i dubbi insieme all'amarezza e alla paura: con una lettera il fratello di Massimo si rivolge allo Stato

Ismaele La Vardera insieme alla famiglia Pirozzo
Poteva succedere a chiunque, ma nella notte tra sabato 26 e domenica 27 aprile Massimo Pirozzo (26 anni), Salvatore Turdo (23 anni) e Andrea Miceli (26 anni) hanno perso la vita e lasciato un vuoto incolmabile.
"Non lo spegni il sole se gli spari", è una scritta che riecheggia a Monreale.
Oltre al dolore sconfinato, si respira una profonda amarezza nutrita da chi non si è sentito e continua a non sentirsi tutelato. «La guerra che si combatte ogni giorno, in silenzio, senza eserciti ma con vittime vere.
Chiediamo che le nostre strade diventano sicure, assediate dalle forze dell'ordine e anche dall'esercito», sono queste alcune delle parole scritte da Marco Pirozzo, fratello di Massimo, vittima della sparatoria.
Questa mattina i carabinieri hanno eseguito il fermo nei confronti di un diciannovenne, residente nel quartiere Zen, accusato di strage e lesioni personali aggravate, in concorso con Salvo Calvaruso e Samuel Acquisto, nonché di detenzione illegale e porto abusivo di pistola.
A riportare la mail del fratello di una delle vittime di Monreale è il deputato regionale Ismaele La Vardera a cui la famiglia si è rivolta affinché non venga lasciata sola.
«Quando ho letto la mail di Marco, fratello di Massimo Pirozzo ucciso barbaramente nella strage di Monreale - scrive La Vardera - ho deciso di rispondere immediatamente e incontrarli in Parlamento.
Insieme a Marco ho ricevuto la sorella e la fidanzata, testimone oculare dell’omicidio.
Un racconto crudo soprattutto dalla sua ragazza che purtroppo ha visto morire Massimo tra le sue braccia, un momento che mi ha profondamente scosso.
Loro giovani come me, mi hanno chiesto a gran voce: Ismaele non lasciateci soli.
Marco mi ha consegnato una lettera struggente da inviare ai presidenti Mattarella e Meloni, cosa che ho fatto già, invitandoli pubblicamente ad incontrare questi giovani, perché lo Stato in questi momenti deve rispondere presente.
Ho detto loro che starò a loro fianco per fare tutto quello che rientra nelle mie prerogative, perché non si può e non si deve morire così.
Ritengo che la Citta stia affrontando un momento difficile e più volte ho ribadito che serve l’impiego dell’esercito nei luoghi della movida come deterrente, presenterò una mozione al presidente della Regione».
Marco attraverso le sue parole esprime non soltanto la sua sofferenza indicibile, ma anche la sfiducia in uno Stato che ha bisogno di un cambiamento.
«Gentile Presidente. Mi chiamo Marco Pirozzo, ho 33 anni e sono originario della provincia di Palermo.
Circa cinque anni fa ho lasciato – anzi, sono stato costretto a fuggire dalla mia amata Sicilia – perché quella terra, pur ricca di bellezza, cultura e storia, non mi offriva alcuna prospettiva di un futuro dignitoso.
Un futuro all’altezza della persona che sono diventato grazie ai valori che i miei genitori mi hanno trasmesso con amore, sacrificio e integrità.
Per molto tempo ho dubitato della mia scelta. Lasciare il mare, i profumi, le radici non è mai semplice».
Non è semplice andarsene, lasciare tutto indietro e proiettarsi in un futuro lontano dalla Sicilia.
Purtroppo quella notte, ha avuto le sue risposte: «Ma il 27 aprile 2025 ho avuto la conferma più crudele che quella scelta era giusta: mio fratello, Massimo Pirozzo, è stato barbaramente ucciso a Monreale, insieme a due amici, nel corso di una strage assurda e ingiustificabile.
Era lì, nel posto sbagliato, nel momento sbagliato, con la sua compagna, i suoi amici e ai figli di quest'ultimi.
Lui, che di quella violenza non era in alcun modo responsabile.
Ho lasciato casa mia solo perché sapevo che lui era lì, accanto ai miei genitori. Era la mia unica sicurezza in una terra che non sentivo più sicura.
E oggi mi è stata portata via anche quella. Il vuoto lasciato da mio fratello è devastante, per me, per la mia famiglia, per chi gli voleva bene.
È un dolore che non si colma, una ferita che non si rimargina.
Ma oltre al dolore, sento un’amarezza profonda: l’assenza di vicinanza da parte delle massime autorità dello Stato.
Nessuna parola, nessun gesto, nessuna attenzione da chi dovrebbe rappresentare e tutelare ogni cittadino.
Come se questa tragedia fosse qualcosa di ordinario.
Come se mio fratello e gli altri due ragazzi uccisi non contassero nulla.
A rendere il tutto ancora più inaccettabile sono state le dichiarazioni dell’avvocato dell’imputato Calvaruso, il quale ha affermato che non vi fosse alcuna intenzione violenta e ha descritto Palermo come una città che, purtroppo, "è così", dove la diffusione di armi clandestine sarebbe una realtà ordinaria.
Ma se oggi consideriamo normale che i nostri giovani vengano ammazzati per strada da persone che impugnano una pistola con leggerezza, allora significa che la guerra ce l’abbiamo già in casa».
Marco si rivolge a uno Stato piombato nel silenzio, sottolineando l'importanza di intervenire vista la chiara emergenza-sicurezza: «È nei nostri quartieri, nelle periferie abbandonate, nei silenzi dello Stato.
Eppure sembriamo preoccuparci più dei conflitti lontani, delle guerre fuori dai nostri confini, dimenticando quella quotidiana che colpisce i nostri cittadini più fragili.
La guerra che si combatte ogni giorno, in silenzio, senza eserciti ma con vittime vere. Chiediamo che le nostre strade diventano sicure, assediate dalle forze dell'ordine e anche dall'esercito.
Presidente del Consiglio dei Ministri e Presidente della Repubblica, vi chiedo, a nome della mia famiglia, delle famiglie delle altre vittime e di tutti gli italiani onesti, di intervenire con urgenza.
Le leggi e le pene oggi in vigore non sono più sufficienti a fronteggiare questa deriva. Il mondo è cambiato e lo Stato deve adeguarsi con risposte forti, decise, concrete.
Non possiamo permettere che altri genitori, fratelli o sorelle vivano l’atroce sofferenza che stiamo vivendo noi.
Mio fratello era un giovane uomo che voleva solo godersi una serata serena con le persone che amava.
Poteva essere chiunque. Poteva essere vostro figlio.
In particolare mi rivolgo al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Da siciliano, da uomo delle Istituzioni, da fratello.
So che Lei conosce bene il dolore di una perdita brutale e ingiusta, perché anche suo fratello è stato assassinato in modo vile.
Le chiedo, con il massimo rispetto, di farsi portavoce del nostro appello e di aiutare a trovare soluzioni concrete, per onorare tutte le vittime di queste violenze insensate e per impedire che nuove famiglie conoscano il dolore che ci ha travolti.
Vi prego: non restiamo indifferenti solo perché non siete stati toccati in prima persona. È il momento di agire.
È il momento di cambiare. L’Italia merita di essere rappresentata da leggi giuste e da uno Stato che sia realmente vicino ai suoi cittadini.
E soprattutto, chiedo giustizia.
Voglio continuare a credere nelle forze dell'ordine e nella magistratura, affinché vengano presi e vengano imposte le pene che questi individui meritano.
Persone che, per l'atrocità delle loro azioni, non riesco nemmeno a definire umane.
Con profondo rammarico per il perdurante silenzio delle più alte cariche dello Stato, porgo distinti saluti, auspicando che al più presto giunga un segnale di attenzione e che ci venga concessa un’opportunità di confronto per dar voce ai nostri cari scomparsi».
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