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A Palermo ci passi sempre ma non sai che sopravvisse al "Sacco": dov'è Palazzo Jaforte

Ancora oggi, malgrado la devastazione della buia stagione del cosiddetto “sacco di Palermo”, la città è un museo a cielo aperto di poliedrica bellezza floreale

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 30 gennaio 2024

Palazzo Jaforte a Palermo

Nel 1903, quando Palermo vive il picco del Floreale attraverso la bellezza delle forme immaginate da Ernesto Basile, la città vive una delle fasi di maggiore slancio estetico modernista e l’attività costruttiva dilagante, ne orienta l’immagine di "piccola capitale Art Nouveau" restituita nei ricordi di infanzia di Leonardo Sciascia.

Maestro ed epigoni ma anche professionisti distanti dal cenacolo basiliano, sono i protagonisti del rilancio urbano sotto l’egida delle avvolgenti linee floreali ormai imprescindibili segni culturali di una tendenza stilistica che dilaga dalla moda alla pittura, dalla scultura alle arti decorative e ovviamente all’architettura di ogni ordine e scala.

Ancora oggi, malgrado la devastazione imposta dal passo distruttivo della buia stagione del cosiddetto “sacco di Palermo”, la città è un museo a cielo aperto di poliedrica bellezza floreale.

La scacchiera a ridosso del tratto iniziale di via Libertà a seguire piazza Castelnuovo ne rappresenta sicuramente un laboratorio seducente. È il caso del singolarissimo Palazzo Jaforte, realizzato proprio in quel 1903 tra le vie Simone Corleo e Enrico Albanese su progetto del misterioso ing. Paolo Viola.
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Un elegante edificio a tre piani fuori terra e piano seminterrato stretto tra paraste verticali che, alla maniera del codice espressivo maturato da Ernesto Basile in opere precedenti, sfondano la quota di imposta della copertura per svettare oltre.

Un’architettura dalla suggestiva pelle di intonaco, diviso tra l’aderenza ai motivi decorativi tipici del Liberty per la plastica degli intonaci e le sinuosità dei ferri battuti, ma con chiari e misurati rimandi ancora neo-medievaleggianti nell’ordito delle merlature perimetrali del muro d’attico.

Condizione quest’ultima, che salda la testimonianza urbana del palazzo a riflessioni sempre più necessarie sulle importanti presenze contaminative del lessico tardo- ottocentesco ancora nei cantieri delle fabbriche prettamente Liberty di primo Novecento.

Palazzo Jaforte Nel 1903, quando Palermo vive il picco del Floreale attraverso la bellezza delle forme immaginate da Ernesto Basile, la città vive una delle fasi di maggiore slancio estetico modernista e l’attività costruttiva dilagante, ne orienta l’immagine di “piccola capitale Art Nouveau” restituita nei ricordi di infanzia di Leonardo Sciascia.

Maestro ed epigoni ma anche professionisti distanti dal cenacolo basiliano, sono i protagonisti del rilancio urbano sotto l’egida delle avvolgenti linee floreali ormai imprescindibili segni culturali di una tendenza stilistica che dilaga dalla moda alla pittura, dalla scultura alle arti decorative e ovviamente all’architettura di ogni ordine e scala.

Ancora oggi, malgrado la devastazione imposta dal passo distruttivo della buia stagione del cosiddetto “sacco di Palermo”, la città è un museo a cielo aperto di poliedrica bellezza floreale. La scacchiera a ridosso del tratto iniziale di via Libertà a seguire piazza Castelnuovo ne rappresenta sicuramente un laboratorio seducente.

È il caso del singolarissimo Palazzo Jaforte, realizzato proprio in quel 1903 tra le vie Simone Corleo e Enrico Albanese su progetto del misterioso ing. Paolo Viola.

Un elegante edificio a tre piani fuori terra e piano seminterrato stretto tra paraste verticali che, alla maniera del codice espressivo maturato da Ernesto Basile in opere precedenti, sfondano la quota di imposta della copertura per svettare oltre.

Un’architettura dalla suggestiva pelle di intonaco, diviso tra l’aderenza ai motivi decorativi tipici del Liberty per la plastica degli intonaci e le sinuosità dei ferri battuti, ma con chiari e misurati rimandi ancora neo-medievaleggianti nell’ordito delle merlature perimetrali del muro d’attico.

Condizione quest’ultima, che salda la testimonianza urbana del palazzo a riflessioni sempre più necessarie sulle importanti presenze contaminative del lessico tardo- ottocentesco ancora nei cantieri delle fabbriche prettamente Liberty di primo Novecento.
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