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Archestrato di Gela e "l'ogghiu di mari": in Sicilia la prima guida Michelin della storia

Un antico buongustaio e la sua passione per la cucina tornano utili per una ricetta del tutto particolare e "urticante", ma non per il palato. Un menu insolito tutto da scoprire

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 26 giugno 2022

Anemone sulcata (foto dal web)

Se a Forrest Gump sua madre ripeteva sempre che "la vita è come una scatola di cioccolatini”, mio zio Aspano mi diceva ogni uno e due “se vuoi mangiare buono, vai dove vanno i camionisti".

Questa cosa la prima volta me la disse quando un giorno che mi portò al mare "dove c’erano le pietre” -perché la sabbia era cosa da femmine-, neanche il tempo di tuffarmi in acqua tra gli scogli che, sempre per citare Forrest Gump nella famosa scena della guerra in Vietnam, "qualcosa è saltato fuori e mi ha morso nel posteriore".

Il morso (si fa per dire morso) della medusa lo conoscevo e di quello non poteva trattarsi perché questa volta era molto più forte, molto più intenso e m’abbruciava u culo troppo assai.

Se zio Aspano invece di buttarmi in acqua tipo Mowgli de “Il libro della Giungla” m’avesse quantomeno messo il costume, tutto questo non sarebbe successo e non mi sarei portato per un bel po’ stampata nella chiappa una bella voglia di “oggghiu ri mari”.
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Per farla breve, e per non farmi traumatizzare, Zio Aspano pensò bene che l’unico sistema per non farmi rimanere la paura del “mare con le pietre” fosse quella di adottare il metodo Montessori 2.0 del “per un cornuto, cornuto e mezzo”, e cioè che se l’ogghiu ri mari aveva “morso” me, lui mi avrebbe portato a mangiare l’ogghiu di mari.

Ma cosa è stu ogghiu di mari? E soprattutto è commestibile? Per rispondere a tale domanda, lasciamo un attimo zio Aspano che -non potendo giustamente conoscere la guida Michelin - pedina tutti i camion di Palermo e provincia in cerca della sua osteria, e facciamo un salto a Gela nel 330 a.C. circa.

Ci sta un po’ di casino in quel periodo: romani e cartaginesi si scannano tipo Sgarbi e Mughini, Aristotele diventa maestro di Alessandro di Macedonia, gli astronomi babilonesi creano lo zodiaco, romani e cartaginesi continuano a scannarsi in allegria.

E non si capisce perché sti crasti di cartaginesi si erano presi in antipatia proprio Gela e, pare lo facevano per sfregio, la distruggevano ogni cinque minuti.

Ecco, proprio a Gela ci stava un cristiano (cristiano alla siciliana inteso come persona, perché ancora per la nascita Cristo ci sono altri 300 anni di pane duro da mangiare) che si chiamava Archestrato di Gela: era un poeta ma aveva solo la testa a mangiare.

Archestrato ha il merito di aver scritto già nel IV secolo a.C. la prima guida Michelin della storia dove, invece di esserci i ristoranti, c’erano annoverati i prodotti di eccellenza di tutta la Magna Grecia, passando dal pane, vini, frutta, selvaggina, pesci (era malato per il pesce Archestratato), dove trovarli e come cucinarli per esaltarne i sapori; tutto questo in versi.

Tale “guida” si chiamava Hēdypatheia, letteralmente "Poemetto del Bongustaio", e di tutto il componimento arrivano a noi 62 frammenti in 11 versi.

Direte voi: "ma a noi che ce ne fotte di come si chiamava e di quanti frammenti era fatto? A noialtri interessa u manciari!". Giustissimo. E per ritornare a zio Aspano, che intanto l’osteria dove fanno l’ogghiu ri mari l’ha trovata, dobbiamo precisare che fu proprio Archestrato a dirci che ai tempi della Magna Grecia le anemoni si mangiavano già.

L’ogghio ri mari, così chiamato perché viscido al tatto, all’anagrafe da di nome e cognome “Anemone Sulcata” (mi raccomando: in Sulcata la “l” tra la “u” e la “c” è obbligatoria) ma è anche conosciuta anche come Venere di mare giusto perché i suoi tentacoli ricordano la bionda chioma della dea romana.

Di preciso trattasi di un celenterato antozoo della famiglia delle Actiniidae, cioè una maxi-famiglia che comprende pure meduse e coralli. E anche se oggi si mangia diversamente, ai tempi di Archestrato (ce lo dice lui) il modo più buono di mangiare l’ogghiu ri mari era in padella, insieme ai bianchetti (la neonata), un filo d’olio e un po’ di schiuma di mare se proprio ci si voleva sentire tutto Masterchef.

Proprio come per le meduse, i tentacoli dell’Anemone Sulcata (o i capelli se vi piace chiòssai) sono urticanti e quando si viene punti giustamente si fanno scendere tutti i santi del calendario, nessuno escluso.

Tuttavia, proprio come quasi tutti i veleni di mare, la sostanza è termosensibile. Questo significa due cose:

a) la pietra calda e la pipì si fanno sulla puntura perché proprio per la questione “termosensibilità”, il calore elimina l’effetto.

b) dato che il calore elimina la sostanza, basta sciacquarle con acqua calda e farle cuocere per renderle assolutamente innocue e buone da mangiare. Oggi, come per i calamari, una volta sciacquate bene, basta infarinarle e friggerle (che al colesterolo ci pensa u dutturi) per gustarle al meglio.

Il metodo Montessori du zio Aspano alla fine aveva funzionato alla grande. Dopo averle assaggiate, da quel giorno mi venne la pulce in testa e ogni volta che tornavamo al “mare con le pietre” ci portavamo due forchette; non perché il sole ci aveva rincoglioniti e ce le volevamo mangiare tipo spaghetti, ma perché l’unico modo per raccoglierle senza disturbare i santi del paradiso era proprio con una forchetta.

Quanto ad Archestrato nessuno sa che fine fece, qualcuno dice oggi è un camionista alla ricerca dell’osteria perfetta.
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