LE STORIE DI IERI

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Il Marchese di Villabianca e il suo bestiario minimo

  • 23 gennaio 2007

Non erano molti gli svaghi e i divertimenti che Palermo offriva ai cittadini meno abbienti nell’anno di grazia 1773. Sulla passeggiata a mare non piantavano ancora le tende i circhi itineranti e in mancanza dei relativi trapezisti e mangiatori di fuoco, il popolo doveva accontentarsi di passeggiare oltre Porta Nuova, sullo stradone per Monreale, o di assistere agli spettacoli delle marionette che in un esaltante frastuono di corazze e spadoni mettevano in scena gli episodi più apprezzati del ciclo carolingio. Così, in mancanza perfino delle recite al “casotto delle vastasate”, che sarebbero state programmate solo verso la fine di quel secolo, faceva sicuramente notizia l’arrivo di ogni impresario minimo che giungesse dal mare per esporre, tra il piano della Marina e il Borgo di Santa Lucia, rari giganti nordici e donne barbute d’ogni provenienza. Ma anche animali strani e raramente visti prima. Come fu il caso dei due esotici esemplari che proprio nell’estate del 1773 rimasero a lungo in mostra a poca distanza dall’attuale Chiesa di Santa Maria della Catena e davanti alle acque della Cala a quel tempo certo ben più trasparenti di quelle attuali. Un ghiotto avvenimento per il Marchese di Villabianca che ebbe così una speciale occasione per fare anche opera di divulgazione culturale e che al suo scrivano dettò la cronaca in termini assolutamente da gustare in originale. E che trascriviamo anche nell’intento di dare un’idea delle cognizioni di zoologia che nel secolo dei lumi potevano sfoggiare i palermitani di vasto sapere.

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Tra i quali il prezioso diarista, dai cui “reportage” si apprende che “sul cominciare di luglio 1773, in un casotto di tavole a lato della statua di Filipppo quinto, rimpetto alla porta della Doganella, venne rinchiuso un dromedario, ch’è una specie di camelo, e con esso un gatto pardo, portatici da due Tedeschi, per servirci di spettacolo. E da me entrambe codeste bestie furon vedute; ed osservate avendole filosoficamente, trovai che il primo, cioè il dromedario, era alto presso a 12 palmi, compresavi la gobba del dorso, e si estendeva di corporatura ad una misura di nove palmi. Avea la testa piuttosto minuta, col labbro di sopra tagliato e con la bocca senza denti nel gengive di sopra, in cui vi erano due scaglioni soltanto. Le orecchie ne eran cortissime; e il collo molto lungo lo portava curvo piuttosto, quasi serpeggiandolo. Il pelo ne era bianco e li piedi li aveva tagliati in due parti, come li buoi, ma senza unghie e solamente difesi da una materia callosa nera. Il membro genitale lo aveva al rovescio, potendone fare uso non altrimenti che dalle parti retrograde, a guisa del porcospino, che tiene la natura istessa. Come dromedario poi teneva quattro stomachi, e in conseguenza era sempre pieno di fame. Nitriva a guisa di cicogne, e camminava 60 miglia al giorno. Le gambe le curvava in quattro parti, avendovi quattro articolazioni e giunture. Un tale animale venne da Moscovia. Ed è un animale il camelo, che trapassa i deserti senza bere, e soffre la fame per più giorni, quantunque ne abbia pur troppo. Porta egli di peso 4 quintali e s’inginocchia a ricevere la soma; e sei uomini vi vanno a cavallo. La carne e il latte delle camele sono molto gradevoli. Il gatto pardo poi stava incatenato, sebbene la bocca non avesse avuto denti, che gli erano stati cavati quando era piccolo. Era della grossezza di due volte un gatto, e di pelo nero con macchie gialliccie. E gli uomini che portarono questi animali, fecero buoni quattrini, facendo pagare due grani a testa dai curiosi che andavano a vederli”.

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