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C'è chi dice di averlo visto: è iI fantasma del castello di Milazzo, luogo di intrighi e misteri

Proteso verso le Isole Eolie, a presidio dell’Isola, il Castello è parte del vecchio abitato medievale e uno dei complessi fortificati più significativi d’Europa

  • 5 dicembre 2020

Il Castello di Milazzo

È più di un castello, il Castello di Milazzo. Stagliato alla sommità dell’antico borgo che domina il paese, si configura come una vera e propria cittadella e uno dei complessi fortificati più significativi d’Europa.

Al valore strategico della sua posizione equivale un paesaggio inimmaginabile che solo lì, a Milazzo, traduce il sortilegio della fantasia in un dato di realtà. Proteso verso le Isole Eolie, a presidio dell’Isola, custode militare del porto e della costa, il Castello è parte del vecchio abitato medievale, nella zona compresa fra la Cinta Aragonese e quella Spagnola.

Come per molti manieri, la struttura fu adibita a carcere e infine abbandonata alla più atroce incuria, sino a un risanamento strutturale e a una declinazione del luogo come bene culturale. Al suo interno, la cittadella appare quasi a una dimensione atemporale, al cambio di una stagione della storia che per incanto si rifonda fra mura e porte arcaiche, misteriosi meandri che si smagliano per inesplorati passaggi segreti serrati al buio più nero o dischiusi al varco di uno straordinario paesaggio di luce, sul mare.
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È un luogo che ha retto lo spazio dei suoi corollari fisici, e con essi i destini personali e i legami di relazione, tessuti o sciupati fra quei bastioni e quelle chiese, fino a che la bellezza solitaria del Castello si è confusa con il mistero, e da lì si è fatta leggenda. Racconti della tradizione popolare, così lasciati in eredità come storie di fondazione del mondo, e riportati in salvo con mutamenti ridottissimi e una sola invariante assoluta: la presenza dei fantasmi.

A Milazzo si tramanda da secoli la leggenda della suora murata viva all’interno dell’antico Monastero delle Benedettine che si trova nel Castello, e in molti dicono di averla vista affacciata a una finestra pronunciando angosciosi lamenti. Pare che all’origine ci sia la storia di una giovane, figlia di un ricco signore, innamorata di un soldato con il quale si coinvolge a una passione cieca, presto scoperta dalla famiglia di lei, che la costringe alla clausura in convento per prendere i voti.

Pur tuttavia l’amore prevale, e la giovane fatta monaca trova il modo per incontrare di nascosto il suo uomo; e ancora una volta, nel fato avverso che compromette i suoi atti, viene scoperta. La vergogna è grande, l’umiliazione atroce; e grande e atroce è la punizione, dacché viene murata viva all’interno del Monastero.

Pare che ancora oggi il suo spirito vaghi per il Castello, scorrendo lungo le finestre in cerca dello sguardo del suo soldato, a lamentare il suo amore impossibile con urla strazianti e gemiti soffocati. Qualcuno – addirittura – sostiene di averla vista lungo un viottolo, porgendo un saluto - “Sia lodato Gesù Cristo” - nelle notti marzoline di luna piena, rompendo con la sua voce la monotonia del mare.

E altre leggende, ancora, hanno per loro cornice il Castello di Milazzo, come quella del fantasma di un uomo con una testa fra le mani che si aggira nei pressi del cimitero inglese. Forse è il soldato amato dalla triste suora, oppure è solo una storia per fare paura. E però nel 1928, durante alcuni lavori in un orto eseguiti dai detenuti del maniero divenuto prigione, fu trovata una gabbia con all’interno lo scheletro di un uomo privo di arti inferiori e superiori, e cinque bottoni appartenenti
alla divisa inglese.

Pare che l’amputazione fosse una pena anglosassone, con l’usanza di esibire il corpo monco, e difatti dopo qualche anno gli studi hanno dimostrato che il corpo era quello di un disertore irlandese, appartenente alla guarnigione inglese, morto nei primi anni dell’800. Il suo nome era Andrei Leonard, catturato e rinchiuso nella gabbia dove subì il supplizio del corpo poi
esibito alla truppa come terribile monito.

Un’ultima storia, infine, tinge d’orrore questi luoghi meravigliosi, ed è la vicenda di Elena Baele. Anche lei una giovane di nobile casato che s’innamora di un contadino alle dipendenze di suo padre, il quale, dopo averli scoperti, lo licenziò con la sua famiglia pure pagando una somma di denaro. Amareggiato e infelice, l’uomo si arruolò come soldato di ventura e in seguito morì.

La dolce Elena non sapeva darsi pace, e, disperata, al galoppo del suo cavallo fino alle Scogliere del Capo, si gettò da una rupe – che per questo oggi è chiamata “u sauto cabaddu”, il salto del cavallo. Anche il suo spirito appare nelle notti d’estate nei pressi della scogliera, provocando la commozione di chi soffre per una vita senza l’amore.

Di questa storia – simile a molte altre, quasi redatte dalla fantasia popolare sull’archetipo della fanciulla i cui reali sentimenti sono frustrati dai vincoli di una nobile famiglia, e forse ispirata come ennesima variante della tragica vicenda di Laura Lanza di Trabia, baronessa di Carini, resa popolare dai cantastorie e dagli studi di Salvatore Salomone Marino – non si hanno riferimenti storici certi, ma è tuttavia ripresa da Pasquale Prestamburgo in una sua lettera inviata a Giuseppe Pitrè nella quale egli fornisce alcuni elementi sull’ampia reputazione che i milazzesi avevano dei nobili Baele.

Povere donne che precipitano nel vuoto, rozzi contadini dal cuore d’oro, soldati meravigliosi e suore murate vive; e il Castello di Milazzo, con i suoi intrighi e i suoi misteri, fra presenze e tremori, vegliando la Sicilia come in una favola che al sole impietosisce e di notte fa paura.
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