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"Chi ti pozzanu manciari i cani!": quando imprecazioni e leggenda si mescolano

Un medico, il Vulcano e i cani da caccia dell'Etna, i cirneco, sono tra i protagonisti di questa leggenda. Una leggenda che ha una morale seppur manchi di un lieto fine

Livio Grasso
Archeologo
  • 27 febbraio 2022

Il Cirneco d'Egitto

Questa è la vicenda di un certo Francesco Negro da Platia, ricordato come un uomo dal grande ingegno e dalle mille capacità. Nativo di Lentini, era un medico rinomato e apprezzato da tutti. Tuttavia, oltre alla passione per la medicina, si dice che era profondamente attratto dalla maestosità dell’Etna; in particolare, serbava in sé l’ardente desiderio di vedere coi propri occhi le spettacolari eruzioni laviche e , al contempo, studiarne le pietre incandescenti.

Correva l’anno 1536 e, improvvisamente, si verificò una terribile colata che fu tra le più devastanti e spaventose della storia etnea. Malgrado la notizia avesse seminato il panico ovunque, per Francesco fu la grande occasione di coronare il proprio sogno; Così, una mattina, senza badare a niente e nessuno, lasciò il paese e la famiglia per mettersi in cammino verso la “Montagna”.

Di buona lena, dunque, macinò a piedi tanti chilometri per raggiungere la meta; il destino volle, però, che durante il suo viaggio qualcosa andasse storto. Infatti la narrazione prosegue riportando che, non essendo pratico dei luoghi e delle strade, il pover’uomo si sia imbattuto casualmente in un vecchio santuario dedicato al dio Adranos; secondo le fonti storiche, si trattava di una divinità adorata dagli antichi siculi.
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Alcune testimonianze, per di più, riferiscono che dagli Assiri era chiamato Ador, dai greci Efesto e dai latini Vulcano. Ad ogni modo, nel mondo fantastico e variegato dell’Etna medievale, questo luogo viene descritto come il più pericoloso e terrificante. Il tempio era circondato da un rigoglioso bosco e una moltitudine di alberi sacri; in più, c’erano pure dei cani che facevano da guardia. Probabilmente essi non erano altro che i mitici avi del cirneco dell’Etna, un canide autoctono e diretto discendente di Anubi.

Quest’ultimo, nell’immaginario religioso egizio, è il famoso dio dalla testa di cane-lupo e sciacallo; viene anche rammentato quale messaggero e mostro spaventoso degli inferi egizi. In ogni caso Francesco, pur trovandosi di fronte al temibile branco, non si preoccupò minimamente e continuò a proseguire lungo la stradina sino ad arrivare all’ingresso di un sentiero; una volta giuntovi, sentì degli acuti e forti latrati provenire dalla “selva”.

A quanto pare nemmeno una simile avvisaglia intimorì il baldanzoso avventuriero che, sottovalutando il rischio, decise di inoltrarsi comunque nella fitta boscaglia. Stranamente, man mano che incedeva a passo cadenzato, i cani diventavano sempre più numerosi e aggressivi; c’è chi dice che, d’un tratto, il viaggiatore si trovò al cospetto di mille cani e forse anche di più. Erano tutti schierati ordinatamente e pronti a proteggere il territorio consacrato alla divinità. L’aneddoto si conclude con la dipartita di Francesco, che perì atrocemente sotto gli artigli e le zanne di quella torma feroce. Da qui l'imprecazione siciliana: "Chi ti pozzanu manciari i cani!"

Alcuni studiosi di mitologia ritengono che i cani di Adranos sapevano scrutare nei cuori della gente, percependone segni di bontà o perfidia. Nella fattispecie di Francesco, si pensa che fu proprio la vorace curiosità a portarlo alla morte; schiavo della sua sete di conoscenza, calpestò senza scrupoli una terra incontaminata violandone sia la sacralità che la purezza. Lì, difatti, potevano accedere solamente coloro che intendevano offrire un qualunque tributo alla divinità.

Un’altra versione, invece, riporta che il medico di Lentini superò il “Tempio” senza ostacoli rimanendo a girovagare per settimane nei meandri dell’Etna finché, d’improvviso, non venne colpito sulla testa da un sasso rovente scagliato dalla bocca del Vulcano.
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