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Come gli strati di una cipolla da sbucciare: l'anima di Palermo è tutta un "cuttigghiu"

La parola "cuttigghiu" ha origini lontane, probabilmente intraducibile, che ebbe inizio duecento anni alla fine del dominio asburgico in Sicilia e che nasconde tante leggende

  • 17 febbraio 2020

Una scena del film "Tano da Morire" di Roberta Torre

"Palermo è una cipolla", scrive Roberto Alajmo in un suo famoso libro, dove strati di città si accumulano con altri ed è necessario sbucciarli, proprio come una cipolla, per arrivare al suo cuore.

Per comprendere Palermo bisogna quindi entrare nel suo cuore andando per strati, farla raccontare alle voci del popolo, non avaro di malizia e di particolari, anche i più scabrosi.

La Capitale è un luogo che ha fondato il proprio essere sul "cuttigghiu": parola che ha origini lontane, probabilmente intraducibile, che ebbe inizio circa duecento anni, alla fine del dominio asburgico in Sicilia.

La parola curtigghio deriva dallo spagnolo "cortijo", ossia il cortile interno dei palazzi. Qui ci si incontrava per parlare e sparlare di vicini, parenti, potenti e amici in libertà, senza censura e inibizioni. Palermo del resto è sempre stata una grande piccola città, un luogo provinciale ma con le dimensioni di una urbe.
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Un territorio dove la ricerca della verità passa per i racconti nascosti, quelli del cortile, e la voce popolare contrasta quella dei potenti. La Capitale è stata concepita così.

Il "cuttigghiu" assume un valore dispregiativo quando declinato al femminile.Se per gli uomini siciliani cornuto è l'ingiuria più grave che si possa ricevere, per le donne essere una cuttigghiara è un'accusa altrettanto pesante. L’origine della parola è legata all'idea delle prostitute che attiravano i passanti per trasformarli in clienti, attirandoli non solo con le loro grazie ma anche con la loro loquacità.

Esiste un leggenda popolare sulle cuttigghiare che si svolge davanti al monastero di Santa Chiara, in quella che oggi conosciamo come la piazzetta delle Sette Fate a Ballarò. Si diceva che in questo posto di notte, sette donne bellissime portassero gli uomini in luoghi magici e pieni di meraviglie o, più probabilmente, a consumare un amplesso.

Queste donne erano solite attirare gli avventori con parole dolci, stazionando nel cortile. Da allora donne che si intrattengono all'esterno dei cortili aggiungendo una chiacchiera di troppo, sono definite curtigghiare, tentatrici, pettegole e donne di malaffare.

Ma il curtigghiu è anche la rissa, la "sciarra". Alla Kalsa esiste il vicolo del Pallone, strada che i più anziani ricordano come luogo di litigi violenti, dove il linguaggio volgare l'aveva fatta ribattezzare "Cuttigghiu Balluni". Il cuttigghio, dunque, come parlare sconcio, zotico.

Sul curtigghio esiste anche un'opera teatrale: "Lu curtigghiu di li raunisi". L'opera definita "vastasata", cioè popolare, racconta della vita del popolo ed è ambientata nella Palermo di fine '700. Il protagonista organizza una "fuitina" con la fidanzata per strappare la dote alla madre di lei, ma i due vengono scoperti e all'interno del cortile nasce una lite furibonda fra tutti gli inquilini. Il racconto è accompagnato da musiche e poesie della tradizione rinascimentale.

Ben diversa la maniera di vedere lo spettegolare fuori dalla Sicilia: un affare sporco, un reato da punire persino con una punizione corporale. Nella Scozia e dell'800 e nella Germania del '500, per esempio, le donne troppo loquaci venivano punite con la "Briglia della Comare": una specie di museruola che veniva applicata alle colpevoli, rendendole così anche oggetto di pubblico ludibrio.
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