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Con lui i palermitani "solcano" il mare: Sua Maestà il pedalò, inventato da un siciliano

Omologati per 4 persone, solcano i mari in tribù da 7-8 elementi che si uniscono ad altre imbarcazioni. Eppure il pedalò non era stato concepito per questo

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 29 luglio 2023

Pedalò

"…Vidi che vi fu un violento terremoto. Il sole divenne nero come sacco di crine, la luna diventò tutta simile al sangue, le stelle del cielo si abbatterono sopra la terra, come quando un fico, sbattuto dalla bufera, lascia cadere i fichi immaturi. Il cielo si ritirò come un volume che si arrotola e tutti i monti e le isole furono smossi dal loro posto".

Questa è una citazione tratta dall’Apocalisse di Giovanni 6, 12-17, ma è anche ciò che si speriamo possa accadere quando dopo una settimana di lavoro arriviamo al mare la domenica mattina.

Studiosi di tutto il mondo ancor oggi si chiedono come abbiano fatto gli egiziani a costruire le piramidi perché evidentemente non sono ancora stati tra luglio e agosto nelle spiagge siciliane.

A giudicare da ciò che riescono a costruire con tende, sedie a sdraio, asciugamani, canne, protesi di nonnò, dentiere usate come mollette e pezzi di bambini, potremmo tranquillamente assurgere che se cinquemila anni fa avessimo avuto i blocchi di pietra e granito come gli egiziani, altro che piramidi, avremmo costruito l’Empire State Building.
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D’altronde i grattacieli chi glieli ha costruiti agli americani, ah? Noi glieli abbiamo costruiti!

Così, dopo aver affondato i piedi sulla sabbia 3000 gradi Fahrenheit ed aver preso coscienza che il Kumbh Mela (il bagno di purificazione Hindū nel fiume Gance) al confronto è il festival della patata novella di Strangolagalli, provi a cercare un quadrato su cui stendere il telo mare, come dicono al nord, o a tuvagghia, come diciamo noi (perché in effetti ci mangiamo sopra di tutto).

Illuso che non sei altro! Non lo troverai mai quel quadrato libero, neanche se fossi il campione mondiale di Tetris.

Rassegnato torni sulla battigia affidando le tue speranze all’orizzonte, così come i naufraghi di un tempo affidavano il loro destino ad un messaggio dentro la bottiglia lasciata danzare tra le onde del mare.

Macché, dopo 20 metri pure la bottiglia si sono fottuti! “Non potevo nascere ricco” pensi mentre ti scende la lacrima sul viso, “e stare in barca come quelli?”.

E invece sei povero e alla tua destra l’omino dei pedalò s’accarezza già il marsupio ammiccando e facendoti l’occhiolino:15 euro un’ora, e non hai fatto neanche in tempo a salpare che ti ritrovi una famiglia sconosciuta a bordo che ti fa da equipaggio.

Fermi tutti!

Ci deve essere stato un momento nella storia in cui qualcosa è andato storto. Se pensate infatti che le vacanze al mare siano sempre esistite e che le imbarcazioni siano sempre state sinonimo di relax, vi sbagliate di grosso.

Dovete sapere che l’usanza di passare le vacanze al mare tutto è tranne che datata, ma soprattutto non latina come la si pensa, al contrario proviene dai paesi anglosassoni.

Già la Bibbia parlava del mare come "un mondo terribile fatto di caos e morte" e che fino al medioevo e oltre si credeva popolato da mostri terribili.

Il più buffo di tutti è sicuramente è il monaco di mare, un essere con la testa di monaco (con tanto di tonsura), le pinne al posto delle braccia, la pinna posteriore e il corpo ricoperto di squame… eh, ne girava di roba buona nel medioevo!

Oggi noi a abbiamo il mommo che si mettere la maschera per guardare le femmine sott’acqua. Perfino ai tempi dell’antica Grecia si pensava che lo stretto di Messina fosse infestato da Scilla e Cariddi, due mostri mitologici che provocano naufragi.

Molto più semplicemente le spiagge erano luoghi pericolosi poiché le nostre coste erano continuamente infestate da pirati, non a caso questo era un uno dei primi punti della campagna elettore dei viceré che venivano nominati.

Comunque, come accennavamo, l’usanza di fare le vacanze al mare nasce nientepopodimeno che in Gran Bretagna verso la fine del 700 grazie alle prescrizioni mediche, secondo cui il bagno nel mare freddo avrebbe ridotto gli accumuli di bile nera, causa di malinconia, depressione e malumori.

Sempre depressi sti’nglisi… Poco dopo arrivò anche credenza che l’aria di mare facesse bene, perché più ossigenata, questo perché le citta inglesi erano già industrializzate e inquinate.

Nei secoli successivi l’usanza del mare contagiò tutta Europa, ma paradossalmente in Italia si diffuse più tardi, prendendo completamente piede solamente nel dopoguerra con la ripresa economica.

Poi negli anni Ottanta il boom dei pedalò.

Bianchi e gialli, bianchi e rossi, bianchi e azzurri, bianchi e verdi, nonostante siano stati concepiti per allietare le giornate di mare dei bagnanti, quasi sin da subito tirano fuori il peggio dall’essere umano.

Sulla carta (solo sulla carta) omologati per 4 persone, solcano i mari in tribù da 7-8 elementi che riunendosi ad altre imbarcazioni formano vere e proprie colonie imparentate da legami di sangue e comparatico.

Per non appesantire lo scafo, gli esemplari più giovani si attaccano alla ciambella legata alla fune - lanciata prontamente in acqua - che li trasporta a traino, mentre il capotribù (solitamente donna) tiene in mano il timone come uno scettro scegliendo la rotta da seguire.

La disperazione dei bagnini che fischiano a perdifiato e le urla dei locatori che minacciano il raddoppio della tariffa non possono nulla contro la folla imbizzarrita. Eppure il pedalò non era stato concepito per questo.

Anzi! A rigor di storia, anche se molto diverso da come lo conosciamo noi oggi, il primo modello viene creato dall’italiano Angelo Terzi nel 1913 per brevi attraversate. Terziscafo lo chiama, ed un subito un successo. Tuttavia col tempo risulta scomodo, poiché misura 5 metri ed azionato da una vera e propria bicicletta piazzata a centro di scafo.

Nun se pò fa! Purtroppo di lì a poco scoppia la guerra, Angelo parte con gli alpini e quando torna trova il suo terziscafo divorato dai topi… fine di un sogno.

Ci vorrà ancora un ventennio: nel 1937 l’inventore siciliano Giovanni Cannizzaro Favitta progetta e deposita il brevetto del pedalò come lo conosciamo oggi.

Ci arroghiamo quindi la paternità di quest’altra invenzione.

E di Giovanni purtroppo non si sa più nulla, non possiamo ignorare che abbia cambiato le estati italiane per sempre, a qualcuno in meglio ad altri in peggio.
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