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Cunicoli segreti, amanti tristi e fantasmi (tra le rose): sei in Sicilia in un maestoso castello

Vi raccontiamo una lunga storia legata a questo affascinante e inaccessibile maniero abbandonato, che mostra i segni delle trasformazioni avvenute nei secoli

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 29 febbraio 2024

Il castello di Calatubo ad Alcamo

L’antico castello di Calatubo – ben visibile dall’autostrada A 29- sorge imponente, sulla sommità della rocca calcarea imprendibile che domina un’ampia distesa di dolci colline coltivate a ulivi, vigneti, frumento.

Abbandonato da oltre un cinquantennio alle intemperie e ai saccheggi, il bene, acquistato nel 2007 dal comune di Alcamo, versa oggi in pessime condizioni.

Nonostante i numerosi crolli, si riescono tuttavia ad individuare ancora all’interno della prima cerchia muraria una chiesetta, un pozzo e i locali adibiti a magazzini per la produzione vinicola, nell'ultima fase di vita del complesso. Il nucleo principale del castello è arroccato sulla parte meridionale della rupe.

È una lunga storia quella di questo affascinante e inaccessibile maniero, che mostra i segni di molteplici trasformazioni avvenute nei secoli. Le più antiche notizie relative all'esistenza di un insediamento nel sito di Calatubo si ricavano dalle fonti archeologiche: intorno alle pareti della rocca sono state rinvenute ceramiche di tutte le epoche, dalla protostoria al Medioevo.
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Nell'area antistante l'ingresso del castello sono state casualmente riportate alle luce, dai contadini o dai mezzi agricoli, alcune tombe appartenenti ad una vasta necropoli e delle ceramiche datate fra il VI-V secolo a.C.: questi reperti indicano la presenza in tempi antichissimi di un abitato, forse uno dei tre piccoli centri (Ilarus, Tyrittus, Ascelus) legati a Segesta e citati dallo storico Diodoro Siculo.

Il nucleo originario della fortezza di Calatubo venne edificato probabilmente in epoca islamica, ma il primo documento che attesta l'esistenza della fortezza risale al periodo normanno: si tratta del diploma con cui il gran conte Ruggero fondava nel 1093 la diocesi di Mazara, dotandola di vari possedimenti tra cui anche «Calatub cum omnibus suis pertinentiis».

Il Castello di Calatubo viene citato nel "libro di re Ruggero" (1154) dal suo autore, il viaggiatore e geografo arabo Muhammad al-Idrisi, che evidenzia l'importanza di Qal'at 'Awbì come avamposto difensivo, affermando: "È valida fortezza e paese grande provveduto di territorio vasto, buono da seminare e molto produttivo. È situato a quattro miglia a un di presso dal mare; ha un porto dove si viene a caricar di molto frumento al par che da altre granaglie".

Risalgono al periodo normanno sia la configurazione definitiva della struttura del castello che la grande cisterna di notevoli dimensioni costruita fra il XII ed il XIII secolo, conosciuta come «Cuba delle rose», un piccolo edifìcio di pianta quadrata con copertura a botte, rivestita di cocciopesto, in cui confluiscono le acque di una vicina sorgente.

Lo spopolamento del feudo sembra essere avvenuto precocemente: nel 1338 il castello venne assegnato a Raimondo Peralta, conte di Caltabellotta, ma nella prima metà del XV secolo Calatubo risultava fra i feudi disabitati.

Nel 1707 il feudo e la baronia del castello vennero trasmessi per via ereditaria a Donna Gaetana Ballo o De Ballis, figlia di Vincenzo, barone di Calatubo.

Gaetana sposò Giuseppe Papè, terzo duca di Giampilieri, principe di Valdina, Protonotaro del Regno; il titolo di barone di Calatubo venne ereditato dal figlio Ignazio. Un altro figlio della coppia, Ugone (1724-1791), nato nel castello, fin dalla tenera età venne destinato dal padre a intraprendere la carriera ecclesiastica e nel 1772 divenne Vescovo di Mazara.

Si distinse per generosità e per i tanti gesti di beneficenza; diede inizio alla costruzione del Palazzo Vescovile e durante il suo governo il seminario di Mazara ebbe un periodo d'oro, arrivando ad accogliere nel 1778 ben 138 seminaristi. I Valdina, alla fine dell’Ottocento trasformarono il castello in baglio agricolo.

Pietro Papè Vanni di Valdina stravolse l’aspetto della sua baronia: fece impiantare numerosi vitigni intorno al castello e decise di creare 9 grandi magazzini adibiti alla vinificazione.

Il vino prodotto si chiamava Calatubo ed ebbe grande successo: venne premiato tra il 1885 e il 1902 con oltre trenta medaglie d’oro e d’argento, con diplomi e premi alle più importanti esposizioni come l’Esposizione Universale di Parigi del 1889-90.

Don Pietro Valdina divenne fornitore della Real Casa Savoia e il suo vino accompagnò le raffinate pietanze di alcuni pranzi reali, come testimoniano due menù rispettivamente del 31 gennaio 1898 e del Marzo 1905.

Pietro morì a Calatubo nel 1906: la sua salma venne trasportata in carrozza a Palermo. La fortezza, ormai abbandonata divenne un riparo per le pecore. Fino agli anni ’50 del secolo scorso era ancora in buono stato di conservazione; poi l’incuria, le intemperie, il sisma del 1968… hanno generato degrado e causato numerosi crolli.

Esistono diverse leggende legate al castello di Calatubo: una credenza popolare vuole che lunghi cunicoli sotterranei colleghino il maniero al Castello dei Conti di Modica di Alcamo e alle torre dei Ventimiglia sul vicino Monte Bonifato.

Lo storico alcamese monsignor Vincenzo Regina, nel suo volume "Calatubo dalla protostoria ai nostri giorni” (1985) affermava di aver appreso dal barone Nicolò Flugj Papè che vi era una galleria segreta: “Fu murata all'inizio del secolo (XX) dal principe Pietro Papè in seguito al grave incidente occorso a un giovane impiegato del castello.

Vi era entrato per curiosità e ne era uscito muto per sempre, traumatizzato forse dal rinvenimento di scheletri umani: si trattava di resti mortali venuti forse alla luce durante la vangatura e ivi depositati.

Questa torre era chiamata la torre di "lu re biddicchiu", perché secondo una leggenda vi era stato tenuto prigioniero un figlio ancora in tenera età, forse naturale, del re Martino”. Nell’articolo "La Cuba delle Rose: l'acqua di Calatubo" pubblicato su "Sicilia Archeologica" (n°106, anno 2012) Stefano Catalano riferisce altre due leggende.

La prima, “la cuba degli amanti”, narra l’infelice storia d’amore di due giovani, nella Sicilia del XIV secolo, periodo caratterizzato da fratricide guerre baronali.

Una bella fanciulla e un giovane cavaliere (appartenenti a due casati rivali) perdutamente innamorati l’uno dell’altra, si incontrano di nascosto e si amano nel rigoglioso giardino della Cuba delle rose; ma le cose belle non sono mai destinate a durare e un giorno le rispettive famiglie venute a conoscenza della relazione proibita, decidono di punire i due amanti.

Colti in flagranza, qualche istante prima di essere raggiunti dai rispettivi genitori, i due innamorati dopo essersi giurati amore eterno si tuffano nelle oscure acque della Cuba, sparendo per sempre.

I loro corpi non saranno mai più ritrovati: "la leggenda vuole che i due amanti si tramutarono in acqua, in quella stessa acqua che li aveva fatti sognare di un mondo diverso lontano dall'odio e dall'ignoranza". (S. Catalano) L’altra leggenda è legata a Donna Gaetana De Ballis e affferma che la Cuba viene chiamata delle Rose perché Donna Gaetana coltivava di nascosto, di notte - per evitare di farsi vedere dai contadini del luogo - proprio accanto alla cisterna un bellissimo roseto.

I fiori sbocciavano solo nell’oscurità, alla presenza della dama e quando la baronessa morì, il 19 febbraio del 1769" mai più una sola rosa restò aperta durante il giorno. La leggenda vuole che, ogni 19 febbraio alle 3 di notte, il fantasma della baronessa, con un indumento di seta bianco e un candeliere acceso tra le mani, esca fuori dal cancello del Castello di Calatubo e si rechi lentamente verso la Cuba.

Una volta arrivata dinanzi l’antico serbatoio, Gaetana inizia a girargli intorno per tre volte consecutive in cerca delle sue amate rose, per poi sparire nel nulla.” (S. Catalano) Stefano Catalano e Maria Rimi dell’associazione "Salviamo il castello di Calatubo" si battono da una decina d’anni per la salvaguardia del castello, della rocca dove esso sorge, delle grotte Chiarelli, della zona archeologica circostante e della vicina "Cuba delle rose".

Grazie al contributo del Fai (Fondo Ambiente Italiano) è stato possibile effettuare nel 2019 un intervento di consolidamento delle antiche strutture murarie e della copertura della chiesetta, ma i lavori da eseguire per fermare il degrado e i cedimenti della struttura sono ancora tanti e bisogna fare presto.
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