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Distese di biancospino, borghi (nascosti) e la "sciara di fuoco": tour in Sicilia a Serracozzo

Tre giorni fra Nebrodi ed Etna con un fuori programma sontuoso a volere dire poco, perché da qui in notturna si può assistere a un fenomeno unico e irripetibile

Santo Forlì
Insegnante ed escursionista
  • 6 giugno 2024

Serracozzo

Il 2-6-2022 sono partito da Messina per raggiungere Floresta per aggregarmi al gruppo "I Nebrodi" ed iniziare la prima escursione. Superata Patti la strada ha proseguito per paesetti semisconosciuti come Librizzi abbarbicato su un costone roccioso come una serie di fortificazioni di avvistamento.

Già il tragitto in automobile si è rivelato molto interessante, in alcuni tratti la strada era completamente ombreggiata inoltrandosi in mezzo a folti noccioleti, in altri si snodava fra uno sfavillio di colori perché ai suoi margini erano assiepate tante ginestre in splendida fioritura.

Dalle case Badessa abbiamo iniziato l'escursione verso la dorsale dei Nebrodi attraversando una vasta vallata assolata con dei verdi prati in cui alcune volte l'erbetta era interrotta da formazioni rocciose calcaree costituenti l’unica nota di discontinuità del paesaggio.

Proseguendo più oltre invece in alcuni luoghi si osservava come un bagliore di luce bianca a causa di grandi agglomerati circolari di fittissimi fiori di biancospino siciliano che cresce a quelle altezze 1400 s.m.
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Non ne avevo mai visti in numero così considerevole e di dimensioni così spettacolari tali da assumere una connotazione arborea. Veramente un colpo d’occhio. Già questo magnifico spettacolo giustificava l’avere intrapreso questo viaggio.

Dopo avere coperto circa la metà del cammino sotto il sole cocente, l'anticiclone Scipione si faceva sentire pure in quota, ci siamo imbattuti in una fontana da cui sgorgava acqua fresca e ci siamo abbondantemente dissetati.

Peccato che non avendo come conservarlo non abbiamo raccolto l'abbondante crescione che ivi cresceva. Il paesaggio era ingentilito dalla presenza di alcuni laghetti le cui placide acque verdeggiavano. Proprio vicino ad uno di loro, il Cartolari, ci siamo fermati per una colazione con i superlativi prodotti tipici di Floresta: salumi, formaggi, miele. Il tutto accompagnato da corposi vinelli.

La qualità dei prodotti e il loro sapiente accostamento, ha fatto sì che quello che doveva essere un frugale spuntino si è trasformato in un lauto pasto e in una favolosa delizia per il palato.

Poiché abbiamo scelto come nostra base un hotel di Randazzo, abbiamo dedicato il tardo pomeriggio alla visita di questa cittadina di impronta medioevale.

Abbiamo ammirato soprattutto l'imponenza e la maestosità della cattedrale in stile gotico- normanno con la sua facciata austera in pietra lavica di grande impatto emotivo.

Sembra che essa voglia rendere manifesta la distanza fra ciò che è sacro e degno di nota rispetto a tutto quello che è profano. Il secondo giorno dopo avere fatto una parte del tragitto in automobile abbiamo iniziato l'escursione sull'Etna con arrivo a monte Spagnolo ed attraversamento della spettacolare colata lavica del 1981 che partita da una bocca eruttiva subsommitale per poco non ha distrutto Randazzo dirigendosi a sinistra del suo centro abitato.

Ci siamo fatti un'idea della potenza della colata lavica capace di scavare voragini e solchi profondi, andare in ebollizione con temperature di 1.200 gradi e originare dei zampilli che plastificandosi a forma di ciambelle si depositavano ai bordi formando dei muraglioni.

A volte lungo il canale di scolo si sono aperte altre bocche eruttive andando a formare dapprima delle fessure e dopo degli ingrottamenti passibili di potere essere ispezionati.

I licheni verdastri che li ricoprono con una presa tenace costituiscono l'unica forma vegetale. Sulla strada del ritorno a fare da contrasto con la cupezza del nero paesaggio c'erano interi pendii ammantati del giallo sfavillante delle tante ginestre.

Durante tutto il percorso ci ha accompagnato la visione del cratere sommitale dell'Etna fumante, dapprima un fumo più chiaro e con l'inoltrarsi della giornata più scuro.

Così si è fatta strada via via una speranzella. Il nostro capogruppo Alessandro Licciardello ha telefonato a un super esperto vulcanologo per informarsi se era prevedibile un'eruzione. Questa idea ci ha elettrizzati, pertanto rientrati in albergo ci siamo preparati per un'escursione notturna.

Invano Alessandro ci ha illustrato le difficoltà del percorso cercando di convincere i meno abili a desistere. Solo pochi hanno rinunciato. Il resto del plotone, una quindicina, sulle ali dell'entusiasmo si è messa in marcia.

Ci siamo arrampicati per superare un dislivello di circa 350 m. partendo dai 1.700 per arrivare ai 2067. Abbiamo affrontato un sentiero sconnesso a volere dire poco, sulla dura, compatta e disuguale roccia lavica.

Sopra di noi il cielo stellato che mai mi era apparso così vicino, mi è venuto in mente il detto latino per aspera ad astra che veramente mi sembrava molto appropriato per quello che stavamo facendo.

Solo in pochi tratti il sentiero si snodava in serpentine, il resto era ascesa pura. Le ombre della notte e i magici silenzi conferivano maggiore fascino all'impresa. Con noi si era aggregato pure un giovane che si era partito di tutta fretta da un paese dell’interno e pur non conoscendo il percorso si era partito all’avventura.

Riuscivamo a scorgere a stento dove mettevamo i piedi sotto la tremula luce delle nostre torce. Anzi ci segnalavamo le buche dove potevamo mettere i piedi in fallo. Da quell'altezza vedevamo laggiù in basso la vasta pianura su cui sorge Catania punteggiata di luci e ancora più oltre la scura distesa marina.

Ma la salita era veramente ardua, meno male che in mezzo al costone roccioso si elevavano delle giovani betulle che ci servivano da appiglio. Via via inerpicandoci la stanchezza si faceva sentire e incominciavamo a chiedere insistentemente quanto mancasse alla dilettevole cima. Non dico che come Dante Alighieri avessimo paura di "rovinare in basso loco", ma incominciavamo a disperare di riuscire a vedere l'altezza.

Quando oramai parecchi di noi eravamo sul punto di mollare e a rassegnarci di aspettare i compagni là più in basso, abbiamo incominciato a intravedere i primi bagliori dell'eruzione. Ciò è bastato per risvegliare le residue energie e farci arrivare sulla sommità di Serracozzo.

Emozione grandissima: la sciara di fuoco era proprio lì, a 2.800 m. poco più in alto dell'immane Valle del Bove sul cui bordo ci trovavamo, proprio dinanzi a noi. Splendida splendente a squarciare il buio della notte con una vivacità cromatica ineguagliabile. Grandissima gioia : la stanchezza svaporata.

Eravamo in fibrillazione, nelle nostre mani c'era un rapido passaggio di macchine fotografiche e cellulari. Uno del gruppo, un super atleta, era riuscito a portare fin lassù la pesante attrezzatura fotografica professionale, treppiedi compreso. La sommità si è trasformata in un set cinematografico.

Nessuno voleva farsi sfuggire l'occasione di farsi ritrarre con sua maestà la sciara di fuoco, che grazie ad un'illusione ottica sembrava a poca distanza. Siamo ritornati in albergo verso le due di notte.

I compagni rimasti che ci hanno visto ritornare ci hanno poi riferito che avevamo certe facce... Il giorno dopo come da programma ci siamo partiti per un'altra escursione, iniziando dalla splendida pineta di Linguaglossa la più estesa della Sicilia con alberi altissimi.

Quivi abbiamo camminato all'ombra, giunti però a Passo Dammusi siamo stati allo scoperto sotto il sole cocente, ma abbiamo potuto ammirare le lave a corda dell'eruzione 1614-24, somiglianti proprio al grosso cordame che vediamo sui moli marittimi, differente solo per il colore marrone quello, nero antracite questo.

Si sono formate a causa di una lava più fluida e a piccoli getti e protratta nel tempo. Nella loro prossimità è presente la celebre grotta dei Lamponi verso cui ci siamo diretti.

Non c'era un vero e proprio sentiero da seguire, ma bisognava scavalcare vari massi basaltici aguzzi e taglienti. Il tutto sotto il sole impietoso dell'anticiclone Scipione che furoreggiava pure a quelle altezze: 1600 s.m. circa.

Finalmente siamo giunti al grande antro entrando da un'ampia volta che dopo un'iniziale discesa ci sovrastava di qualche metro. Quivi abbiamo subito avvertito una piacevole frescura anzi per non raffreddarci troppo abbiamo tirato fuori dagli zaini qualcosa per coprirci. Dopo abbiamo percorso la grotta sulla cui volta c'erano delle concrezioni rocciose simili a mini stalattiti che facevano assomigliare il tutto ad un'intonacatura lasciata in rustico.

Solo in alcuni tratti abbiamo dovuto fare attenzione a non sbattere la testa, il resto era abbastanza sopraelevato, anzi in vari punti c'erano delle vere e proprie cupole alte vari metri sopra di noi, alcune di loro erano crollate e attraverso degli ampi squarci lasciavano passare luminosissimi fasci di luce.

Ciò era molto bello anche perché nel nostro immaginario di credenti esiste l'illuminazione divina che squarcia le tenebre della ignoranza e della superstizione e porta alla vera fede.

Usciti dalla grotta abbiamo fatto a ritroso la precedente strada che ci ha riportato al cancello di uscita dal parco e poi al cancelletto d'ingresso del prospiciente bar dove ci siamo rinfrescati e dissetati.
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