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Divenne cieco a causa di Elena di Troia: quando il poeta imerese "offese" la creatura divina

Ai più è famoso di nome ma non per i suoi natali. E non tutti conoscono l'ampia e ricercata produzione letteraria di Stesicoro cui (dal filosofo Aristotele) è attribuita anche la leggenda del cavallo e del cervo

Roberto Tedesco
Architetto, giornalista e altro
  • 11 maggio 2021

Il busto di Stesicoro all’interno di Villa Bellini a Catania (foto di Sabrina Portale)

Sembra che il poeta Stesicoro non dovette passare un bel momento quando per la prima volta recitò alcuni versi dedicati alla bella regina Elena. In particolare ci riferiamo a quando il poeta imerese cantò della fuga di Elena verso Troia, con il suo amato Paride.

Fu un argomento che gli determinò non poche complicazioni tra queste la perdita della vista inflitta dagli dei. Stesicoro, pur di rabbonire gli animi dei devoti della regina di Sparta considerata creatura divina, dovette rimediare scrivendo un altro carme una vera e propria ritrattazione.

Questo nuovo componimento è comunemente chiamato con il nome di Palinodia. Stesicoro dovette specificare che non si trattava della moglie di Menelao bensì, di un simulacro della regina quello che raggiunse la terra di Priamo. Secondo un'altra fonte antica Elena non partì mai alla volta di Troia.

Di seguito riportiamo ciò che riporta Platone proprio sulla questione: No, non è vera questa diceria: non salisti su navi dai bei banchi, non giungesti alla rocca di Troia. (Platone, Fedro, 243 a) (traduzione a cura di Antonino Balsamo).
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Con questo nuovo adattamento la leggenda narra che Stesicoro riottenne la vista. Il mito del simulacro di Elena fu anche ripreso da Euripide nella tragedia Elena. Secondo i compilatori del Lessico Suda, Stesicoro era un poeta lirico, che per primo istituì un coro per il canto citarodico. In epoca bizantina era collocato tra i poeti corali, al pari di: Pindaro, Bacchilide, Saffo, Anacreonte, Simonide, Ibico, Alceo e Alcmane.

La peculiare rilevanza che egli ebbe nella storia della citarodia, è da attribuire a due motivi. Il primo perché sostenitore della trattazione dei miti come parte essenziale dei suoi canti. Il secondo perché è considerato uno dei primi ad aver portato dei rinnovamenti di ordine metrico - musicale con l'utilizzo della ripartizione triadica.

All'ampia e ricercata produzione letteraria di Stesicoro, il grande filosofo Aristotele attribuisce la leggenda del cavallo e del cervo. L'apologo espone che il cavallo per potersi imporre sul suo rivale, il cervo, chiese protezione all'uomo; quest'ultimo riuscì a cacciare il cervo, ma rese schiavo il cavallo.

Questa allegoria ha un probabile referente storico. In quel periodo, Falaride (VI secolo - 555/554 a.C.), despota di Agrigento, aveva fatto credere agli Imeresi di fornire loro un appoggio militare per piegare i selinuntini, ininterrottamente antichi antagonisti della colonia, pretendendo in cambio di esercitare il suo potere sulla città.

La favola raccontata volle essere un ammonimento per i suoi concittadini. Nonostante gli avvertimenti, il tiranno entrò in città, e Stesicoro venne perseguitato e obbligato all'esilio. Al pari di Omero e Esiodo, secondo un anonimo grammatico, Stesicoro, influenzò drammaturghi del calibro di Eschilo (Orestea) ed Euripide (Elena).

La celebrità del poeta imerese fu molto diffusa sia nel periodo classico, nel quale i suoi carmi erano d'ispirazione per molti autori attici, ma anche qualche secolo dopo, in epoca augustea. Nel Museo capitolino di Roma è custodita una tavola marmorea, databile tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., che prende il nome di Tabula Iliaca.

Un settore di essa, quello centrale, è riservato all'imerese. Ivi sono figurate delle scene della leggenda di Troia di palese ispirazione stesicorea. Il poeta morì a Catania durante il periodo della cinquantaseiesima Olimpiade (556 - 553 a.C.).

Nella città del fuoco, il lirico viene ricordato in una delle piazze più importanti del centro storico e con un epitaffio posto all'ingresso dell'anfiteatro romano. In merito a un sepolcro funebre dedicato a Stesicoro alcuni storici riferiscono che avesse una forma ottagonale.

Infatti, di particolare attenzione risulta essere l'attribuzione del numero "8" a Stesicoro in attinenza proprio con il sepolcro. Ciò è documentabile da diverse informazioni pervenutaci da Svetonio, Eustazio e da Polluce, che riferiscono di un edificio di forma ottagonale. Il numero otto, nell'edifico sepolcrale di Stesicoro, doveva rappresentava una costante che si replicava in tutti gli elementi architettonici: nelle colonne, negli angoli, nei gradini, costituendo un vero e proprio "modulo otto" (omnia octo: intendendo dire che tutto era perfetto e non mancava nulla).

Secondo quanto riferiscono i compilatori della Suda, l'edificio funebre venne costruito a Catania. L'associazione del numero otto a Stesicoro dovette avere una grande diffusione anche tra gli scommettitori del giuoco degli astragali. Infatti, non doveva essere un caso che il risultato ottenuto con i dadi, pari ad otto, era chiamato dai giocatori "Stesicoro".

Il Fazello, nel XVI secolo, nella sua opera Le due deche dell'historia di Sicilia, così scriveva a proposito dell'edificio funebre: "(...) Havendo Falari intesa la morte di questo Poeta, scrisse agli Imeresi, e alle sue figliuole alcune lettere consolatorie, anzi esortò gli Imeresi, che gli fabricassero un Tempio, che fusse come un'eterna memoria delle sue virtù (...)".

Oltre al numero "8" i posteri associarono anche il numero "3" alla figura di Stesicoro. Infatti, il numero dei versi della Palinodia era di tre, ma più genericamente per il chiaro nesso con la struttura epodica del canto (triade strofica: strofe, antistrofe ed epodo), che era una costante in tutta l'opera stesicorea.

Secondo quanto riferisce il sofista Zenobio e il Lessico Susa era consuetudine dire: non conosci i tre di Stesicoro, per riferirsi a colui che era ignorante. In epoca recente anche Andrea Camilleri si interessò di Stesicoro nelle cosiddette Interviste impossibili; tracciando un profilo dell'imerese.
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