TRADIZIONI
Dolci siciliani dal nome strano ma facili da fare: chi conosce (e ricorda) i "pizzichintì"
Questa è una storia di memoria, quella della Sicilia contadina. Vi parliamo di un dolce oggi abbastanza raro ma un tempo molto richiesto, soprattutto a Natale
I pizzichintì (foto dal blog "Pasticci & pasticcini di Mimma")
È una specie detta aliena perché, proveniente da un altro territorio, in questo caso addirittura da un altro continente. I botanici tout court la vorrebbero fare sparire in un colpo solo dalla faccia della Sicilia poiché, risulta infestante e ad alto impatto invasivo per l'habitat autoctono originario delle specie naturali botaniche siciliane.
Eppure suo malgrado e a discapito di questo effetto, il fico d'India è diventato ormai il simbolo non soltanto del territorio siciliano, ma di tutto il Sud Italia. Questa premessa per parlare di uno dei frutti che nella tradizione gastronomica è diventato un must dei nostri sapori e come tutti i frutti d'estate, in qualche modo transita fino all'inverno.
Proprio per le feste di Natale si trasforma e diventa uno dei piatti che si consumava, e si consuma tuttora da qualche parte, dopo una lavorazione che proviene dalla antichissima capacità dei nostri avi di trasformare quello che era deperibile in conserva, pratica che oggi si definirebbe sostenibile.
È la storia di uno dei dolci più semplici con un nome che più strano non si può - così come ve ne sono altri in Sicilia e che abbiamo citato precedentemente in altri articoli - la cui ricetta è rimasta custodita da estimatori che lo preparano, facendole diventare ricercatissimo.
Stiamo parlando dei "pizzichintí" ovvero le mostarde di fico d'India, frutto che a discapito delle spine si può consumare tutto: le bucce anche dette in dialetto "scorce", il frutto, i fiori ottimi per tisane e infusi, le stesse pale dalle quali si ricavano ricette gustosissime. La mostarda esiste in varie zone d'Italia ma in Sicilia come nel sud d'Italia è differente da quello che viene cucinato nel nord del nostro Stivale.
Per noi rappresenta un dolce che ha il calore dell'estate, sebbene venga consumata tra l'autunno e l'inverno, una preparazione che deriva dall'usanza della raccolta che si faceva dei frutti ancora acerbi - mele, pere, cotogne, zorbe - i quali venivano conservati nelle cantine per essere consumati poi via via durante l'inverno.
La stessa cosa avveniva per la cosiddetta frutta secca, ovvero, quella che maturava alla fine dell'estate e inizio dell'autunno come i fichi, le mandorle, le noci, le nocciole, ingredienti che mescolati insieme alle confetture a base di zucca o di cotogne, formavano "u chinu", il ripieno dei dolci detti buccellati oppure nucatoli, o cucchie sulle Madonie, altri nomi sparsi per tutto il territorio.
Quel ripieno che fa parte della pasticceria casalinga e semplice delle feste di fine inverno, che andava consumata a fine pasto delle cene o nei pranzi in famiglia. Questa cosa però, non era possibile farla per i fichi d'India, un frutto molto deperibile e impossibile da raccogliere acerbo e lasciare a maturare.
I pizzichintí sono la nostra mostarda, quella che al nord Italia è invece una composta di frutta candita molto speziata alla quale si abbina anche l'essenza della senape, che va mangiata in abbinamento con alcune carni ad esempio e quindi lontanissima dal nostro uso.
Nella Sicilia di oggi questo prodotto gastronomico della tradizione è diventato sempre più raro da trovare tranne che nelle botteghe specializzate, pochi la fanno ancora a casa, ma la mostarda conserva il sapore delle cose perdute e ritrovate per chi se la ricorda da bambino, una generazione che ormai ha una certa età.
La mostarda siciliana possiede una sua identità che prescinde dal frutto, è memoria, è il retaggio di una cultura contadina certamente oggi rivalutata da una cultura gastronomica che guarda al passato per recuperare le radici e custodirle.
La preparazione è tutto sommato semplice, si ricava dal succo del frutto coltivato in maniera estensiva in alcune zone della Sicilia come quelle ai piedi dell'Etna, nel Belice, nell'entroterra siciliano. I frutti privati delle bucce spinose, vengono fatti bollire fino a quando si forma una polpa che viene filtrata, anticamente con un panno di lino, il cui liquido si addensava con l'aggiunta di farina, versato caldo in piatti esposti al sole per fare essiccare la gelatina al calore nelle giornate autunnali o di fine estate. Quando era pronta veniva tagliata a rombi o a quadri e conservata in latte di metallo o barattoli di vetro.
Nelle famiglie alto borghesi o nobili, invece, venivano usati degli stampi così come quelli per la frutta di martorana o le pecorelle preparate per le feste Pasquali. Stampi intagliati con delle decorazioni floreali o antropomorfe che facevano diventare questi dolci oltre che buoni anche molto belli a vedersi, da portare in tavola e offrire agli ospiti.
Nella città di Caltagirone, una delle patrie della ceramica d'arte regionale, esisteva l'usanza di produrre delle ceramiche fatte apposta con disegni per questi stampi. La preparazione della mostarda era anche un momento di unione, di condivisione, un rito che celebrava la famiglia, insieme ad alcuni valori oggi non più così importanti e imprescindibili.
Per dovere di cronaca diamo anche un cenno storico sull'arrivo della pianta di fico d'India dal lontano Messico al Mediterraneo. La storia racconta che questa pianta fosse venerata dagli antichi Aztechi e fu Cristoforo Colombo a portarla in Europa nel suo secondo viaggio nel nuovo mondo nel 1643, e donarla ai reali di spagna, a Re Ferdinando II di Aragona che li diffuse in tutti i giardini compreso quello reale di Napoli. E ad arrivare fino in Sicilia il passo fu breve.
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