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È tornato il morbillo, Sicilia la più colpita: i medici avvertono "non è un'influenza"

Chi lo aveva archiviato come una malattia dell’infanzia, oggi lo ritrova con forme gravi, complicanze serie e ricoveri. I dati aggiornati e i motivi secondo i sanitari

Claudia Rizzo
Giornalista e TV producer
  • 3 giugno 2025

In Sicilia il morbillo è tornato. E non in punta di piedi: da gennaio ad aprile 2025 sono stati registrati 53 casi, su un totale di 269 segnalati in tutta Italia; il che significa che una persona su cinque, tra quelle contagiate nel nostro Paese, vive qui.

La regione è ufficialmente la più colpita, con un’incidenza che ha superato i 33 casi ogni milione di abitanti (contro l’incidenza nazionale del 13,7). Ma la vera notizia è che questa non dovrebbe più essere una notizia. Il morbillo, infatti, era quasi scomparso, relegato alla memoria delle generazioni passate, e invece oggi è nuovamente con noi.

Ed è tornato con tutta la sua forza, colpendo chi pensava di non essere più in pericolo. Non stiamo parlando solo di bambini troppo piccoli per essere vaccinati: al contrario, riguarda soprattutto adolescenti e adulti.

Oltre il 75% dei contagi avviene sopra i 15 anni. Perché il virus non sceglie: fa il giro delle scuole, passa nelle sale d’aspetto dei pronto soccorso, si insinua nei luoghi affollati, nei mezzi pubblici, nei centri commerciali.

Non sta fermo ad aspettare che qualcuno si ricordi quanto possa essere pericoloso. E non ha nulla di nostalgico: chi lo aveva archiviato come una malattia dell’infanzia, oggi lo ritrova con forme gravi, complicanze serie e ricoveri.

Perché il morbillo è una malattia infettiva tra le più contagiose al mondo, causata da un virus che si trasmette per via aerea.

I sintomi possono sembrare banali - febbre, tosse, naso che cola, occhi arrossati, poi le classiche puntine rosse - ma le conseguenze non lo sono affatto. Encefaliti, otiti, diarrea, polmoniti, immunodepressione temporanea e non solo.

Oltre alle complicanze acute, il morbillo può causare la panencefalite subacuta sclerosante - una rara malattia degenerativa del sistema nervoso centrale, caratterizzata da un deterioramento delle facoltà mentali e da convulsioni - che insorge in media sette anni dopo l’infezione primaria. In un caso ogni mille, può addirittura portare al decesso.

A volte, però, non basta conoscere i rischi: servono i numeri per capire. Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, nei primi mesi del 2025 tre persone hanno sviluppato una grave infiammazione cerebrale e oltre il 50% dei pazienti ha richiesto il ricovero.

Non è quindi un’influenza con delle puntine, come qualcuno la chiama ancora con leggerezza: è una malattia seria, e chi lavora negli ospedali o negli ambulatori lo sa bene.

A lanciare l’allarme sono moltissimi esponenti della comunità scientifica, che ogni giorno lavorano per garantire la salute pubblica.

Tra questi, anche Milena Lo Giudice, pediatra e componente del Comitato Tavolo Tecnico Vaccini della Regione Siciliana e del Comitato Etico Nazionale per la sperimentazione dei farmaci in pediatria dell’AIFA: «Dobbiamo sfatare il mito del “tanto lo abbiamo avuto tutti”. Il morbillo deve essere fortemente evitato.

Dire che si debba prenderlo per forza è una convinzione pericolosa, oltre che infondata». Lo dice da medico, da chi il morbillo lo ha vissuto da vicino, nelle sue forme più violente, vedendo con i propri occhi cosa può provocare: «Dopo la mia laurea, ho iniziato a lavorare in una comunità per persone disabili, e lì ho conosciuto una ragazzina che, a causa di un’encefalite post morbillosa, era rimasta gravemente compromessa. Guardandola, immaginando la vita che avrebbe potuto avere se fosse stata protetta, ho capito che non avrei mai più smesso di insistere sulla prevenzione».

Prevenzione che passa attraverso la vaccinazione, peraltro obbligatoria nel nostro Paese. Il vaccino esiste da oltre 50 anni: è sicuro, gratuito, collaudato, ma non tutti possono farlo.

Si tratta infatti di un vaccino con virus vivo attenuato e chi è immunocompromesso non può riceverlo. Per questo diventa indispensabile superare il 95% di copertura: per proteggere anche chi non può difendersi da solo, raggiungendo la cosiddetta “immunità di gregge”.

«Vaccinarsi significa permettere anche ai bambini che non possono farlo di andare a scuola in sicurezza e di fare una vita come tutti gli altri coetanei», spiega Lo Giudice. È una responsabilità collettiva, non un’opzione individuale.

«E i dati dimostrano che la prevenzione funziona, quando viene messa in atto in tempo», sottolinea la pediatra. «In Sicilia, a gennaio si erano registrati 32 casi; grazie a interventi rapidi e mirati, ad aprile i contagi si sono ridotti a 8».

Le dosi da somministrare, che proteggono nel 97% dei casi, sono due. La prima si fa a 12 mesi, la seconda (in teoria) a 5 anni. Ma oggi, di fronte alla recrudescenza del virus, i piani sono stati rivisti: «La seconda dose è meglio farla a partire dai 18 mesi», aggiunge ancora la dottoressa.

È scritto nel calendario vaccinale come raccomandazione. Una postilla, sì. Ma cruciale. Perché ogni ritardo nella protezione apre una finestra di rischio; e il virus, quella finestra, la attraversa senza chiedere permesso.

E infatti è proprio da queste falle che si è fatto di nuovo strada. Perché in molte regioni italiane - e purtroppo la Sicilia non fa eccezione - le coperture vaccinali sono calate.

Complici la pandemia, la disinformazione, i ritardi, e anche una crescente diffidenza sociale. A pagarne le conseguenze sono i più fragili, e finché non ci sarà un cambio culturale profondo - come lo chiama Lo Giudice - resteremo esposti. Perché non è solo una questione medica: è una questione sociale, educativa, politica.

E se non la tratteremo come tale, continueremo a rincorrere le emergenze anziché prevenirle. Il problema è che tutto questo, come troppo spesso accade, rischia di essere archiviato come un fastidio passeggero, stagionale, da affrontare con qualche campagna spot. Ma il ritorno del morbillo non è un caso: è il sintomo - evidente - di qualcosa che si è rotto.

Non solo nei dati, ma nella fiducia, nella memoria, nel modo in cui abbiamo smesso di proteggerci a vicenda. Di essere, e sentirci, comunità. Se non cambia qualcosa, potremmo presto trovarci a fare marcia indietro di settant’anni. E no: purtroppo non sarà solo una “malattia da bambini”.
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