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È tra i borghi più amati dell'estate e anche con il freddo ha il suo "perché": Marzamemi d'inverno

Marzamemi è un piccolo borgo che riesce nell’arco di dodici mesi a vivere due vite, una breve e intensa in cui subisce l’impatto del turismo di massa e una lenta dal sapore nostalgico

  • 2 dicembre 2021

Nei primi anni 80 Marzamemi era un borgo di pescatori semi sconosciuto che si avviava verso l’oblio. Era frequentato da qualche artista armato di tavolozza e cavalletto, rari vip in incognito o globe trotters fuori dalle rotte del turismo classico. Gli stessi abitanti della zona la affollavano solo in pieno agosto per la festa di San Francesco di Paola, il santo patrono. C’erano due bar, un ristorantino e poco altro.

I tour operator non spingevano i loro gruppi più a sud di Siracusa, non era ancora crollata la cupola della cattedrale di Noto e i luoghi di Montalbano non erano ancora stati inventati. La stagione del turismo nel sud est siciliano era di là da venire.

La svolta per il piccolo centro di pescatori si presentò nei primi anni 90 sotto forma di macchina da presa, quella di Gabriele Salvatores che, reduce dai successi di Mediterraneo e Puerto Escondito, si stabilì un paio di mesi a Marzamemi con tutta la troupe per girare il film Sud. Quasi per intero le scene si svolsero nella cornice di piazza Regina Margherita, tra il palazzo di Villadorata, le due chiese e le casette dei pescatori.
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I fratelli Taviani, circa dieci anni prima, avevano usato la stessa location per alcune scene di Kaos, pellicola ispirata alle Novelle di Pirandello, ma il loro breve passaggio non aveva lasciato traccia. Un borgo marinaro autentico, cresciuto intorno alla più importante delle tonnare della costa ionica, non poteva rimanere sconosciuto ancora per lungo tempo.

A Salvatores seguirono immediatamente grandi produzioni internazionali, Brandauer e Tornatore svelarono altri angoli della piccola frazione di Pachino, soffermandosi sulla Balata, il molo antistante i malfaraggi, cioè i magazzini della tonnara. Altri ancora ne seguirono, Montalbano compreso, e Marzamemi seppe ricambiare tanta attenzione da parte del mondo della celluloide inventandosi il Festival del Cinema di Frontiera, giunto quest’anno alla XXI edizione.

Frequentato per decenni dai proprietari delle case di villeggiatura dei dintorni, grazie alla pubblicità inaspettata, il borgo di pescatori vive una seconda vita scoprendo una sua vocazione turistica. Diventa presto il cuore della movida dei tanti che d’estate frequentano le spiagge di San Lorenzo e Carratois, Vendicari e Capo Passero.

Finita la stagione balneare, per nove mesi l’anno, Marzamemi torna a somigliare a quel borgo di pescatori che è ormai un lontano ricordo. È allora che vale la pena tornare per sentire le storie che queste pietre, antiche di mille anni, hanno da raccontare. E sono pietre che parlano arabo, normanno, spagnolo, persino inglese.

Il toponimo è sicuramente arabo, significa rada delle tortore o forse porto di Maometto ed è probabile che arabi siano stati i primi abitanti di questo piccolo villaggio vocato alla pesca del tonno sotto ogni dominazione, ininterrottamente fino agli anni 70 del secolo scorso, quando l'attività cessò del tutto.

L'impianto del borgo è settecentesco, frutto della ricostruzione seguita al terremoto del Val di Noto nel 1693. Al centro l’unico palazzo signorile, progettato dall’architetto Vermexio, di proprietà dei Principi Nicolaci di Noto, ultimi signori della tonnara. Dalla loro terrazza potevano seguire le fasi frenetiche della pesca e della lavorazione del tonno che si svolgeva da maggio a settembre.

Tutto intorno ruotano le case dei pescatori, la chiesetta, la ex fabbrica del ghiaccio, gli stabilimenti e i ricoveri delle barche. Una diga protegge il borgo dalle mareggiate, ma non impedisce che nei giorni di tempesta la piazza venga invasa dall’acqua di mare.

Se la pesca, in particolare del tonno, è stata il motivo stesso della nascita di Marzamemi, per molti secoli non è stata l’unica attività produttiva del territorio. Alle porte del paese, l’imponente Palmento voluto dal Marchese Di Rudinì alla fine dell’800, rappresenta la più importante testimonianza della tradizione agricola di Pachino legata alla produzione del vino. Un esempio di archeologia industriale che poteva competere con i palmenti dei Florio e dei Tasca d’Almerita della Sicilia occidentale.

Oggi è di proprietà del Comune ed è un centro polivalente per mostre ed eventi culturali. Nei pressi anche i resti di una distilleria. La strada che conduce all’ingresso del borgo separa i due pantani che cingono Marzamemi. Uno, sempre asciutto, è adibito a parcheggio, l’altro, che si riempie d’acqua ogni autunno, era un tempo adibito a salina, un’attività indispensabile per la salagione del pesce. Anatre, folaghe, gallinelle d’acqua, aironi e fenicotteri sono frequentatori abituali di questa piccola area umida a ridosso del lungomare che ha resistito alle bonifiche.

A ridosso della spiaggia detta della Spinazza, lungo l’ultimo tratto di diga, vale la pena visitare una vasta area di latomie che si trovano appena sotto il livello del mare. Si riconosce la mano dell’uomo nei tagli lineari della pietra arenaria. Marzamemi è un piccolo borgo che riesce nell’arco di dodici mesi a vivere due vite, una breve e intensa in cui subisce l’impatto del turismo di massa, e se la si frequenta in quei giorni bisogna adattarsi, prendere o lasciare.

In inverno l’immagine tipica è quella di un camper parcheggiato a ridosso del molo, due sdraio aperte al sole e due pensionati, forse olandesi o tedeschi, con un libro in mano. Padroni assoluti della quiete che regna incontrastata.

Ad ognuno la sua stagione.
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