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Famiglie soffocanti, mariti aguzzini: romanzi di denuncia di una siciliana (dimenticata)

La scrittrice siciliana denunciava l’inferno della condizione femminile all’interno della società patriarcale, dove la donna è costretta a subire la tirannia maschile

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 12 dicembre 2022

Maria Messina

“Una giovane donna minuta con un visino pallido dai grandi occhi luminosi, incorniciato da una massa di fini capelli castani. La sua fragilità celava una forza d’animo non comune, la forza che le ci era voluta per denunciare, lei signorina di buona famiglia che avrebbe dovuto ignorare certe vergogne, quello che si celava dietro la facciata di case rispettabili, in cui la donna era tenuta in uno stato di soggezione prossimo alla schiavitù”. Così la scrittrice Annie Messina ricorda la zia Maria.

Annoverata tra le voci più importanti della storia della letteratura italiana del primo Novecento, Maria Messina appartiene anche purtroppo alla categoria delle scrittrici di talento dimenticate, nonostante alcune delle tematiche affrontate nei suoi romanzi siano ancora oggi sorprendentemente attuali. La scrittrice siciliana denuncia il dramma della condizione femminile in una società (quella tra fine Ottocento e inizi del Novecento) che costringe le donne a rinunciare alla capacità di autodeterminarsi e ad essere sempre sottomesse alla volontà del padre o del marito.
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Maria nasce nel 1877 a Palermo, da Gaetano, maestro elementare e poi ispettore scolastico, originario di Alimena (Pa) e da Gaetana Valenza Traina, appartenente a una famiglia nobiliare decaduta di Prizzi (Pa). Sin da bambina conduce un’esistenza schiva e solitaria “Son dunque vissuta sola - scrive nel 1909 a Giovanni Verga - pur non sentendo bisogno d’alcuno, restando un po’ selvatica, un po’ estranea alla vita pure osservando la vita”.

La sua è un’infanzia triste, da reclusa; le condizioni economiche della famiglia non sono agiate e i genitori sono spesso in disaccordo, litigano frequentemente. Non le viene concesso di frequentare la scuola, probabilmente perché è una femmina: il suo destino sarà quello di sposarsi o di fare la casalinga; invece al fratello Salvatore sarà permesso di fare un percorso di studi regolare e di percorrere una brillante carriera giuridica e diplomatica, dopo aver conseguito la laurea. Maria studia a casa, sotto la guida della madre e del fratello (che la incoraggerà e la sosterrà come scrittrice).

A causa della professione del padre, Maria è costretta a seguire la famiglia in giro per l’Italia e anche questo continuo peregrinare non le consente di crearsi delle amicizie . Nel 1903, all’età di sedici anni, giunge a Mistretta (Me), cittadina che le rimarrà per sempre nel cuore.

Dopo sei anni, nel 1909 si sposta ad Ascoli Piceno, dove risiederà per 2 anni. Nel 1909 inoltre Maria inizia una fitta corrispondenza con lo scrittore Giovanni Verga, ormai anziano: il loro epistolario è composto da 23 lettere che vanno dal 6 novembre 1909 al 24 dicembre 1919. Verga sarà per Messina una fonte d’ispirazione e di conforto, un maestro, un “padre” ed un grande amico. Tra il 1909 e il 1921, la giovane donna pubblica una serie di novelle con l’editore palermitano Sandron: Pettini-fini (1909) e Piccoli gorghi (1911).

Si tratta di raccolte di novelle rusticane di stampo schiettamente verista; i personaggi sono vittime della povertà, dell’ignoranza e i temi trattati sono quelli tipici della narrativa verista siciliana, dalla gelosia all’onore, dall’adulterio alla “roba”. Grazie all'appoggio di Verga, una novella di Maria viene pubblicata sulla rivista "La Donna", aggiudicandosi il premio Medaglia d'Oro.

Oltre che con lo scrittore siciliano, Maria intrattiene una fitta corrispondenza anche con altre personalità del tempo. Nel 1912, la famiglia Messina si trasferisce ad Arezzo, poi a Trani e dal 1916 al 1921 vive a Napoli. In questi ultimi cinque anni, Maria pubblica una buona parte delle sue opere: Alla deriva (1920), Primavera senza sole (1920) e La casa nel vicolo (1921) ed inoltre i volumi di racconti Ragazze siciliane (1921) e Il guinzaglio (1921).

La scrittrice si distacca dal verismo delle prime novelle giovanili, insistendo sull’analisi psicologica delle protagoniste e matura una propria originalità letteraria.

Al centro dei nuovi racconti o dei romanzi non sono più i “vinti” del mondo contadino, ma “le vinte” del mondo piccolo borghese siciliano, un microcosmo ossessionato dalle apparenze (da salvaguardare ad ogni costo) ed immerso nell’immobilismo e nel conformismo. È un'immagine desolante quella dipinta dalla scrittrice palermitana nelle sue opere: Maria infatti non scrive per ingannare le sue lettrici o per portarle ad evadere con racconti d’amore e fantasticherie romantiche.

Nei suoi romanzi la Messina si impegna a denunciare il dramma della condizione femminile (sia delle zitelle che delle malmaritate), in tutte le sue sfaccettature: la vita tediosa, abitudinaria e l’asfissiante ambiente domestico in cui sono costrette a vivere le donne; l’ipocrisia maschile che vuole madri e mogli “angeli del focolare” dedite al sacrificio; la congiura sociale che permette al maschio autoritario ed egoista di esercitare la sua tirannia sulla ‘sua’ donna (la moglie o la figlia) sotto il pretesto di proteggerla.

Le donne non possono esprimersi, non possono uscire da sole, non possono scegliere liberamente chi sposare…vengono trattate come “merce”, come “bestie” da comprare con il “matrimonio. La donna è sempre succube, nelle pagine di Maria Messina ed è costretta a subire passivamente le decisioni del padre o del marito.

In Maria non c’è tuttavia traccia di istanze femministe, malgrado ella denunci una situazione di profonda ingiustizia nei confronti delle donne. I personaggi femminili si muovono all’interno del sistema oppressivo patriarcale non solo siciliano, ma in genere italiano. Le donne sono sempre vittime: vittime di sottomissione e di dipendenza; di reclusione e d’isolamento; di repressione e d’immobilismo sociale.

Tra il 1921 e il 1923 la famiglia Messina si trasferisce di continuo tra Arezzo, Firenze e Ascoli Piceno; Maria pubblica Un fiore che non fiorὶ (1923), romanzo che affronta la tematica della “signorina moderna”, la giovane emancipata, che veste alla moda e che si trucca, che partecipa alle feste, in altre parole che è più libera rispetto ai personaggi femminili delle altre opere.

La scrittrice esamina l’atteggiamento punitivo della società nei confronti delle “signorine moderne”: il maschio conformista desidera sposare una donna “all’antica” e finisce per non scegliere mai come moglie una signorina moderna ( genere che tuttavia ama frequentare senza impegno).

Secondo Maria né la donna all’antica, né la signorina moderna, sono comunque modelli vincenti: la Messina indica come modello positivo solo quello della donna colta ed autonoma, economicamente indipendente; l’istruzione e il lavoro sono secondo la scrittrice l’unica arma attraverso cui la donna può emanciparsi.

Infatti, ne L’amore negato (1928), l’ultimo romanzo pubblicato da Maria (dopo una pausa in cui si è dedicata a scrivere opere di narrativa per l’infanzia) emerge un modello positivo: Miriam, rappresenta il prototipo della donna economicamente e socialmente indipendente;, della donna che grazie al lavoro puὸ provvedere non solo a sé stessa ma anche alla madre ed all’ intera famiglia, senza il sostegno di nessun uomo.

Miriam è una donna forte, che non rimpiange l’ amore che il destino le ha negato e che sa continuare ad affrontare la sua vita anche da sola. Nel 1930 la scrittrice raggiunge a Pistoia la madre, ormai vedova: Maria non si è mai sposata, ha trascorso tutta la sua vita all’ombra della famiglia.

I perenni spostamenti a causa del lavoro del padre hanno profondamente influenzato il vissuto interiore della scrittrice, che è stata condannata a un’esistenza solitaria, da “esclusa”. La Messina rimane completamente sola dopo la scomparsa della madre nel 1932 perché il fratello Salvatore vive in Egitto; viene però amorevolmente assistita da un’infermiera, Vittoria Tagliaferri.

Il 24 Ottobre del 1943, durante la guerra, anche su Pistoia piovono le bombe sganciate dall’aviazione angloamericana: la popolazione fugge, ovunque è solo distruzione e morte.

La casa di Maria viene ridotta ad un cumulo di macerie: vanno dispersi i libri, le carte preziose, le lettere di Verga, di Ada Negri, di Guido Gozzano. La scrittrice riesce a mettersi in salvo e viene accolta in casa di contadini, ma poco a poco la malattia (sclerosi multipla) contro la quale lotta da molto tempo, ha il sopravvento e il 19 gennaio del 1944, alle tre di notte, Maria muore tra le braccia di Vittoria Tagliaferri, che non l’ha mai abbandonata e che si occuperà di seppellirla nel cimitero della Misericordia Addolorata di Pistoia.

Le spoglie mortali di Maria Messina insieme a quelle della madre, verranno traslate il 24 aprile 2009, a Mistretta, cittadina dove la scrittrice ha vissuto per sei anni e dove 5 ha ambientato alcuni dei suoi racconti.

La Messina, che si è subito affermata come scrittrice moderna e che ha goduto di una certa fortuna letteraria durante la vita, dopo la morte, per decenni è stata dimenticata.

Soltanto nel 1980 è stata riscoperta da Leonardo Sciascia, che l’ha definita una “Mansflied siciliana”. La Casa Editrice Sellerio ha pubblicato nuovamente i suoi scritti dal 1981 al 2009 e successivamente novelle e romanzi sono tornati sugli scaffali delle librerie con Edizioni Croce, grazie a Salvatore Asaro, massimo esperto della narrativa di Maria Messina.
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