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Ha un passato splendente, oggi è in rovina: cosa resta del (maestoso) castello in Sicilia

In merito al suo nome così curioso la storia si perde tra fantasia e verità. Sembra originato da una leggenda ma le versioni sulla sua origine sono diverse

Giovanna Gebbia
Esperta di turismo relazionale
  • 6 dicembre 2023

Il castello di Eufemio in Sicilia

Un territorio circoscritto dentro al quale si conserva una storia lunga secoli e che passa dalle notizie sulla mitica Segesta edificata tra il sec. II a.C. ed il I a.C. fino a quelle raccontate nel XII secolo d.C. dal geografo arabo di Ruggero II Muhammad al-Idrisi.

Per inciso colui che creò la "Tabula Rogeriana", ovvero l’atlante geografico più preciso conosciuto del medioevo, una raccolta di carte geografiche note come il libro di Ruggero.

Fu lui a raggiugere durante in uno dei suoi viaggi di esplorazione descrivendolo come "Castello antico e primitivo con un borgo popolato" e quindi, il Castello di Eufebio, dalla cui descrizione si capisce come fosse già esistente in un epoca antecedente l’arrivo dei Normanni.

Incastonato in un territorio affascinante per il paesaggio come per la storia che si perde nelle notte dei tempi e annovera anche l’area archeologica di Segesta, domina ancora oggi la cittadina di Calatafimi, ed è rappresentato nello stemma del Comune sebbene la città oggi si sia spostata più a valle, dalla sua altura di collina dove si perdono antichi uliveti e vigne di uve da vino, boschetti di macchia mediterranea.
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All’epoca del suo massimo splendore il Castello era un perfetto esempio di costruzione fortificata medievale, edificato interamente in pietra locale ancora ben visibile, fornito di torri e di una muratura perimetrale possente che aveva un perimetro trapezoidale.

Al suo interno gli spazi erano occupati da luoghi diversi differenziati tra la parte ad uso del reggente e della sua corte, ai piani superiori, celle carcerarie, una cisterna d’acqua posta sotto le murature.

Il Castello veniva considerato, secondo le fonti storiche, un importante punto strategico grazie alla sua posizione che permetteva di avvistare le eventuali aggressioni esterne da parte di avanzate, ma anche di osservazione e difesa.

Fu con Federico II che l’importanza del Castello Eufemio ebbe un notevole slancio, poiché era uno dei principali castelli imperiali del regno e presidio contro i musulmani che sopravvivevano ancora nella vicina Segesta, fortezza inespugnabile a difesa degli abitanti.

In merito al suo nome così curioso la storia si perde tra fantasia e verità: per una versione sembra originato da una leggenda nel cui racconto si dice che Eufemio sia stato il nome dell’uomo che facilitò la conquista delle truppe musulmane sul territorio segestano costruendo poi Kalat-al-Fimi, la odierna Calatafimi.

Altra versione dice che significhi "Castello di Fimi" o "di Eufemio", ovvero il nome del nobile e proprietario del vicino sobborgo “Longarico” oggi Alcamo. Altra fonte recita che il castello sorga sulle tracce rupestri di un forte antico posseduto da un certo Diocle detto “Phimeis”, che diede anche il nome sempre all’attuale Calatafimi.

Durante la rivolta del Vespro la sua funzione sembra fu determinante, nel 1282 era signore il nobile feudatario Guglielmo Porcelet che rimase incolume e graziato insieme alla sua famiglia, rispedito in Provenza sano e salvo poiché era amato e riconosciuto dagli abitanti che garantirono per lui.

Presidio militare e prigione fino alla seconda metà dell’Ottocento, il Castello fu abbandonato fino a causare lo stato di degrado che oggi lo vede ridotto a rudere del quale si possono soltanto immaginare la bellezza e possenza della struttura.

Cosa rimane della passata bellezza?

Purtroppo solo i ruderi delle torri di guardia collocate alle estremità nord e sud del prospetto principale che guarda verso il centro urbano, l’altra nella cortina muraria volgendo le spalle all’abitato, che apriva la porta del castello.

In tempi più recenti, ma non troppo, su questo territorio si consumava la vicenda dell’avanzata garibaldina della spedizione dei Mille: nella posizione strategica del colle le truppe borboniche si posizionarono con i cannoni comandate dal generale Francesco Landi, inviate per fermare Garibaldi nell’avanzata verso Palermo.
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