STORIE
Il licenziamento e la rinascita: la siciliana che vive tra fili d'oro e finocchietto selvatico
Un sorriso grande e generoso esattamente come lei. Questa è la storia di una donna che dopo il licenziamento ha deciso di reagire scoprendo la vera se stessa
Assunta Di Giovanni
Non ci credete? Allora questo racconto vi farà ricredere. Quella di Assunta Di Giovanni non è una storia semplicemente di un evento che oggi chiameremmo “un caso di resilienza o resistenza”, è molto di più è la storia di una vera rivoluzione, di una trasformazione generata dal coraggio di non mollare.
Un sorriso grande e generoso esattamente come lei, un carattere risoluto e deciso, mescolato ad una grande dolcezza, le sue mani curatissime lavorano ad una delle sue piccole creazioni mentre si racconta.
Da banconista da bar in un locale del centro storico della affollata Cefalù meta turistica normanna, a creativa artigiana ispirata dalla natura delle sue Madonie e dalla cultura ceramista locale, una trasformazione che avviene per caso, anzi in uno dei casi peggiori che possano accadere a chi da un giorno all’altro si ritrova senza un lavoro, una famiglia e una vita da portare avanti.
Ed è proprio mentre lavora che inizia a raccontare, anzi a raccontarsi un po’ imbarazzata come se quello che ha vissuto non avesse una reale importanza e fosse la cosa più normale del mondo. «Il mio era un lavoro sicuro di quelli di routine che non cambiava molto - duce -, orari stabili e gesti ripetitivi, il contatto con le persone piacevole ma sempre fugace, si limitava a qualche chiacchiera tra un servizio e l’altro, un gelato o il caffè e poi via. Faticoso, soprattutto, nei periodi di maggiore affluenza turistica ma stabile. Quanto mi bastava e rappresentava il mio mondo fino al giorno terribile del licenziamento».
Se vale la regola che nulla succede per caso, è a quel momento di profonda delusione che deve il cambiamento inaspettato che oggi ha rivoluzionato la sua vita, l’ha proiettata in una dimensione nuova che mai avrebbe immaginato prima, restando nella sua Polizzi dove ha impiantato quello che oggi è un piccolo laboratorio che diventa itinerante quando si sposta per le manifestazioni a cui partecipa.
«È iniziato così, davvero per caso, per avere qualcosa da fare e ammazzare il tempo mentre cercavo altro lavoro, fino a quando mi sono accorta che mi passionavo scoprendomi creativa. Guardandomi attorno ero ispirata da quello che vedevo fuori, quello che mi ricordava: la natura della nostra biodiversità, la nostra cultura dell’artigianato delle ceramiche e quello del legno che ho iniziato a mettere insieme, a comporre come un mosaico di idee che venivano fuori una dietro l’altra.
Alla fine mi sono ritrovata circondata da una miriade di pezzi, tutti diversi uno dall’altro, unici e mai uguali e ho intuito che questa poteva essere la mia seconda chance, mia davvero perché ne ero l’unica autrice».
I pezzi sono davvero unici, nella lavorazione richiedono una certa attenzione a abilità maneggiando i fiori: stesi con cura per mettere in evidenza i petali calati nella resina, devono mantenere la giusta forma naturale, il colore non deve stingere e restare intatto per brillare dentro la trasparenza.
A parole facile, a farlo molto meno, a volte i petali possono reagire diversamente e i colori appassire e il prodotto finale non bello come dovrebbe, allora bisogna rifare il lavoro daccapo. Quando, al contrario, tutto va come deve il risultato è un oggetto piccolo, a volte proprio minuscolo, ma di grande effetto estetico, i fiori rimangono perfettamente brillanti, trasformati immortali nello scrigno che li illumina dentro la trasparenza.
Anche le ceramiche che vengono riprodotte sulla base di un supporto in legno hanno un effetto scenografico che impreziosisce chi li indossa, come le ametiste e i lapislazzuli recuperati da gioielli in disuso o rovinati che tornano a prendere vita, restaurati e inseriti in altre forme, ma i suoi fiori perenni rimangono il must della sua abilità, la sua migliore ispirazione.
Una certa vena creativa in realtà che ha una fonte: suo papà da autodidatta passava il tempo a costruire cose per la casa, per la famiglia, o il fratello che oggi le ha regalato un martello da lui stesso cesellato per non farle rovinare i metalli quando lavora.
Ma per tornare da dove aravamo partiti, uno degli ultimi esperimenti è proprio quella folgorazione sul finocchietto selvatico, un’idea che le è venuta durante la raccolta dei fiori, un’intuizione felice che è subito diventata un pezzo in varianti uniche della sua collezione primaverile.
Alla domanda su quali siano le altre fonti di ispirazione dice «uno degli stimoli sulla ricerca per la mi creatività sono proprio le persone, incuriosite dal mio lavoro ogni volta che mi incontrano mi chiedono a cosa sto lavorando, quale sia la novità e da qui capisco che c’è anche un’attesa, un riconoscimento al mio lavoro che mi rende davvero felice ed è quello che mi ha fatto rinunciare a tornare al lavoro da dipendente.
Questa nuova dimensione, questa libertà e appartenenza del mio tempo è oggi la mia risorsa più importante, quella che davvero mi ripaga, mi rende autonoma e mi spinge a costruire personalmente il mio futuro con i miei fiori; le mie creazioni sono il mio mondo, un mondo semplice che va alla mia velocità».
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