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Il mistero delle "patere" d'oro nel borgo in Sicilia: perché erano 4 ma ne resta solo una

Tesori dal valore inestimabile, ritrovati in un paese sicano noto per i suoi paesaggi mozzafiato. Ammirati da artisti e principi, la loro esistenza è avvolta nel mistero

Erika Diliberto
Giornalista
  • 13 marzo 2024

La "patera d'oro" di Sant'Angelo Muxaro conservata nel British Museum di Londra

Nel cuore della Sicilia, nel suggestivo scenario delle campagne, in quelle colline che si inerpicano verso il cielo, sorge un piccolo paese, ricco di tanta storia e tradizioni: Sant’Angelo Muxaro. Il comune che conta poco più di duemila abitanti è situato nella regione agrigentina dell’isola ed è letteralmente “immerso” in una storia a dir poco millenaria

Il pittoresco paese è noto per i suoi paesaggi mozzafiato, ma anche per un curioso enigma che ha affascinato generazioni di abitanti e visitatori: il mistero delle patere d’oro.

Sant’Angelo Muxaro che si erge su di un colle, ai piedi del quale scorre l’antico fiume Platani, venne fondato intorno al XVI secolo ma le sue origini sono assai più remote e piuttosto sconosciute.

Quel che è certo è che sia nato da un villaggio sicano dell’Età del Ferro, nel XIII secolo a.C., e che per la sua posizione sopraelevata, per le innumerevoli quantità e dal tipo dei reperti storici rinvenuti sul posto, sia stato un centro particolarmente sviluppato e florido anche durante l’Età del Bronzo.
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Mu-Assar, così era chiamato il centro che si era sviluppato attorno a quel che doveva essere un castello, oggi non più esistente, dopo una prima dominazione araba, appartenne in seguito alla famiglia Chiaramonte. A questi ultimi, sia il borgo che il feudo, vennero confiscati alla fine del trecento e passarono sotto la giurisdizione di Guglielmo Raimondo Moncada.

Intorno alla seconda metà del Quattrocento, Sant’Angelo Muxaro succedette poi alla famiglia De Marinis. Nel 1506 venne favorita la colonizzazione di profughi albanesi, che caratterizzarono, per diversi secoli, l'identità e la vita religiosa del paese, esuli in queste terre a seguito della conquista ottomana dell'Albania e in generale dei Balcani sul finire del XV secolo.

Nel 1600, la baronia venne acquisita dai Principi di Castelvetrano, D’Aragona e Tagliavia e infine passò sotto la giurisdizione dei Pignatelli, Duchi di Monteleone, che la conservarono sino al 1812, quando in Sicilia la feudalità venne soppressa definitivamente.

Oggi Sant’Angelo Muxaro è oggetto di un turismo mirato verso quelli che sono i principali punti di interesse dell’abitato, tra i quali il suo suggestivo centro storico, caratterizzato da stradine tortuose, antiche chiese e vetusti palazzi nobiliari e soprattutto verso i significativi manufatti di interesse archeologico, rinvenuti sul posto.

«Il più povero fra i molti poverissimi comuni del provincia agrigentina», così il noto e stimato archeologo Paolo Orsi descrisse il paese di Sant’Angelo quando vi si recò per la prima volta agli inizi del XX secolo. Ciò nonostante, quel che al tempo attuale può apparire come un paese prettamente a carattere rurale, in passato ha rivestito un ruolo decisamente glorioso e ne sono testimonianza le sue numerose necropoli e gli oggetti d’oro, di pregevole fattura, rinvenuti al loro interno, fra cui le famose nonché leggendarie quattro “patere doro” massiccio.

La patera (detta phiale in greco) è una sorta di bassa coppa, utilizzata, sembrerebbe, per libagioni, a scopo rituale. Il rinvenimento di tali oggetti convinsero l’archeologo Paolo Orsi a indagare il costone roccioso alle pendici del moderno abitato.

La necropoli protostorica di Sant'Angelo Muxaro si apre, infatti, sul pendio meridionale del colle: le tombe, scavate a varie quote nel banco di roccia gessosa, furono oggetto di indagini da parte del noto archeologo negli anni 1927 e 1931. Con l'aiuto del giovane studioso Umberto Zanotti Bianco, Orsi iniziò lo scavo, dapprima nella parte superiore della necropoli, vicino alla cosiddetta "Tomba del Principe", o Grotta di Sant'Angelo, dall'omonimo eremita che vi avrebbe soggiornato nel XlI secolo, oltre 900 anni fa.

La Tomba del Principe è ancora oggi la più maestosa fra tutte, e la più grande tomba a tholos - ovvero a cupola – mai conosciuta in Sicilia. Il gruppo della parte alta del costone, indagato da Orsi, comprende tombe monumentali, con un breve corridoio di accesso, il dromos, camera principale a pianta circolare con alzato a profilo ogivale, la tholos, appunto: oltre alla Tomba del Principe, si tratta delle tombe Il, IV e VI, tra le più imponenti.

Una volta rimossi i lastroni di chiusura, gli archeologi si trovarono di fronte a delle camere ricolme di vasi e di scheletri, sepolti nel corso di vari secoli. Il rinvenimento delle patere d’oro è antecedente al lavoro del noto archeologo in suolo agrigentino e ancora oggi non ci è dato sapere chi e quando queste furono riportate alla luce. Quel che sembra esser certo è che le patere fossero ben quattro e in bella mostra già dal XVIII secolo.

Andrea Lucchesi Palli il vescovo di Girgenti, odierna Agrigento, infatti, aveva esposto i quattro tesori di inestimabile valore, nella sua biblioteca. La splendida Biblioteca Lucchesiana era stata donata alla città di Girgenti due anni prima, nel 1765, ma questi splendidi oggetti rimasero nella gestione, per così dire, “eccessivamente” liberale del vescovo.

Nella seconda metà del XVIII secolo, molti furono gli artisti ed i letterati che in giro per l’Italia e in visita in Sicilia, ebbero modo di ammirarle ad occhio nudo. Johann Hermann von Riedesel era solito appuntare nei suoi diari e nelle lettere che inviava a Johann Joachim Winckelmann, massimo teorico del Classicismo e della bellezza dell'arte classica, quel che aveva modo di visitare ed apprezzare nell’isola.

Riedesel nel 1767, durante la sua visita alla biblioteca lucchesina, scrisse che quelle patere erano: «La cosa più rara di questo gabinetto». Negli anni a seguire, le testimonianze parleranno non più di quattro patere d'oro ma di sole due.

Nel 1777 un altro grande viaggiatore e paesaggista Jean-Pierre Houël ammirerà due sole coppe, una decorata e una liscia. Le altre due, a detta di quest’ultimo, furono vendute ad un inglese.

Chi era questo inglese? Ce lo racconta un altro viaggiatore, anch'egli inglese, Henry Wisburne. Sir William Hamilton, ministro plenipotenziario per l'Impero d'Inghilterra presso il Regno di Napoli, durante un viaggio in Sicilia si trovò a Girgenti, nel 1769, e da lì se ne tornò a Londra, dopo aver acquistato la patera decorata che nel 1772 cedette al British Museum

Nel 1781 sarà il Principe Ignazio Paternò Castello di Biscari a poter vedere quelle rimanenti, ma già nel 1790 l'archeologo inglese Colt Hoare le cercò inutilmente, non trovandone più traccia.

Nel 1822 Giuseppe Lanza Branciforti principe di Trabia scrisse un articolo su una misteriosa patera decorata, cedutagli dal Principe di Gran Monte Luigi Ventimiglia nel 1814: era la seconda patera di cui non si aveva traccia e che era custodita nel palazzo del principe di Trabia a Palermo. Ma anche questa patera, ahimè, era destinata a sparire nel nulla, senza lasciare alcuna traccia.

Nel 1907 l'archeologo Antonino Salinas fu costretto a denunciarne la perdita definitiva. Una perdita per noi tutti! Delle quattro esistenti, ne è rimasta solo una in bella mostra, oggi, al British Museum. Il magnifico oggetto somiglia ad un “piatto” poco profondo. Alto 3 cm e largo quasi 15, pesa quasi 2.9 Kg, è decorato da una fila di sei tori in rilievo.

I tori hanno teste squadrate e piuttosto spigolose, sembrando quasi tarchiati nella forma; hanno costole sporgenti e grandi zoccoli. Al centro è presente un incavo: qui doveva esservi in origine una gemma intarsiata, andata perduta. A lato, vi è anche raffigurata una mezzaluna tratteggiata.

Si pensa che quest'opera sia il prodotto di un artigiano locale, influenzato con tutta probabilità dalle correnti stilistiche orientali, che l'avrebbe prodotta intorno al VI sec. a.C., circa 2600 anni fa.

Un'ulteriore fortuita scoperta riportò alla luce un pesante anello d'oro con castone ovale decorato a incisione da una mucca che allatta un vitellino. Il prezioso oggetto venne poi acquistato dallo stesso Orsi che lo trasferì subito presso il museo di Siracusa, allora competente sul territorio.

Oggi l’anello è fra gli oggetti preziosi più rari e importanti, esposto al Medagliere del Museo "Paolo Orsi" di Siracusa.

I manufatti rinvenuti dalla metà del 700 ad oggi, nel territorio di Sant’Angelo Muxaro, sono tantissimi. Lo stesso Orsi, nei suoi scritti, raccontava che in passato i contadini spinti dalla miseria e nella viva speranza di trovare fantastici tesori, ne avevano trafugato il maggior numero per poi esser venduti, per poche monete al mercato di Girgenti.

Orsi dichiarerà che molti di questi contadini, ancora un settantennio fa, possedevano a casa qualcosa di antico che barattarono con ambulanti al grido di “Oru vecchio ca m’accattu”” (oro vecchio che mi compro). La storia dei “tesori trafugati” è un tema ricorrente nelle leggende e nei racconti popolari di molte culture.

Il destino di oggetti di valore rubati o nascosti, danno vita a misteri e avventure che da sempre catturano l’immaginazione delle persone. In questo caso, questa particolare storia ci insegna che le leggende, e i misteri che aleggiano sulle patere d’oro non sono altro che racconti per bambini.

Purtroppo dietro a tutto questo c’è sempre e soltanto l’uomo col suo egoismo e la sua ignoranza. Le tre patere scomparse, con buona probabilità, staranno oggi adornando il salotto buono di gente che sconosce il vero valore che ha la storia.

La storia “deve” poter appartenere ed essere fruibile a tutti e non a pochi eletti. Solo conoscendola potremmo capire davvero chi siamo, da dove veniamo e dove potremmo andare .
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