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Il peso dell'eredità di Paolo Taormina: "Solo noi estirperemo la violenza, non i militari"

Le parole dell'arcivescovo di Palermo arrivano come macigni nel giorno dei funerali del giovane 21enne ucciso all'Olivella. Un'omelia che è anche un appello ai cittadini

Balarm
La redazione
  • 16 ottobre 2025

Corrado Lorefice arcivescovo di Palermo

«Un dolore inconsolabile. Un urlo che arriva fino al Cielo. La morte di un figlio, di un fratello, di un familiare, di un amico. È assurdo che un figlio venga rubato ai genitori, alle sorelle, ai fratelli, agli amici. Alla sua attività lavorativa. Alla comunità cittadina. Ecco, siamo qui, raccolti e chiamati da Paolo. Chiamati da questo nostro caro giovane che è stato ucciso. Chiamati dai figli di Rachele, chiamati da Abele, da tutti gli uccisi dalla violenza omicida. E non abbiamo parole. Perché di fronte al dolore abissale e inspiegabile, le parole non sono nulla».

Queste parole dell'arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice si alzano in Cattedrale, a Palermo, per l'ultimo saluto a Paolo Taormina ucciso a soli 21 anni all'Olivella, nella notte tra l'11 e il 12 ottobre.

«A chi è sfinito è dovuta pietà dagli amici, anche se ha abbandonato il timore di Dio» (Gb 6,14). E questo rispetto, continua l'arcivescovo, è fatto di prossimità e di silenzio. «Siamo vicini. Sgomenti. E nel silenzio proviamo a comprendere una goccia dello strazio di voi genitori, parenti, amici, della Città tutta. La nostra memoria di credenti, la nostra stessa esistenza, è legata a un altro innocente, ucciso su una Croce. Un uomo che come Paolo è morto giovane».

A dirci che la vita di una sola donna, di un solo uomo «vale l’infinito e non può essere sacrificata da chi ritiene che i morti siano danni collaterali e che uno in più, uno in meno, non fa differenza: disumana follia dei violenti e dei potenti per i quali verrà il giudizio di Dio. Nessuna parola in più. Solo uno sguardo a Paolo e uno sguardo alla Croce».

Poi Lorefice si rivolge ai familiari: «Carissima mamma Fabiola e papà Giuseppe, carissima Sofia, carissimo Mattia, carissima Desirée: non so se posso dirvi altro. Piango e con voi rivolgo al Signore la domanda terribile che urla nei vostri cuori: perché? Lo so. Anche Rachele non vuole essere consolata. Non ci sono parole che consolano. C’è un urlare assieme al Cielo».

L'arcivescovo di Palermo sottolinea «nessuna motivazione rende legittima l’uccisione di un uomo. E piangendo per Paolo piangiamo per tutti i morti, uccisi dalle guerre, dalla mafia, dalla violenza, dal narcisismo delirante, dal culto della forza virile».

È il sangue di Abele che scorre. È il grido, che continua a risuonare: Non uccidete Abele! Perché Abele, figura del Cristo, è l’innocente, ucciso prima di ogni gesto e di ogni consapevolezza. È colui che non ha parole, bambino piccolo sul quale ricade una violenza immotivata, di cui mai conoscerà pensieri e presupposti».

Ma la Parola di Dio «continua a ripetere anche: "Non uccidete Caino!" (cfr Gn 4,15). La giustizia deve fare il proprio corso, in quanto la realtà dei fatti va appurata, rispettata e chiamata per nome. Ma scacciamo dal nostro cuore la voglia di uccidere Caino. La cattiveria e la violenza non giustificano nessuna risposta altrettanto violenta. Vale per la nostra Palermo e vale per la Casa Comune, la Terra sulla quale dobbiamo vivere sempre come ospiti e mai come proprietari».

E conclude: «Il riscatto non verrà da altra violenza, ma dal levarsi del desiderio di pace e di giustizia nella vita e nel cuore dei Palermitani. Figlie, Figli miei amatissimi, Amici, Amiche: non sono gli eserciti, non sono le forze di polizia, col loro pur encomiabile servizio, a cui siamo gratissimi, che potranno estirpare la violenza omicida. Possiamo essere solo noi, insieme».
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