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In clausura ma dissolute: la vera storia del monastero di Santa Caterina a Palermo

Il monastero fu fondato nel 1312 da Benvenuta e Palma Mastrangelo, figlia e moglie di Ruggero, nominato capitano di Palermo all’indomani del Vespro siciliano

  • 7 ottobre 2019

Il Monastero di Santa Caterina a Palermo

Il monastero fu fondato nel 1312 da Benvenuta e Palma Mastrangelo, figlia e moglie di Ruggero, nominato capitano di Palermo all’indomani del Vespro siciliano, scoppiato a Palermo nel marzo del 1282 nelle proprie case sul Cassaro dove era stato il palazzo di Giorgio Antiocheno, Ammiraglio del re Ruggero II.

Palma Mastrangelo lasciò in eredità al monastero diversi possedimenti: due pezzetti di terra e due vigne in Contrada Falsomiele e sei terreni di estensione ignota posti in Contrada Zisa, un mulino con torre e due case, "in contrada Sichuria olim vocata de Landino" (Altarello Baida), il feudo ed il casale di Munkilebi, (monte Kilebi, oggi Montelepre), terre ed i feudi di Ciminna.

All’inizio il monastero accolse povere donne le quali vi si ritiravano per “vivere sequestrate dal mondo" pertanto fu denominato Santa Caterina delle donne” ma presto divenne monastero.

Al fine di sfruttare al meglio i terreni, il monastero li concedeva in enfiteusi, per ricavare introiti fissi senza doversi occupare direttamente della conduzione dei fondi. Godendo di una agiatezza economica, nel 1314, il monastero prestò cinquanta onze alla città di Palermo per difendersi da una probabile incursione dell’esercito di Roberto d’Angiò.
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Anche Margherita Mastrangelo, sorella di Ruggero, il 2 febbraio 1355, con testamento lasciò tutto il suo patrimonio al monastero di Santa Caterina.

Nel Quattrocento il monastero fu legato alle famiglie Abbatellis e La Grua, infatti, nel 1459 compaiono nel capitolo suor Elisabetta, figlia di Federico Abbatellis e le sorelle Margherita e Isabella, cugine di Elisabetta. Per quanto espresso, il monastero di Santa Caterina era probabilmente il più ricco di Palermo.

Nel dicembre 1430, il Martino V, a causa della dissolutezza delle monache, affidò all’Arcivescovo di Palermo Ubertino de Marinis il compito di visitare il monastero e di correggere e riformarlo. Nel Quattrocento, il rapporto tra l’Amministrazione della Città e quello del monastero ebbe fasi alterne. Prima che avvenisse la costruzione dell’attuale Palazzo Pretorio, il Senato della Città utilizzava il monastero per convocare Consigli particolarmente affollati.

Queste relazioni s’incrinarono nel 1463, quando il Consiglio civico deliberò di costruire un nuovo Palazzo Pretorio, espropriando sette case ubicate nel Cortile di Santa Caterina, ricorrendo alla legge di re Martino I di Sicilia che considerava la possibilità di espropriare un bene privato per cause di pubblica utilità.

Il 29 Ottobre 1470, gli ufficiali sequestrarono le case che appartenevano al monastero per annetterle al Palazzo Pretorio.

Dopo un sopralluogo, il Viceré dichiarò che l’edificio non avrebbe arrecato alcun nocumento al monastero e la città avrebbe potuto procedere all’espropriazione delle case. Nonostante il parere favorevole del Viceré, la badessa e le suore continuarono ad opporsi.

Il cortile del monastero non fu inglobato completamente nel nuovo edificio comunale, ma soltanto rimpicciolito e furono eseguiti alcuni lavori di riattamento.

Anche l’appartenenza all’Ordine religioso creò dissapori. Fin dalla fondazione, il monastero fu posto sotto il controllo dei Domenicani. La comunità era guidata da una priora eletta dalle monache, che non amministrava i beni in totale autonomia, ma era affiancata da un priore scelto dai Domenicani.

Nel XV secolo, il monastero fu al centro di un forte contrasto tra l’arcivescovo di Palermo e l’ordine domenicano. Nel 1430, su suggerimento del Senato della Città, il viceré chiese al Papa di concedere a Santa Caterina il titolo di abbazia benedettina e d’interdire la dipendenza dai Domenicani.

Nel 1431, la priora Maria de Alaymo fu destituita dal Papa Eugenio IV. Essa, tuttavia, continuò ad essere la priora sostenendo di essere stata promossa badessa in virtù di alcune bolle ottenute nel Concilio di Basilea ma nel 1440 fu definitivamente rimossa e sostituita da Scolastica de Castellar.

Il 21 gennaio 1438, diventò esecutivo l’ordine di abolire le Bolle (Decreti) che il Beato Padre Pietro Geremia, domenicano, aveva decretato. Il monastero di Santa Caterina, insieme ad altri che si trovavano in Sicilia, a causa della cattiva amministrazione attraversavano una grave crisi economica.

Si decise allora che l’amministrazione fosse tenuta da un Padre Domenicano, da un canonico o da un giurato. Un altro modo per accrescere le entrate fu quello di elevare il monastero ad Abbazia Benedettina in modo che altre suore di altro Ordine potessero accedervi e togliere l’amministrazione ai Padri Predicatori.

Su ordine del Papa e del re Alfonso, il monastero fu affidato ad un grande riformatore, il Beato Padre Pietro Geremia, domenicano. Il Monastero di Santa Caterina divenne Abbazia Benedettina e per di più si volle come abbadessa una discendente della potente famiglia dei Castellar.

Nel 1532, essendo aumentato il numero delle monache, fu acquistata ed incorporata al monastero la vecchia chiesa di San Matteo (si trovava dirimpetto l’attuale chiesa) e si edificò una nuova chiesa, iniziata dalla Madre Priora Suor Maria Del Carretto, completata nel 1596, consacrata il 16 Marzo 1664 dall’Arcivescovo di Palermo Don Pietro Martines Rubio. La dimensione del complesso occupava un intero grande isolato.

Nel 1561 Santa Caterina possedeva il mulino Kelbi, detto di Santa Caterina; nel 1788, fra i mulini del fiume Oreto, Villabianca menzionò quello di Santa Caterina proprietà del monastero. Oltre al suddetto mulino, il monastero possedeva proprietà nelle contrade Falsomiele, Ambleri, Maredolce, Favara e Cassari, ricche d’acqua e di canneti; altre terre si trovavano nelle contrade Lu Pavigluni, Malaspina, Pozzo Comune, Colli (di San Lorenzo) e Sant’Elia ed erano coltivate a vigneti, mandorleti e oliveti; altre ancora nella Contrada di Li Margi di Farachi (oggi Margifaraci) o Landino; in Contrada Altarello, vicino all’acquedotto del Maltempo; il feudo di Misilmeri compreso quello di Portella di Mare; Ficarazzi; Vicari e Castronovo.

Nel trapanese, il monastero possedeva beni a Salemi, Trapani e Marsala: era davvero il più ricco monastero di Palermo, ma durante le rivoluzioni del 1848 e del 1860 subì notevoli danni a causa degli attachi da parte dei Borbonici.

Il monastero e la chiesa nonostante le vicissitudini belliche, ancora oggi rappresentano era un fiore all’occhiello della Città. All’interno del monastero si può ammirare la Sala Capitolare ed un elegante chiostro con una fontana realizzata da Ignazio Marabitti.

La facciata, ubicata su una alta scalinata in piazza Bellini, è arricchita dal portale con la statua di Santa Caterina (1685) e da una grande finestra gaginesca. Sull’attico sono ancora visibili le "gelosie" in ferro, da dove le monache si affacciavano occultandosi alla vista dei passanti. Un’altra porta si trova in Piazza Pretoria.

L’interno della chiesa è a croce latina senza navate. All’ingresso si notano alcune colonne di marmo rosso e un affrescato di Francesco Sozzi (1769).

Nei marmi del pavimento si possono ammirare scene molto belle: "Giona e la balena" e "Il sacrificio di Isacco"). L’affresco della volta è opera di Filippo Randazzo, raffigura la "Gloria di Santa Caterina" (1744); l’interno della cupola, dipinta da con pitture di Vito D’Anna, rappresenta "La gloria dell’Ordine domenicano" (1751).

Molto bello è l’altare maggiore, composto di marmi pregiati con tabernacolo d’ametista e ai lati due grandi angeli lignei settecenteschi con vesti in lamina d’argento.

All’interno del monastero sono custoditi ricchi arredi sacri, nonostante da qualche anno le poche anziane suore di clausura siano state trasferite in altri monasteri.

Il 30 giugno ed il 9 maggio 1943, il monastero fu gravemente danneggiato dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Dopo il 2014 la chiesa ed il monastero chiusero i battenti. Le ultime anziane suore di clausura dell’ordine domenicano, celebri per gli squisiti dolci di mandorla che vendevano attraverso una ruota girevole, si trasferirono.

Qualche anno fa una parte del complesso religioso è stato riaperto al pubblico: da aprile 2017, la Cooperativa Pulcherrima Res produce i prelibati dolcetti della tradizione monastica: minne di vergine, trionfo di gola, fedde del cancelliere, frutta martorana ripiena, nucatoli, cous cous dolce, panino di Santa Caterina, moscardini, sussameli e tanto altro, come Il laboratorio che c'è all’interno del monastero.

Il ricavato sarà devoluto per il restauro, al mantenimento della struttura ma soprattutto al sostegno della mensa della carità. Una rarità.

Probabilmente questa è l’ultima ricchezza del Monastero di Santa Caterina, in una Palermo dove spesso, tutto ciò che rappresenta la cultura, ha luogo soltanto per un ritorno economico.
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