Avreste mai pensato di poter indossare un fiume? U-DATInos è un'azione artistica partecipativa che trasforma i dati in sensibilità aggiuntiva per le persone
«Avreste mai pensato di poter indossare un fiume? Di sentirlo addosso? Ecco, diventeremo tutt’uno col fiume», dice
Salvatore Iaconesi, artista, designer, ingegnere robotico e hacker parlando del
fiume Oreto. E mentre parla la sua faccia è viola e una traccia del fiume gli attraversa il volto, dalla guancia destra all’occhio sinistro.
Da anni, lui e
Oriana Persico, artista, esperta di comunicazione e cyber-ecologista - con
HER She Loves Data, il loro centro di ricerca culturale - si muovono tra arte, scienze, tecnologia, comunicazione e design per indagare le società contemporanee.
Il loro nuovo progetto si chiama
U-DATInos, dal greco antico
Udàtinos che significa "acquatico", ha come protagonista proprio quel fiume che nasce nella costa sud di Palermo, emblema di degrado e mancato rispetto per la natura, e culminerà in
un’opera d’arte “infoestetica”, un’installazione meditativa che sarà ospitata nei prossimi mesi (probabilmente tra marzo e aprile, in quanto il progetto ha subito dei rallentamenti a causa dell’emergenza sanitaria) negli spazi dell'Ecomuseo Mare Memoria Viva, partner capofila del progetto che ha vinto il bando Creative Living Lab promosso dal Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo.
Adv
«I nostri sensi ci permettono di percepire il mondo che ci circonda, - spiegano i due artisti. - Però quando dobbiamo occuparci di questioni complesse, come in questo caso l’inquinamento o il cambiamento climatico, ma possiamo dire lo stesso a proposito della pandemia, i nostri sensi non ci bastano più.
E allora i dati si trasformano in sensibilità aggiuntiva per le persone. E
l’arte può aiutare tantissimo a far “sentire” enormi quantità di dati, perché ci permette di trasformarli in colori, in suoni, in forme e in questo modo consente a tutti di acquisire sensibilità verso fenomeni complessi».
Per raccogliere i dati che alimentano l’installazione artistica non si sono limitati a installare dei sensori fissi e statici ma hanno scelto di adottare un meccanismo sociale. Hanno chiamato a raccolta, con
una call aperta a studenti e cittadini, 16 persone nominate
“Custodi dell’Acqua” a cui hanno consegnato un kit per le rilevazioni, hanno chiesto loro di indossare delle galosce e infangarsi, attaccare uno spago a un barattolo di vetro e prelevare l’acqua del fiume.
I dati rilevati man mano hanno popolato una mappa condivisa.
«La cosa entusiasmante che continua a sorprenderci - racconta Oriana - è che i custodi, che sono studenti dell’Accademia di Belle Arti, medici, architetti, ricercatori, attivisti dell’ambiente, amanti dell’Oreto, non hanno solo fatto quello che avevamo chiesto loro di fare ma si sono auto-organizzati con
spedizioni in diversi tratti dell’Oreto, dividendosi le zone in autonomia. Da Torino, la città in cui ci troviamo, abbiamo cominciato a ricevere immagini di luoghi, come quelle di Fontana Lupo che sembra la Cambogia, e videochiamate dalle spedizioni. È un processo straordinario».
Alla fine, quei dati sullo stato di salute del fiume raccolti da questa azione artistica partecipativa saranno trasformati in suoni e luci.
«Sarà uno spazio meditativo - spiegano ancora gli artisti - per
ascoltare l’acqua di Palermo e allo stesso tempo un detonatore per attivare la comunità palermitana su un tema scottante come l'inquinamento delle acque in città, diventare più sensibili all’acqua del fiume Oreto - già oggetto di iniziative di recupero - interrogarsi sul suo futuro e indagare il nostro rapporto con l’ambiente sperimentando nuovi modi di connetterci con esso e dare vita a nuovi modi per abitare il pianeta».