CURIOSITÀ
L'acqua "vugghiuta", l'Addaura e i greci: quando l'Oracolo di Delfi si sballava con l'alloro
La storia di un classico delle nonne, il rimedio quando avevi mal di pancia. Ricordi di infanzia che hanno radici antiche quanto il mondo, a metà tra la realtà e il mito
Il "canarino" (foto da Facebook)
Hermann Hesse, autore di Siddhartha e di tanti altri capolavori della letteratura, diceva: “Il destino non viene… da una sola direzione, ma cresce dentro di noi”. Sempre lui aggiungeva: “Ogni uomo ha un suo compito nella vita, e non è mai quello che egli avrebbe voluto scegliersi”.
Ecco, io sono d'accordissimo con il signor Hesse, perché, essendo che da piccolo soffrivo di diarrea da prestazione, il destino lo sentivo letteralmente crescere dentro me, ma soprattutto mai avrei voluto portarmi addosso il fardello di dover scappare in bagno nei momenti più cruciali.
Il fondo penso di averlo toccato all’università durante l’esame di filosofia politica: il professore chiamava “Tantillo, Tantillo”, ma io non avendo il dono dell’ubiquità non potevo esserci perché stavo seduto da altra parte.
Dico, chi ce lo assicura che Napoleone non ne ebbe un colpo durante la battaglia di Waterloo, o che in Cina, Marco Polo non corresse ogni due minuti in bagno perché non era abituato alla cucina?
Comunque, Il canarino, così denominato probabilmente per quel colore, come abbiamo detto, altro non è che acqua bollita con scorza di limone e alloro.
Tracciarne le origini è praticamente impossibile perché dall’alba dei tempi sia il limone che l’alloro sono stati ampiamente usati per curare un sacco di cose.
Il limone si diffonde in Europa intorno all’anno 1000 grazie agli arabi, mentre l’alloro è una pianta da sempre presente nella cultura greco-romana. E siccome noi siciliani siamo stati Magna Grecia e dagli arabi siamo stati dominati, era più facile che mancasse l’acqua da bollire che i limoni e l’alloro.
Partiamo dai nostri belli “limioni”. Già gli antichi egizi credevano che il “limione” avesse effetti afrodisiaci, mentre i turchi pensavano che fosse efficace contro i veleni. I greci, invece, che conobbero i limoni grazie ad Alessandro Magno e le sue campagne in Persia, li chiamavano mele persiane.
Pure loro si sgamarono subito che tale agrume avesse qualità troppo belle assai, per questo motivo li piantavano vicino agli uliveti perché era credenza comune che tenessero lontani i parassiti.
Il medioevo e il rinascimento per certi versi furono periodi un po’ controversi: tutto quello che faceva bene si pensava facesse male, mentre tutto quello che faceva male si consumava come se non ci fosse un domani.
Di conseguenza, vuoi la confusione, vuoi il rincoglionimento, si usavano cosmetici al piombo per truccarsi, pomate al mercurio e c’è pure chi beveva l’oro liquido per restare giovane (vedi Diana di Poitiers).
Il limone, poverello, era considerato frutto del male e pure tossico. Per fortuna ci pensò proprio Cristoforo Colombo nel 1493 a piantare i primi limoni ad Haiti.
Purtroppo nel 1894 finirono tutte cose per colpa di una forte gelata. Diverso è il discorso dell’alloro che addirittura dà il nome ad una zona di Palermo: Addaura.
In tutta la cultura greco-romana era considerata una pianta sacra. In un certo senso anche oggi lo è, specie per tutti noi malaminchiata che ci siamo laureati sfoggiandone una corona in testa, credendo che il mondo del lavoro ci stesse aspettando.
Nell’attesa di questo fantomatico “mondo del lavoro”, io intanto mi sono portato avanti e non l’ho sprecata perché ho scoperto che mettere una foglia d’alloro nel soffritto, magari per due spaghetti al cipollotto, gli porta un aroma esagerato.
Pure il Dio Apollo nell’antica Grecia portava la corona d’alloro in testa, ma non perché fosse laureato in lettere e filosofia.
Apollo, che come suo padre Zeus correva sempre appresso alle femmine, un giorno si dichiarò alla bella Dafne che però gli diede un due di picche quanto una casa.
Purtroppo lei scappò e lui la inseguì. Esausta e disperata, chiese a Gea di trasformarla in una pianta d’alloro per non cadere nelle sue grinfie. Gea accontentò Dafne, e Apollo, non potendo fare l’amore con un arbusto, s’accontentò di fare dell’alloro la sua pianta sacra, rendendola sempre verde.
E ancora a questo bello spicchio d’Apollo continua ad essere legato all’alloro anche in termini di divinazione e di sballo.
Dovete sapere che nella città di Delfi ci stava l’oracolo più importante di tutta la Grecia. Non c’era guerriero o re che si permettesse di fare un passo senza prima chiedere il parere dell’oracolo di Delfi.
L’oracolo in questione, o Pizia (così si chiamava), stava al tempio di Apollo e tutti si mettevano in fila tipo alla posta, anche per mesi, perché quello che diceva lei era legge.
Il problema non era tanto la fila, ma più che altro il fatto che Pizia si facesse sedutazze di vapori di alloro per sballare, entrare in trance e avere meglio le visioni. Eh già, perché la combustione di grandi quantità di alloro rilascia sostanze chimiche, il linalool su tutte, che calmano il corpo e la mente (in alcuni casi con effetti psichedelici).
E forse proprio per questo motivo Pizia non dava mai una risposta chiara. Le sue divinazioni erano molto più simili ai bigliettini dei biscotti cinesi della fortuna.
Morale della favola: ci si presentava lì, si facevano file interminabili, si domandava se era conveniente muovere una guerra, e poi ci si sentiva rispondere: “fai quello che senti, ma anche no…”.
Ricapitolando, questa efficacissima tisana oltre ad essere prepotentemente invischiata di storia è anche molto semplice da preparare.
P.s. non vi mettete a bruciare quattro foglie di alloro a casa perché ce ne vogliono assai e non fate niente…
Se ti è piaciuto questo articolo, continua a seguirci...
Iscriviti alla newsletter
|
GLI ARTICOLI PIÙ LETTI
-
ITINERARI E LUOGHI
La chiamano Tahiti ma si trova in Sicilia: un paradiso di acque rosa e tramonti pazzeschi
-
ITINERARI E LUOGHI
Sembra la "Piccola Venezia" ma è in Sicilia: il tour tra canali (navigabili) e vicoli colorati
-
ITINERARI E LUOGHI
In Sicilia c'è uno dei posti più belli al mondo: si torna a nuotare nei laghetti di Cavagrande