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L'amore (negato) di Giorgio e Tony: uccisi perché "ziti" nella Sicilia di quarant'anni fa

Il delitto dei due ragazzi nel 1980, cambiò la percezione dell’omosessualità in Italia e portò alla fondazione a Palermo del primo circolo Arcigay e a Catania del "Fuori!"

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 14 febbraio 2023

Una scena dal film "Stranizza d'Amuri" (regia di Beppe Fiorello)

Giarre è una pittoresca cittadina siciliana che sorge a metà strada tra Catania e Taormina; insieme alla vicina Riposto, si estende dal mare fino ai piedi dell’Etna.

Proprio a Giarre nell'ottobre del 1980 si consumò un'agghiacciante tragedia: Giorgio e Tony, due ragazzi del paese, vennero uccisi. Non erano dei criminali e non avevano mai fatto del male a nessuno; la loro unica colpa, agli occhi degli assassini, era quella di essere omosessuali.

Alla vicenda dei due giovani innamorati si sono ispirati diverse opere narrative e tra poche settimane, nel marzo 2023, uscirà anche il film di Beppe Fiorello "Stranizza d’amuri".

Giorgio e Tony si erano conosciuti al principio di quell’autunno del 1980 ed erano finiti subito sulla bocca di tutti. Al bar, al tavolo da gioco e dal barbiere non si faceva altro che parlare di Giorgio Agatino Giammona di 25 anni e di Antonio Galatola, un caruso di 15 anni: invece di frequentare delle belle femmine, se ne andavano in giro senza vergogna, tenendosi per mano.
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«Mi ricordo bene di Giorgio: girava per il paese su un Ciao, era riservato, aveva una leggera balbuzie» - afferma oggi il cinquantenne Paolo Patanè, ex presidente di Arcigay, originario di Giarre. «Di Giorgio tutti sapevano che era gay, ma per il resto era un ragazzo come gli altri e non si nascondeva. Era sempre in giro con Antonio».

Gli "ziti", i fidanzatini, li avevano soprannominati in paese, tra un commento volgare e qualche risata sguaiata. C'era ben poco da ridere però, anche perché a un certo momento Tony e Giorgio erano scomparsi, senza dare più notizie. Le famiglie li avevano cercati inutilmente per settimane.

Giorgio aveva un passato difficile alle spalle. Il suo vero padre non era il marito della madre, ma era Salvatore Giammona, un ricco commerciante di strumenti musicali, che non lo aveva mai riconosciuto. Quando era morto il marito della madre, Giorgio, che aveva 6 anni, era stato mandato in collegio dai salesiani.

Era tornato a Giarre solo 8 anni dopo, ormai quattordicenne. Aveva iniziato a lavorare nel negozio del padre, ma un giorno Giammona aveva scoperto che Giorgio rubava degli strumenti musicali, per rivenderli nella vicina Catania e lo aveva denunciato.

Poi nel 1978, a sedici anni, Giorgio era stato sorpreso dai Carabinieri in macchina con un ragazzo, in atteggiamenti intimi ed era scattata la denuncia per atti osceni. Da quel momento in poi a Giarre gli avevano appiccicato l’etichetta spregevole di puppu ccô bullu (“polpo con il bollo” corrispondente a "omosessuale certificato, patentato").

Quando aveva conosciuto Antonio, Giorgio aveva finalmente trovato l’affetto che gli era sempre mancato nella sua famiglia.

«Mio zio era più piccolo, ma lo aiutava: aveva compassione. Spesso il padre non gli dava da mangiare e allora Giorgio mangiava da noi» racconta Rosita Galatola, nipote di Antonio. Giorgio aiutava Antonio e suo padre Orazio, un giocattolaio ambulante ad andare in giro, di paese in paese, con il camion, per vendere balocchi ai bambini.

“Avranno fatto la fuitìna…!”. Aveva commentato in paese qualcuno, quando i ragazzi erano spariti, pensando di fare lo spiritoso. Invece i due giovani purtroppo non erano fuggiti, non erano andati neppure molto lontano: il 31 ottobre 1980 i loro corpi vennero ritrovati per caso da un pastore, nella tenuta agricola dei principi Grimaldi di Modica, sdraiati ai piedi di un albero, quasi stretti in un ultimo abbraccio.

I carabinieri da principio ipotizzarono un suicidio, magari attraverso l’ingestione di veleno: i due giovani forse avevano deciso di farla finita, perché erano ormai stanchi della cattiveria della gente, delle risatine, dei pettegolezzi, delle battute spinte, degli scherzi stupidi.

Quando vennero esaminati i cadaveri si scoprì invece che Giorgio e Tony erano stati uccisi con un’arma da fuoco: due colpi erano stati sparati alla testa di Giorgio, uno a quella di Antonio. La pistola, una Bernardelli calibro 7,65, venne ritrovata non lontano dall’albero, ricoperta di terra e con la sicura inserita.

Non poteva trattarsi di suicidio; era stato un omicidio, anzi un’esecuzione a tutti gli effetti.

Qualcuno aveva giudicato i due ragazzi colpevoli, li aveva condannati e giustiziati; ma la “colpa” di Giorgio e Tony era una sola: essi si erano amati alla luce del sole.

Il delitto rivelò subito la sua matrice: i giornalisti arrivati a Giarre da ogni parte d’Italia, per raccontare la tragedia, furono costretti a scontrarsi con l'omertà del paese, che non voleva in alcun modo essere associato alla storia di una coppia omosessuale.

Il delitto di Giorgio e Tony, che sconvolse la Sicilia e l’Italia intera, rivelò il vero volto di un paese pieno di pregiudizi, dove l’odio e la paura del “diverso” potevano facilmente sfociare in una violenza senza limiti.

Ad accusarsi della morte dei due ragazzi di Giarre, il giorno successivo al rinvenimento dei loro corpi, fu Francesco, il nipote tredicenne di Antonio (figlio di Santa, sorella del ragazzo).

«Derisi da tutto il paese due omosessuali siciliani si fanno uccidere da un ragazzo di 12 anni abbracciati» fu il titolo del Corriere della sera. Accompagnato dai familiari, Francesco si presentò in caserma, dove confessò subito di aver sparato, perché glielo avevano ordinato Giorgio e Antonio.

"Sì, li ho uccisi io. Li ho incontrati per caso più di dieci giorni fa. Mi dissero di seguirli in campagna. Volevano che li ammazzassi. Dissi subito di no, tremavo come una foglia, ma loro insistettero, minacciarono di ammazzarmi se non lo avessi fatto. "O ci uccidi o noi uccidiamo te".

Mi pareva di sognare. Temevo che mi avrebbero ammazzato. Mi hanno messo una pistola in mano e si sono sdraiati sull’erba, come per dormire. Io mi avvicinai e cominciai a premere il grilletto. Ho dovuto sparare alla testa, come mi avevano detto loro. Mi hanno dato un orologio, come ricompensa. Poi sotterrai l’arma e fuggii".

Questa fu la confessione di Francesco, a cui era stato imposto il nome del nonno paterno, Francesco Messina, un allevatore di polli dal temperamento violento che cresceva in casa sua il nipote.

Due giorni dopo, tuttavia, il bambino ritrattò la confessione, rivelando ad un giornalista del quotidiano "L'Ora" di Palermo di aver detto ciò che volevano i carabinieri, dopo che lo avevano picchiato e lo avevano minacciato di mettere in prigione suo nonno.

Francesco non sarebbe stato imputabile, perché aveva meno di 14 anni, ma non venne mai neppure sottoposto alla prova del guanto di paraffina, per accertare se avesse sparato o meno. Alla fine non si è mai arrivati all'individuazione di un colpevole.

Al funerale il paese si schierò: duemila persone intorno al feretro di Tony, nessuno per Giorgio Giammona; persino sulle tombe vennero scritte due date di morte diverse.

L’uccisione dei due ragazzi però aveva ormai scosso le coscienze di tutta Italia: per la prima volta la stampa, anche quella di destra, non scrisse più di “delitti nello squallido mondo omosessuale”, ma parlò di un amore “normale”, fra due ragazzi "normali".

In un sol colpo il delitto di Giarre spazzò via molti stereotipi sull’omosessualità e costrinse l'opinione pubblica italiana ad ammettere l'esistenza di un problema di discriminazione.

Nelle settimane successive si costituì il primo collettivo del “Fuori!” della Sicilia orientale (Il Fuori!, il Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano, è la prima associazione gay italiana).

Un mese dopo a Palermo da un'idea di Marco Bisceglia, un sacerdote apertamente omosessuale, con la collaborazione di Nichi Vendola (un giovane obiettore di coscienza) Massimo Milani, Gino Campanella ed altri militanti, veniva fondata l'Arcigay, la prima sezione dell'Arci dedicata alla cultura gay, che da lì a poco si diffuse in tutta Italia

Il delitto di Giarre si trasformò dunque in seme per la nascita del movimento omosessuale italiano, dopo le prime esperienze di associazionismo fatte a Roma negli anni sessanta.

Oggi (sono passati più di quarant’anni) su quel duplice delitto restano ancora molti dubbi e il sospetto di indagini superficiali; inoltre nessun colpevole è stata assicurato alla giustizia. La gente del paese sperava di dimenticare presto e in fretta l’imbarazzo di quei due ziti, masculi entrambi e senza vergogna: Giorgio e Tony morirono di pregiudizio, quello che un’intera comunità nutriva contro di loro.

Tenere viva la memoria di quei due ragazzi che hanno pagato un prezzo troppo alto per essersi amati significa comprendere che tanti passi sono stati fatti nel lungo cammino della difesa dei diritti degli omosessuali ma che ancora tanti bisogna farne.
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