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"L'Arcu o Futtinu" e quell'orologio che smise di rintoccare: storia e simboli di un'icona catanese

Il monumento, costruito in pietra lavica e in bianco materiale lapideo di origine siracusana, è anche uno degli esemplari più rappresentativi del barocco

Livio Grasso
Archeologo
  • 19 luglio 2021

Porta Garibaldi a Catania

Lungo la via Garibaldi di Catania ci si addentra nella storica area urbana del Fortino, uno dei quartieri più rinomati e conosciuti non solo per la vitalità quotidiana, ma soprattutto, per il cosiddetto "arcu o Futtinu", icona di tutto il popolo catanese.

Questa opera monumentale, tanto apprezzata dagli abitanti locali, è ricca di simboli e svariati aneddoti che gettano luce sul patrimonio culturale del capoluogo etneo. Le fonti riferiscono che anticamente recava il nome di Porta Ferdinandea, costruita nel 1768 su progetto degli ingegneri Stefano Ittar e Francesco Battaglia.

Gli storici confermano che sia stata realizzata per commemorare le nozze tra Ferdinando IV e Maria Carolina d'Asburgo-Lorena. Ubicata in piazza Palestro, viene identificata dai catanesi come "u Futtinu"!, ma, in realtà, si tratta di un appellativo che deriva da un'antica fortezza collocata proprio alle spalle di piazza Palestro, precisamente in via Sacchero.
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Qui ci si imbatte, infatti, in un tratto murario costruito per ragioni difensive dal noto viceré Claudio Lemoraldo, principe di Ligne. Non a caso la Porta Ferdinandea, oggi nota come Porta Garibaldi in memoria dell'eroica impresa garibaldina, rientrava in un complesso di mura fortificate che avevano la funzione di cingere il perimetro urbano in caso di assedio.

Inoltre, secondo alcune leggende, l'ubicazione dell'arco al centro della piazza non è una pura casualità; si racconta che sia stato edificato lì affinché i due sposi si unissero in matrimonio con lo sguardo rivolto verso il poderoso elemento arcuato, a sua volta orientato in direzione della Cattedrale di S. Agata, sita nell'odierna piazza Duomo.

Recenti studi, però, fanno notare che la costruzione della Porta non allude solamente all'evento matrimoniale, ma anche alla ricostruzione di Catania dopo il devastante terremoto del 1669.

Come dice Silvia Scollo, esperta di storia e archeologia e guida turistica, «la celebre frase melior de cinere surgo, che si legge a chiare lettere sotto l’araba fenice scolpita in alto, testimonia in modo chiaro ed evidente la volontà e la tenacia del popolo catanese di donare alla propria città un volto urbano ancora più incantevole di prima.

Nella simbologia locale l'araba fenice - prosegue ancora la studiosa - rimanda proprio alla palingenesi dell’area cittadina nonostante i disastrosi terremoti e le violente eruzioni vulcaniche».

Il monumento, costruito in pietra lavica e in bianco materiale lapideo di origine siracusana, è anche uno degli esemplari più rappresentativi del barocco.

Dotato di due prospetti architettonici che presentano variegate simbologie, lo storico edificio porta con sé le impronte di Ignazio Paternò Castello, principe di Biscari, ricordato per la sua smisurata passione verso l'arte e l'archeologia. Proprio sul versante prospettico che dà sull’odierna via Palermo si notano delle scritte latine incise su iniziativa del principe stesso.

Come sottolinea Scollo, «Queste iscrizioni hanno un potente valore simbolico che richiamano alla vittoria della cultura sulla stolta e bruta ignoranza”. Altri elementi decorativi sono i così chiamati mascheroni, dall’aspetto orrido e spaventoso che impattano sugli occhi del visitatore in modo davvero penetrante. Nella tradizione locale, ed anche isolana, queste terrificanti sculture vengono definite apotropaiche,ovvero, realizzate per esorcizzare ed allontanare l’influsso del maligno.

Ancora oggi è possibile, infatti, osservare lungo le balconate dei alcuni palazzi una serie di maschere mostruose che un tempo segnalavano un certo e vivace spirito superstizioso tra gli abitanti.

Circola, invece, una triste storia, sebbene poco conosciuta, sull’orologio che svetta sulla parte sopraelevata della "Porta".

Si dice che nel 1943 un gruppo di ladri, dopo averne smontato gli ingranaggi, si fosse impossessato delle componenti di maggior pregio: girelle, troclee, denticuli, sfera. Le testimonianze riportano che i responsabili, a distanza di pochi giorni, vennero arrestati e imprigionati.

Dopo circa un anno, dato che i pezzi non vennero del tutto recuperati, il Comune decise di farne ricostruire uno nuovo. Fu così che nel 1946 la custodia della Porta Garibaldi venne affidata ad un certo Orazio Oteri, da tutti definito come uomo mite e gran lavoratore. Insieme alla sua famiglia ha ottenuto il permesso di fruire dei locali interni al monumento per la custodia dell’enorme orologio, che bisognava regolare ogni mattina.

Nel 1952, però, un vigile si accorse della presenza di alcune bombole a gas vicino all’ingresso di uno dei locali, accusando Oteri di vendita illecita di gas. L'accusa, malgrado Orazio fosse innocente, gli costò lo sfratto e poco dopo anche la vita.

La moglie disse che morì improvvisamente a causa del gran dispiacere; dopo la sua morte l'orologio non venne più toccato, come se il tempo si fosse fermato in quel triste giorno.
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