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La più grande truffa alla corte del Re di Sicilia: chi conosce il detto di don Cola Gallo

Gli imbroglioni sono sempre esistiti e alcuni di loro hanno cambiato le sorti di regni e paesi. Vi raccontiamo la storia (e le malefatte) del tesoriere di Federico III

Viviana Ragusa
Graphic designer
  • 23 novembre 2023

Gli imbroglioni sono sempre esistiti, in qualsiasi periodo storico e, probabilmente, ragionavano tutti come Totò nel celebre film "Totòtruffa '62’", in cui disse: «Lo so, dovrei lavorare invece di cercare dei fessi da imbrogliare, ma non posso, perché nella vita ci sono più fessi che datori di lavoro».

I truffatori più celebri, come Han van Meegeren, che imbrogliò persino i nazisti, o Victor Lustig, che vendette la Torre Eiffel, erano dotati di ingegno e anche di una certa dose di perseveranza. Per riuscire a ingannare il prossimo senza essere smascherati, infatti, serve un po’ di furbizia, una dote che non tutti possiedono.

A esser privo di questa virtù fu sicuramente messer Cola Gallo, trasferitosi in Sicilia da Genova nel ‘300. L’uomo non era in grado di svolgere alcuna funzione in maniera efficiente, eppure era riuscito a conquistare la simpatia di Federico d’Aragona.

Il sovrano pendeva dalle labbra di Cola Gallo, credendo a tutto ciò che diceva durante i suoi lunghi discorsi politici e filosofici. Agli occhi di Federico III, l’uomo conosceva le risposte a ogni quesito ed era in grado di prevedere l’esito degli eventi storici.
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Affidandosi solo alle parole, senza mai mettersi alla prova con i fatti, Cola Gallo poté godere di una fama che rimase intatta per diverso tempo, diventando anche regio tesoriere. Pare che fosse molto abile nel rassicurare il sovrano tutte le volte in cui avveniva un imprevisto o bisognava fronteggiare delle minacce.

Un giorno, mentre Federico d’Aragona si trovava in viaggio, alcune vicende misero in difficoltà la stabilità del regno. Cola Gallo si offrì immediatamente per intraprendere una spedizione e punire i nemici. Il sovrano provò subito sollievo e concesse al messer tutto ciò di cui egli fece richiesta.

Tra le esigenze di Gallo c’era un enorme numero di uomini e cavalli che servivano a spaventare i nemici. Il giorno della partenza per Caltagirone, il messer si presentò armato a cavallo sperando di incutere timore nei cittadini e indurli alla resa senza necessità di combattere.

Il popolo di Caltagirone era tutt’altro che arrendevole, aveva preparato le torri con diversi cittadini in cima e aveva chiuso le mura della città. A quel punto non rimaneva che attaccare e rispettare la promessa di consegnare al sovrano la testa del nemico.

Cola Gallo ordinò al comandante dell’esercito di assalire la città e non risparmiare nessuno. Nel frattempo, l’amico del Re rimase in disparte, sguainando la spada e minacciando i cittadini da lontano, senza esporsi realmente.

Dopo qualche ora, quando ormai l’esercito aveva oltrepassato le mura della città, assalito diversi edifici e catturato il comandante del gruppo rivale, messer Nicola si avvicinò in sella al suo cavallo verso la piazza.

Giunto lì, ordinò di tagliare la testa al prigioniero mentre lui proseguiva verso il campanile per espugnarlo. Tutto ciò chiaramente rappresentava un diversivo per permettergli di sfuggire al suo dovere, dal momento che non era abbastanza coraggioso da portare a termine la missione.

Improvvisamente dal campanile giunsero delle urla: era Cola Gallo che chiedeva aiuto, affermando di essere gravemente ferito e prossimo alla morte. Aveva preso una benda e l’aveva bagnata col vino, fasciandosi poi la testa e coprendo il volto con la mano mentre continuava a pronunciare esclamazioni di dolore.

Fatto ritorno a Catania, la notizia era giunta già alla corte di Federico d’Aragona, che accorse immediatamente all’ingresso per accertarsi che l’adorato tesoriere fosse ancora vivo. Sguinzagliò diversi uomini per cercare i migliori medici di tutta la Sicilia, mentre messer Nicola riposava a letto e provvedeva a confessarsi per non lasciare il mondo dei vivi con l’anima impura.

Il piano di Colla Gallo fallì miseramente quando i medici giunsero al suo capezzale, sciolsero le bende e trovarono la pelle intatta. In poche ore la notizia raggiunse l’intera città di Catania e si diffuse il detto "Avi la bubua di Cola Gaddu".

Dopo decenni di inganni, messer Nicola apparve per com’era realmente: un codardo e un bugiardo. Anche Federico III dovette ricredersi e capire di essere stato ingannato per anni dal suo amico più fidato.
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