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La "principessa buona" di Palermo: Donna Stefania, amata da tutti ma non dalla madre

Erede di un patrimonio immenso, Stefania Branciforti sposò il cugino Giuseppe Lanza. Donna generosa aveva però una spina nel fianco: la madre

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 21 luglio 2023

il monumento sepolcrale di Donna Stefania Branciforti

Nella Cappella della Madonna del Rosario della chiesa di San Francesco di Paola, a Palermo, si può ammirare il magnifico monumento funebre che accoglie le ceneri della principessa Stefania Branciforti.

Il sarcofago marmoreo che rappresenta la nobildonna sul letto di morte, col compianto di due figure femminili classicheggianti e di due fanciulli assorti, venne realizzato nel 1852 dallo scultore Valerio Villareale (1773-1854), allievo di Giuseppe Velasco.

Il Villareale è considerato il “Canova siciliano”, come recita l'epigrafe che lo commemora nella chiesa di San Domenico. Sembra che l’artista abbia tratto ispirazione dal gruppo marmoreo de “la Carità” di Lorenzo Bartolini (1835) - esposta alla galleria d’arte moderna di Firenze - per scolpire il monumento sepolcrale di Donna Stefania.

Stefania Branciforti, dodicesima principessa di Butera, nacque all’alba del 21 Luglio 1788, nella città di Palermo.

Fu unica figlia di Don Nicolò Placido Branciforti principe di Scordia e Leonforte e di Donna Caterina Branciforti, principessa di Butera e Campofiorito: due rampolli, che con le loro nozze avevano unificato le due linee superstiti dei Branciforti.
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Stefania era erede di un patrimonio immenso, formato da numerosi feudi con castelli e palazzi baronali, ville a Palermo e a Bagheria. Era principessa di Butera, Leonforte, Scordia, Pietrapierzia, Campofiorito; duchessa di San Nicola, Mascalucia; Marchesa di Militello, Barrafranca e contessa di Mazzarino, Raccuja, Grassuliato.

Condusse sempre una vita molto riservata e dunque poco si sa di lei.

Leggiamo nell'elogio funebre che fece il sacerdote don Nicola Camera, nella collegiale chiesa della città di Positano, il 2 Marzo 1844 (e che fu poi dato alle stampe) che Stefania “vispa e leggiadra fanciulla”, ebbe un’ottima educazione al Real Educandato Carolino ( dal quale uscivano le fanciulle destinate a diventare le madri di famiglia delle classi più agiate e distinte della società) e che si dimostrò d’ingegno pronto e vivace, ma anche di grande docilità.

Le si combinò un matrimonio di prestigio, dandola in sposa al cugino Giuseppe Lanza, ottavo principe di Trabia (1780-1855), erede a sua volta di una ragguardevole fortuna. Giuseppe era figlio di Pietro Lanza e di Maria Vittoria Branciforti di Scordia.

Le nozze tra i due cugini avvennero nel 1805 e con questo matrimonio andava finalmente a segno la politica matrimoniale che già da diverse generazioni mirava a portare in casa Lanza l’immenso patrimonio della dinastia Branciforti.

Ancora oggi si possono ammirare i ritratti di Stefania e Giuseppe nei tondi in stucco nello scalone di Palazzo Mazzarino a Palermo. Si legge sempre nell’elogio funebre che Stefania, dotata di alto ingegno, fondava tutta la sua esistenza e le sue speranze “nella verità della religione”.

Fu sposa esemplare e madre dolce e affettuosa di numerosi figlioli. Affermava Agostino Gallo che la principessa “divenne modello delle dame siciliane”.

Degna della stima e della benevolenza del Sovrano fu prescelta per diventare nel 1806 Dama della Real Corte. D’animo caritatevole, si dedicò a fare molta beneficenza senza mai vantarsene, aiutando gli orfani, le vedove e i mendicanti.

Al principe Giuseppe Lanza fu dunque concessa in moglie una donna pia, virtuosa e molto generosa.

La casa dei principi di Trabia era sempre aperta per i brillanti ospiti che il principe amava avere alla sua tavola: uomini di lettere e scienziati come Agostino Gallo, Giovanni Meli (che un giorno improvvisò un sonetto in onore di Maria Vittoria Branciforti, la madre del principe), Francesco Ferrara.

Le dispute letterarie iniziate sul desco, tra tovaglie ricamate, cristalli, posateria d’argento e porcellane raffinate, proseguivano in biblioteca, tra rosoli e liquori.

Il Lanza era uomo di lettere: sin dalla giovinezza aveva mostrato grande inclinazione alla cultura. Fu attento studioso della storia della Sicilia, archeologo e collezionista, gentiluomo di camera di Sua Maestà., cavaliere dell'Ordine di San Gennaro, Balì e cavaliere Gran Croce del S.M.O. Gerosolimitano.

Quando il re Ferdinando dispose che il principe presiedesse il Real Ministero degli affari ecclesiastici, i Lanza si trasferirono a Napoli e proprio qui morì Stefania, il 7 Dicembre del 1843, fra il compianto di tutti.

A Napoli era morta, una decina d’anni prima, anche Caterina Branciforti, la madre della principessa Stefania: una donna sempre sopra le righe, molto diversa dalla figlia. Caterina, donna colta e bellissima non aveva resistito a lungo al fianco del noioso marito (e cugino) Nicolò Placido.

Dopo la nascita della figlia Stefania, aveva avuto una tresca con un nobile spagnolo che risiedeva a Napoli.

Nicolò Placido, venuto a conoscenza del tradimento, aveva deciso di far uccidere i due amanti ma lo spagnolo, avvertito del pericolo si era dato precipitosamente alla fuga e Caterina aveva preferito rinchiudersi in un monastero di Palermo, dove era rimasta per 7 anni, nonostante i ripetuti tentativi del consorte di ricondurla al palazzo.

Morto Nicolò Placido e riacquistata finalmente la libertà, Caterina era tornata a vivere nel 1806, un anno dopo il matrimonio della figlia. Era stata ammessa a corte, come Dama della Regina ed era diventata una delle quattro "cortigiane" di re Ferdinando: si mormorava anche che fosse una spia a servizio dei sovrani.

Nel 1812, all’età di 46 anni, aveva perso la testa per il giovane e affascinante George Wilding, un militare tedesco di 24 anni, senza risorse e senza alcun titolo. Pur di stare con il suo amante era disposta ad accamparsi come una serva fedele, in una tenda, fuori della caserma dove il giovane prestava servizio e il fatto ovviamente destava enorme scandalo in tutto il regno.

Nel 1814 la principessa si decise a sposare Wilding, previo il consenso paterno, avendo rassicurato il genitore sul fatto che, data la sua “decrepitezza”, difficilmente avrebbe potuto ormai concepire dei figli.

La nascita di un eventuale erede i avrebbe infatti sconvolto i piani familiari che prevedevano la trasmissione di tutti beni dei Branciforti a Stefania, già madre all’epoca di due figlioli. Caterina si spense all’improvviso, il 3 Febbraio 1831, all’età di 63 anni, a causa del morbillo.

Dopo la morte di Stefania e Giuseppe, l’immenso patrimonio dei Lanza-Branciforti si frammentò tra i numerosi eredi della coppia, che aveva avuto parecchi figlioli: Nicolò Placido (1810 -1861) conte di Sommatino, senatore del Regno, che spirò nel 1861 prima di aver prestato giuramento; Salvatore Lanza (1816 – 1885) dell’oratorio di San Filippo Neri, sacerdote ed erudito; Maria Teresa (1819) che nel 1839 sposò Michele Spadafora.

Francesco Paolo (1820); Ottavio(1823-1870) sacerdote educato dai padri filippini dell’Olivella, che “pati’ il carcere duro, cospirando e preparando il risorgimento d’Italia e fu deputato del Regno; Beatrice (1825) che sposò il barone Lucio Mastrogiovanni Tasca conte d’Almerita ed Emanuele (1827), conte di Mazzarino, l’ultimo nato, dilettissimo nipote ed unico erede del cospicuo patrimonio dello zio paterno Francesco Paolo Lanza. (1797 – 1876).

Due righe a parte merita Pietro (1807-1855), il primogenito, noto in gioventù come “principino di Scordia”, che ereditò tutti i titoli del padre e della madre.

Divenne a 26 anni pretore di Palermo e si spese senza riserve, acquistando grande popolarità, nella lotta contro la grande epidemia di colera del 1837. Aderì da patriota alla Rivoluzione siciliana del 1948, ricoprendo la carica di capo del governo nel 1849, in sostituzione di Ruggero Settimo.

Le sue scelte politiche gli costarono l’esilio, dopo la restaurazione borbonica. Nel 1855 la malattia che lo affliggeva da tempo ebbe il sopravvento, trascinandolo nella tomba. Morì a Parigi, pochi mesi dopo il padre, che era spirato nel Febbraio dello stesso anno.

Nel 1869, alla presenza di una grande folla commossa, le spoglie di Pietro Lanza vennero deposte nel grande mausoleo realizzato dallo scultore Giuseppe Obici, nella cappella gentilizia dei Lanza Trabia, all’interno della chiesa di Santa Cita (oggi San Mamiliano).

Il principe Giuseppe Lanza non fu seppellito dunque accanto alla moglie Stefania, nella chiesa di San Francesco di Paola ma nella cappella Lanza, insieme ai suoi avi. Il gruppo marmoreo dello scultore Obici (n.d.r. autore anche della statua dell’Immacolata Concezione di Piazza di Spagna a Roma) raffigura a sinistra Pietro e a destra Giuseppe, al centro l’allegoria della Religione, che il padre anziano e il figlio in esilio, ha ricongiunto finalmente in cielo.
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