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La (splendida) tenuta finita nell'oblio: cosa resta a Palermo della "Conigliera" dei Florio

C'era anche una struttura in stile Liberty, "lo Chalet". Una sorta di casina con tetti spioventi, torretta e gazebo in ferro battuto sullo stile del villino Florio all'Olivuzza

Antonino Prestigiacomo
Appassionato di storia, arte e folklore di Palermo
  • 22 marzo 2024

Il 5 luglio 1941 il Segretario del Partito Nazionale Fascista (P.N.F.) «considerata la necessità di erigere nella città di Palermo un Collegio femminile della Gioventù Italiana del Littorio (G.I.L.).

E considerata l'opportunità di acquistare a tale scopo il fondo situato in Palermo di proprietà del comm. Vincenzo Florio, fu Ignazio, denominato Conigliera in località Villa Sperlinga, completamente recintato [...] confinanti con le vie Sperlinga, Villa Witaker e fondo Terrasi [...] Decreta l'acquisto del fondo» e con esso l'inizio del lento e inesorabile oblio della tenuta.

Ma facciamo un passo indietro. La tenuta, che era solo una parte della proprietà degli Oneto duchi di Sperlinga, fu acquistata da Vincenzo Florio nei primi del Novecento per farne un parco di caccia e delizie, ove passare del tempo a sollazzarsi, come i re normanni o il re Ferdinando Borbone.

Il parco si presentava in forma pressoché circolare: dal centro si propagavano varie onde concentriche intersecate da viali coltivati, assumendo così una conformazione geometrica a raggiera simile alla pianta di Villa Giulia, ma meno esoterica.
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Dice l'architetto paesaggista Cassandra Carroll Funsten che «Sul polo ovest del cerchio, c’era una vasca a forma di lente» nella quale i Florio si divertivano con piccoli catamarani e pedalò come si evince da alcune foto d'epoca.

Dalle medesime foto si nota nel parco anche la presenza di una struttura in stile Liberty, detta "lo Chalet", una sorta di casina con tetti spioventi, torretta e gazebo in ferro battuto che ricordano vagamente lo stile basiliano del villino Florio all'Olivuzza.

Curioso il fatto che lo Chalet subì un incendio proprio come il Villino dell'Olivuzza. Nel 1941 il parco venne acquistato dal P.N.F per creare un collegio femminile, ma probabilmente in seguito allo sviluppo del conflitto che portò alla devastazione della città non venne mai realizzato.

Tuttavia rimase in "possesso della città". Ancora i Florio, quindi, sono i protagonisti della nostra città, questa volta però nel periodo del loro quasi totale declino che può essere abbinato al declino della città o, se non altro, alla fine di un'epoca di splendore.

La "Conigliera" è uno dei luoghi meno noti della famiglia Florio, tuttavia tra gli estimatori della storia patria, se ne rispolvera di tanto in tanto il ricordo o la notizia, grazie anche al persistere nel tempo in via delle Magnolie di una simpatica maiolica dipinta con un grazioso coniglio che allude alla vecchia toponomastica e, quindi, alla proprietà dei Florio.

Oggi il luogo è rimasto legato solamente a via delle Magnolie, chiamata così perché presenta l'ultimo scampolo del parco, ovvero due filari di alberi appartenenti alla vecchia tenuta della Conigliera dei Florio, nella quale vi erano presenti in realtà vari ficus macrophylla columnaris e non magnolie che sono un'altra specie di albero, tuttavia questi ficus vengono chiamati anche "magnolioides" perché confusi appunto con gli alberi delle magnolie, in particolare con la "magnolia grandiflora" per via delle foglie.

Le magnolie producono un'enorme quantità di fiori, tale a volte da ricoprire l'intero albero, i ficus macrophilla columnaris invece non producono fiori ma delle specie di bacche.

La fine del parco della Conigliera è legata anche, e forse soprattutto, ai cambiamenti urbanistici che coinvolsero la città di Palermo dopo la guerra. Il famoso Piano Giarrusso «mediante stralci e varianti, e quindi senza una visione organica, servì fino al 1940».

Nel 1939 era stato bandito un concorso pubblico per un piano regolatore generale che sostituisse il vecchio piano. Soltanto però nel luglio del 1947 si attuò un "piano di ricostruzione" nel quale il parco della Conigliera fu destinato ad "uso pubblico".

«Nel '52 Gioacchino Scaduto, sindaco ma anche procuratore, ha personalmente preparato un accordo fra il Comune, rappresentanti della Società Generale Immobiliare e i proprietari, dove si permetteva la costruzione su circa 60.000 m2 se i rimanenti 18.000 m2 fossero stati concessi alla città come parco pubblico.

Di fronte all'opposizione nel Consiglio comunale, che ha insistito sulla conservazione di tutta l'area come "spazio di respiro", il sindaco ha agito in modo profetico, annunciando che non c'era niente da discutere, poiché vandali avevano tagliato gli alberi secolari».

È vero che le pesanti conseguenze del conflitto bellico causarono lo spopolamento di buona parte degli abitanti del centro storico, «Si passò infatti dagli oltre 128.000 abitanti residenti nei Quattro Mandamenti nel 1954 ai circa 106 mila nel 1961, ai circa 52 mila del 1971, ai circa 43 mila del 1975».

Ma l'esodo fu in parte volontario, in parte indotto. Alcuni abitanti lasciarono le proprie residenze perché "pericolanti" ma non ebbero una valida alternativa, così furono trasferiti nei famosi quartieri autosufficienti previsti dal nuovo piano regolatore intorno alla città (Borgo Nuovo, CEP, ZEN ecc).

A questo punto è utile ricordare che insieme al piano di ricostruzione vi furono anche «piani locali realizzati su iniziativa di Enti di edilizia popolare, il cui contributo all'espansione cittadina si è rivelato di una certa importanza».

Ma mentre nascevano e si popolavano i suddetti quartieri autosufficienti nel piano di ricostruzione si pensava anche a moderne strutture urbanistiche all'interno delle quali fare confluire la media e alta borghesia.

In entrambi i casi il nuovo piano regolatore e le successive varianti fino alla approvazione del piano regolatore del 1963 finirono col trasformare violentemente il volto della città «ma purtroppo senza una visione organica e generale del suo futuro assetto urbanistico, dando l'avvio alle prime speculazioni edilizie» che passeranno alla storia come Il sacco di Palermo.

La Conigliera dei Florio, ovvero ciò che ne rimane oggi in via delle Magnolie, è di fatto strangolata da cortine di edifici moderni ma se ne possiamo raccontare la storia è anche grazie all'interessamento e alle proteste di alcuni cittadini che vollero tutelare l'ultimo scampolo di natura del parco dopo che aveva subito un incendio.

A a loro bisogna dire grazie perché la riconoscenza può fare germogliare non solo nuovi fiori ma nuovi alberi. Ognuno di noi può essere un ficus macrophilla, una villa liberty, un'antica chiesa, un parco cittadino.

Non siamo diversi dalla città che viviamo, i luoghi sono e devono essere l'estensione del nostro corpo.

Noi siamo la città e quando la maltrattiamo anche solo con una cicca di sigaretta gettata per terra, offendiamo la nostra storia, denigriamo solo noi stessi.

L'interesse, la storia, la passione per la nostra città possono servire a tutelarla, a proteggerla dagli assalti occulti e motivati da interessi personali.

Oggi non sentiamo più l'esigenza abitativa o di costruire case e palazzi tra i parchi, ma viceversa di costruire parchi tra le case e i palazzi; qualcosa allora è andato storto, non vi pare? Così come siamo i templi delle nostre anime dobbiamo pensarci come i custodi delle nostre città.

I parchi e la natura vanno tutelati perché sono luoghi dove poter sorridere spensierati, dove far volare gli aquiloni come fossero i nostri sogni.

(Per approfondimenti confronta La Conigliera dei Florio, emblema di un altro progresso di Cassandra Carroll Funsten; Alla scoperta della tua città di Rosario La Duca; Palermo dei suoi quartieri del centro studi Città di Palermo; Palermo nel secondo dopoguerra di Fabrizio Pedone)
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