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La (tormentata) storia dell'Efebo di Selinunte: trovato e rubato tra oscuri episodi

Tra i binomi più esigenti e maldestri della storia del Trapanese, senza dubbio bisogna menzionare la simbiosi tra l’Efebo e la sua città di appartenenza

Salvatore Di Chiara
Ragioniere e appassionato di storia
  • 6 agosto 2022

L'Efebo di Selinunte, Rodolfo Siviero e l'archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli (Foto dal Web)

Ogni singola storia percorre un itinerario fatto di emozioni, tradimenti, episodi travagliati che alla lunga emettono un verdetto.

Una manifestazione di episodi in grado di soddisfare qualsiasi tipo di palato. Tra i binomi più esigenti e maldestri della storia castelvetranese, senza dubbio bisogna menzionare la simbiosi tra l’Efebo e la sua città di appartenenza: Castelvetrano.

Una serie di vicissitudini che hanno accompagnato la vita di questa statuetta pregiata con le fasi calde che la comunità castelvetranese ha vissuto in un connubio “indiretto” ma caratterizzato da alcune pagine storiche complicate.

Sin dal ritrovamento avvenuto nel maggio del 1882 presso le case di Galera e non lontane da quelle di Bagliazzo e Barone in prossimità delle cave di Latomie, la vita dell’Efebo è stata condizionata da un maltrattamento socio-culturale.

Il giovane Benedetto Prussiano, (uno dei tanti bambini emarginati del periodo) durante i suoi orari infiniti di lavoro al servizio dei possidenti agricoli, si accorse di un oggetto spuntare dal sottosuolo e, avvicinandosi, iniziò a scavare a mani nude. Accompagnato da altri uomini, riuscirono a tirar fuori il pregevole Kourus bronzeo.
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Un ritrovamento di grande spessore seppur le modalità furono abbastanza modeste e rischiarono di frantumare in tanti pezzi la statuetta.

Quest’aspetto si collega con la società e le condizioni della Castelvetrano di quel periodo - una città presa d’assalto dalla miseria e le continue frizioni tra l'amministrazione vigente in quegli anni e alcune frange di opposizione contro il clientelismo e una politica insoddisfacente.

A pochi anni dal ritrovamento dell’Efebo, casualmente o meno, scoppiarono i Fasci Siciliani e la città di Castelvetrano visse un periodo di grande fermento rivoluzionario.

Ritornando alla bellezza del ritrovamento, il suo percorso è stato dannatamente segnato da altri episodi incresciosi. Dalla leggenda metropolitana dell’utilizzo dello stesso come cappelliera da parte dei sindaci di Castelvetrano a partire dal 1933.

Tesi puntualmente smentite dalla veridicità storica e segnata invece dall’interessamento del filosofo G. Gentile accompagnato dall’archeologo Pirro Marconi.

Vennero effettuati dei lavori di restauro poiché la statuetta era rotta in sei pezzi ed esposta presso il Museo Nazionale di Palermo. Rappresentò la prima tappa di un lungo peregrinare verso altre città e diversi musei. L’episodio più triste avvenne nella notte tra il 30 e il 31 ottobre del 1962.

In una città tormentata dalle vicende politiche con i cambi repentini della giunta assessoriale e le minacce continue della caduta del sindaco tra fatterelli imprevisti e accordi sottobanco, l’Efebo fu rubato da Palazzo Pignatelli.

I malviventi tentarono di vendere il reperto negli Stati Uniti e successivamente, in Svizzera. In ultimo, il ritorno in Sicilia e nascosto nel paese di Gibellina.

Grazie all’abile ministro plenipotenziario Rodolfo Siviero (esperto in ritrovamenti di opere d’arte), a sei anni di distanza dalla scomparsa e coadiuvato da Pallottino e Bianchi Bandinelli, fu organizzata un’operazione per rintracciare e riportare in città il bene prezioso.

In un paese umbro avvenne la colluttazione con una richiesta di 30 milioni come contropartita e senza eccedere nella cruenta guerra di nervi evitando possibili feriti e morti, il bene sconfisse il male e la statuetta ritornò in paese. Siviero ricevette la cittadinanza onoraria.

Purtroppo, la statua (identificata come Dionisio Iakchos) non rimase a lungo in città causa mancate concessioni e scarsa coesione degli enti preposti.

Dovette spiccare il volo verso Roma per ulteriori lavori di restauro. Una volta conclusi, rimase per ben 18 anni presso il Museo Archeologico Salinas di Palermo.

Un viaggio a ritroso figlio di un degrado organizzativo che, non permise di custodirlo nel nostro museo Civico. Mancanze di strutture, di una teca con caratteristiche precise, misure imperfette e tanta confusione culturale.

Dopo lunghe trattative, si giunse a un compromesso e finalmente toccò il suolo castelvetranese.

Nonostante tutto, anche le città di Atene, Shanghai e Venezia hanno avuto l’opportunità di ammirare, osservare e toccare "quasi" con mano l’imprevedibile storia del bronzo.

Una fatica lunga 140 anni, fatta di peripezie, ostacoli e tanta ignoranza culturale. L’Efebo ha dimostrato di sopperire alle impervie e tortuose mancanze, superando qualsiasi ostacolo e vederlo solo dall'alto dei suoi circa 85 cm è deludente.

Datato in un periodo compreso tra il 480 a.C. e il 460 a.C. , è l’emblema di una figura colta secondo l’impostazione arcaica con prospettiva frontale immobile.

Il piede destro un po' avanti e i capelli lunghi raccolti sul capo. Giace nella sua solitudine, sinonimo di una sconfitta totale. Se passate da Castelvetrano, occorre poco tempo per ammirare un capolavoro senza tempo e stropicciarsi gli occhi dinanzi alla sua bellezza.
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