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Le sarde selinuntine, arrosto o a beccafico: il rito (antico) si ripete dal tramonto all'alba

Un'immersione nel Mediterraneo tra un gusto antico e la tradizione della pesca che si ripete nel tempo. Sullo sfondo i templi e il fascino secolare di questo territorio

Salvatore Di Chiara
Ragioniere e appassionato di storia
  • 19 luglio 2022

Le sarde selinuntine (foto da Informacibo.it)

Chiudere gli occhi e immergersi nelle stradine selinuntine tra il bagliore del mar Mediterraneo che batte sugli scogli e un intenso rumore proveniente dal porto.

Accompagnati dalle rovine che giacciono millenarie e profumano di storia, quella dei megaresi che fondarono Selinunte. Un lungo percorso, impervio e ostacolato da guerre e vicissitudini.

Mentre scorrono le immagini dei templi, "s’abbannia a lu portu" e improvvisamente si aprono gli occhi e la fantasia diventa realtà: le sarde selinuntine sono state pescate e la vendita all’incanto è appena iniziata.

Incontri che pullulano di tradizione, quella dei pescatori che non hanno abbandonato il mare e nonostante le difficoltà di quest’epoca moderna, provano a coltivare un sogno spezzato nel tempo.

Tante barche che nascondono i sacrifici di una vita, spesso rovinata dalla mancata disorganizzazione degli enti che abbandonano una categoria debole, sola e tristemente scippata dell’oro azzurro che il mondo invidia.
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Sin dal 1500 le sarduzze selinuntine rivestirono tale importanza per la borgata, e la notte, centinaia di pescatori gettavano le reti alla ricerca di questo pesce dall’immensa qualità.

Alcuni pescatori si spostavano dalla lontana Palermo (per le difficoltà logistiche del periodo) incuriositi dalla bellezza e squisitezza culinaria. La zona di pesca è circoscritta all’interno del Canale di Sicilia, tra le zone di Capo Granitola sino a Capo San Marco (Sciacca).

Le province coinvolte sono quelle di Trapani e Agrigento, nel golfo di Selinunte. Una fetta di mare tutelata e salvaguardata dalla presenza della Riserva Naturale Orientata del Belice e le Dune limitrofe. Il pescato veniva utilizzato e lavorato per il salato e una piccola quantità era venduta nei mercati del pesce.

La "salatura" avveniva allo scalo di Bruca, dove partecipavano uomini e donne alla pulitura delle sarde e venivano conservate nelle lattine con degli strati di sale. Spesso erano utilizzati anche dei barattoli di vetro pieni di olio prodotto dalla raffineria S.A.I.C.A. Le sarde rappresentavano un alimento cucinato nei ceti sociali medio-bassi e venduto principalmente nelle botteghe.

Gli stessi bottegai utilizzavano la carta paglierina o oleata affinché i clienti portassero via il pesce. Nonostante siano cambiati i tempi e modi, la pesca ha mantenuto uno standard tradizionale e affascinante. Le reti sono a maglia strette per “ammagghiare” i piccoli pesci.

Si può calare prima del tramonto o all’alba. Si salpa e tirano le reti dopo qualche ora. O con la “lampara” e il “cianciolo” che imprigiona nelle maglie la testa del pesce, provocando un dissanguamento naturale. Passione e dedizione al servizio della comunità.

Le sardine selinuntine rappresentano uno "strumento" gastronomico di pregevole fattura e le ricette da preparare sono innumerevoli. Una delle tipiche è quella “incannicciata”.

Vengono infilzate sotto la lisca centrale con una cannuzza di venti centimetri, dopo averle salate, poi “arrustute” sulla “magliola di vigni” i tralci profumati di potatura di vite. Un’altra ricetta siciliana che andrebbe gustata una volta nella vita è senza ombra di dubbio quella a “beccaficu”.

Le sardine selinuntine meritano un posto in prima fila dall’alto della loro bontà. Una cultura tramandata ed ereditata nel tempo. Il settore è in grave affanno e malgrado gli interventi regionali, non si sblocca la situazione.

La Sicilia è una terra di grande benessere e il mar Mediterraneo ha espresso la genuinità dei suoi prodotti. Se non vogliamo perdere le sardine dalle nostre tavole quotidiane, bisogna unire le forze per un processo di crescita e salvaguardia dei nostri mari.
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