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Aida Satta Flores conquista Baglioni e approda a Lampedusa

  • 24 settembre 2006

Nel mondo della musica è molto difficile arrivare a scalare la vetta e farsi notare. Lo sa bene anche Aida Satta Flores, cantante palermitana che nell’86 e nel ’92 era riuscita a partecipare a Sanremo e ottenere quella popolarità che è la rampa di lancio per molti artisti. Purtroppo poi il suo successo è rimasto circoscritto alla nostra isola. Quest’anno, grazie al suo spettacolo "Aida Banda Flores", ha girato per tutta la Sicilia e da questa esperienza ha tirato fuori un bellissimo cd live dall’omonimo titolo che le ha permesso di avere di nuovo puntate addosso le luci della ribalta.

Il 28, 29 e 30 settembre parteciperà, a Lampedusa, allo show ideato da Claudio Baglioni, "O’ Scià 2006", giunto alla sua quarta edizione. Tantissimi gli ospiti della manifestazione, fra i quali sono presenti molte icone della musica italiana, quali Riccardo Cocciante, Massimo Ranieri, Loredana Bertè, Raf, Francesco Renga, Grazia Di Michele, Amedeo Minghi, Michele Zarrillo, Cochi e Renato, Anna Tatangelo, Francesco Baccini, Nada, Paolo Vallesi, Nair, Khaled, Luisa Corna, Neri per caso, Gigi Finizio, Pago, Gatto Panceri, Alan Sorrenti, Teo Mammucari, Neri Marcorè, Panariello, i Fichi d’India e tanti altri.
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Seduti in un bar del centro di Palermo in una bella e calda giornata di sole con un bicchiere di buon vino, Aida si affida ai microfoni di Balarm.it per parlare un po’ del suo ultimo lavoro, di "O’ Scià" e delle sue aspettative.

Da dove è nata l’idea di fondere la musica d’autore con le sonorità tipiche della banda di paese, che sta alla base del tuo cd live "Aida Banda Flores"?
Io credo che la banda, anche quella più scalcinata e la meno professionale, sia un bene culturale vivo da salvaguardare. Nei paesini (siciliani e non) i giovani muoiono di torpore, non hanno nulla da fare, giocano ai videopoker, ai videogiochi, si drogano più che nelle città, insomma muoiono veramente di inedia (sic). Quindi la banda di paese serve a reagire, impugna uno strumento e suona. Un professore universitario mi diceva che quando un’orchestra suona male si dice che "pare una banda" e invece quando una banda suona bene dicono che "pare un’orchestra". Io non sono d’accordo, ci sono delle orchestre che suonano bene e altre no, c’è un gruppo rock che suona bene e uno che suona male come ci sono bande che suonano bene e altre no. Non tutte le bande che ho trovato nel mio percorso erano musicalmente alte, sono "picciottelli", no? Il complesso bandistico Giuseppe Verdi, che mi ha accompagnato nel tour, è finito anche in questo disco dal vivo, che non è folk, è appunto musica d’autore associata a queste sonorità bandistiche a cui già qualcuno prima di me aveva pensato, vedi Bregovic o Capossela. Ma la mia musica non è così complicata, è più "semplice".

Con il tour "Aida Banda Flores" sei stata in giro un po’ per tutta la Sicilia, quali sono stati i feedback che hai ricevuto dal pubblico?
Essendoci di mezzo la banda, attiravo anche un pubblico di cinquantenni, che però dopo cinque/sei canzoni (tranne qualcuno più intellettuale) andava scemando, ma le piazze si riempivano soprattutto di giovani dai venti ai trent’anni che con i cellulari avvisavano i loro amici di raggiungerli. Avendo fatto l’ultimo Sanremo nel ’92 mi sono persa una fetta di pubblico che ovviamente non può sapere che tipo di musica faccio. Questo tour mi ha dato molta soddisfazione, per non parlare del cd che mi sono autoprodotta, perché non avevo nessun editore alle spalle, e del quale ho venduto inaspettatamente tantissime copie. Senza aver avuto nessuna promozione in radio o in televisione le mie piazze si riempivano di giovani che mi dicevano a voce alta di riprendere a cantare… e io l’ho fatto.

"Odori Suoni Colori d’Isole d’Altomare pelagie (O’ Scià)". Ci voleva uno come Baglioni ad ideare una manifestazione simile a Lampedusa, perché?
Perché quando diventi molto famoso o ti adagi sugli allori o investi il tuo tempo e le tue risorse nel fare qualcosa di buono. Peccato questa idea non sia venuta ad un siciliano, certo, ma va bene lo stesso. Magari ci fossero tanti Baglioni che approfittando della loro notorietà donano un po’ di luce anche a chi non ha voce nella storia.

Sei stata contattata direttamente da Baglioni?
No, io ho mandato a Claudio una mia canzone, "Senza voce", del tutto inedita, mai registrata, cantata o pubblicata. L’ho scritta pensando all’anima dei popoli che urla e che però è senza voce, afona, a furia della divisione che l’uomo fa dei cieli. Prima ancora che Ratzinger facesse quella imbarazzante gaffe, io pensavo che veramente ormai stiamo andando troppo incontro ad una guerra di religioni, che diventa poi una guerra tra civiltà. A Baglioni questa canzone è piaciuta molto e mi ha invitato a cantarla a "O’ Scià".

Sul palco, con te, ci sarà tutta la "Banda Flores"? Come leggi questa opportunità che ti è stata offerta in chiave futura?
No, mi porterò soltanto due miei musicisti: Ruggiero Mascellino alla fisarmonica e Giovanni Mattaliano ai fiati. La vita è fatta di due cose: la passione e il business. Il cuore e la passione sono già più che accontentati perché per me cantare con una icona del cantautorato italiano come Baglioni è già un traguardo importantissimo. Come leggo questo avvenimento? Ho un prio terribile, sono molto contenta, però magari dopo non ci sarà un seguito. Io vorrei che ci fosse, ma credo poco al fatto che un’artista si metta a produrre un altro artista. Chissà, mai dire mai. O’ Scià significa fiato mio, da "ciatu"; io canterò "Senza voce". Voce, fiato… vediamo quello che accade.

Che repertorio hai preparato? Canterai qualche brano di Baglioni?
Sarà un medley di mie canzoni vecchie e nuove: cominciando da "Croce del sud", che presentai a Sanremo ’86, passando per "Fiori di carta", che parla di prostitute, per concludere con "Paura e fortuna", una canzone dedicata ai clandestini. Di sue, ho preso una canzone antichissima, che forse solo i suoi fedelissimi ricorderanno, "Nel sole, nel sale, nel sud" e parla (in tempi non sospetti, circa trent’anni fa) di un emigrato brasiliano che faceva il tassista; poi farò "Le ragazze dell’est" (il tema è la prostituzione) e per finire "Di là dal ponte", un suo pezzo di speranza senza alcun riferimento al ponte sullo stretto. La cosa veramente fantastica è che quando ho comunicato a Baglioni che avrei fatto un medley delle mie canzoni, lui mi ha chiesto se potevo inviargli le partiture del pianoforte perché voleva essere lui a suonare quella parte. Immagina, lui che suona le mie canzoni mentre io canto… Non potevo chiedere di più!

C’è una delle tue canzoni a cui sei più legata che ti piacerebbe cantare in duetto con Baglioni? Al contrario, qual è la canzone di Baglioni che ti piace di più?
Sicuramente "La canzone che non sai", pezzo che ho dedicato a mio figlio che chiude l’album "Voglio portarti musica" pubblicato nel 1992. C’è una canzone in particole di Baglioni che mi piace molto, si chiama "Fammi andar via", che farebbe rima con "Io scappo via", il mio ultimo Sanremo nel ’92. Anche "Mille giorni di te e di me" mi piace, anche se è un po’ troppo "sputtanata" è una bella canzone, come "Io me ne andrei".

In passato hai collaborato con i Nomadi, scrivendo anche "La voce dell’anima", pezzo poi pubblicato nel loro disco di successo "Corpo estraneo". Che cosa porti ancora dentro del legame con loro?
Innanzitutto la passione per il vino rosso, perché loro sono emiliani. Da loro ho capito anche una cosa che non so se io riuscirò mai ad applicare: il lavorare 365 giorni all’anno su sé stessi, o perché scrivono canzoni, o perché fanno concerti, o perché hanno idee con Emergency e con Gino Strada, ma non mollano un attimo. Beppe Carletti, che è l’unico rimasto in vita dei Nomadi "storici", è un uomo della terra, mentre io sono una donna di mare ed è proprio il mare che allegoricamente ci contagia una certa "discontinuità" che abbiamo un po’ tutti i siciliani. Un giorno ci svegliamo con la voglia di fare, fare, fare e il giorno dopo non facciamo niente. E’ questo che mi "affonda", non riesco a seguire la strada del duro lavoro continuo. Mi porto dietro pure il saluto che faceva Augusto Daolio alla fine dei concerti, portandosi la mano tesa all’altezza della fronte, come fanno i militari, anch’io saluto in questo modo il mio pubblico.

Chi sono gli artisti che più hanno influenzato il tuo modo di far musica?
Ho vissuto fondamentalmente quattro periodi. Da ragazzina, quando abitavo a Catania con mia nonna, mia madre e il cane (perché i miei si erano separati), ascoltavo sul mangiadischi arancione Lucio Battisti, subito soppiantato dopo due o tre anni da Francesco De Gregori. Aida ventenne si è innamorata perdutamente di Ivano Fossati e dalla sua penna, un cantautore che dà molto peso alle parole ma anche alla musica. Crescendo mi sono invaghita di Franco Battiato e Paolo Conte, due mondi totalmente diversi. Infine, negli ultimi anni, grazie a mio figlio ho conosciuto musiche di artisti dei quali non ti saprei dire nemmeno i nomi, cantanti francesi, dei Capossela ante litteram. Io sto molto attenta ai testi, sempre, però musicalmente parlando, sulla mia pelle non c’è il rock, anche se mi piace. Di musicisti stranieri amavo perdutamente Sting e Peter Gabriel, sia con i Genesis che da solista.

Sei un’artista a tutto tondo piena di talento e ben considerata dalla critica, ma poco conosciuta dal grande pubblico. Secondo te, cosa bisogna cambiare in Italia per far sì che chi ha "vero" talento possa emergere?
Che il "vero" talento smetta di fare "l’artista" come spesso accade a me. E’ necessario smettere di fare l’artista che vola alto e scendere in campo, quindi lo dico a me ma anche ai ventenni: non bisogna dire che gli altri sono brutti, sporchi e cattivi; bisogna andare dagli editori (a Milano o in qualsiasi altro posto) e farsi ascoltare e non mandare la "cassettina" perché la maggior parte vengono buttate e mai ascoltate. Ascoltano solo chi è già stato "segnalato" o chi va lì e li pressa. Bisogna andare e non rimanere qui, non è la casa discografica che viene da te, sei tu che ci devi andare.

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